mercoledì 8 giugno 2011

Quando Papa Woytila fece piangere mons. Romero.


Del conflitto tra mons. Romero e la Chiesa istituzionale, vi è un episodio - lo ricorda anche José María Vigil - particolarmente significativo: il drammatico incontro, nel maggio del 1979, tra mons. Oscar Romero e Giovanni Paolo II , così come lo raccontò, nella sua biografia Piezas para un retrato, la scrittrice María López Vigil. 
Un incontro che non fotografa "soltanto" la totale incomprensione del papa verso la tragedia salvadoregna, ma che finisce per rappresentare quasi il simbolo dell'in-conciliabilità tra due modelli di Chiesa, quello della Chiesa istituzionale e quello della Chiesa della Liberazione, la Chiesa come "movimento di Gesù".

Nel corso del convegno milanese la scrittrice ha riproposto la sua testimonianza di quell'incontro, riprendendola dall'edizione italiana della sua biografia di Romero: Monsignor Romero, Frammenti per un ritratto, NdA Press, Rimini 2005.
L'incontro va inquadrato in un momento storico molto importante per lo stato de El Salvador,caratterizzato dallo scontro tra la chiesa salvadoregna e le istituzioni politiche.In quegl'anni infatti si stava diffondendo in tutta l'America Latina il movimento della Teologia della Liberazione,che auspicava il ritorno al messaggio evangelico di Gesù e alla condizione di povertà della Chiesa. Una visione della Chiesa che sarà molto vicina a quella di Giovanni Paolo I,ma non del suo successore polacco,che osteggiò il movimento di Teologia della Liberazione e lo stesso Monsignor Romero. E'in questo quadro di cose che si legge la difficoltà del vescovo salvadoregno a incontrare il Papa polacco.
Eccovi un estratto tratto dal libro:

"Mi comprenda, ho bisogno di avere un'udienza con il Santo Padre...". "Comprenda lei che dovrà aspettare il suo turno, come tutti".

Un'altra porta vaticana gli si chiudeva in faccia. Da San Salvador e con il tempo necessario per superare gli ostacoli della burocrazia ecclesiastica, Mons. Romero aveva sollecitato un'udienza personale con Giovanni Paolo II. E andò a Roma sicuro che, per quando fosse arrivato, tutto sarebbe stato sistemato.
Ora tutte le sue precauzioni sembravano svanite come fumo. I curiali gli dicevano di non saper nulla di quella richiesta. E lui andava supplicando per quest'udienza di ufficio in ufficio.

"Non può essere - disse a un altro - ho scritto molto tempo fa e qui deve esserci la mia lettera...". "Le poste italiane sono un disastro!". "Ma la mia lettera l'ho mandata a mano con...".

Un'altra porta chiusa. E il giorno seguente un'altra ancora. I curiali non volevano che incontrasse il Papa. E il tempo a Roma, dove era stato invitato da alcune suore, che celebravano la beatificazione del loro fondatore, stava finendo. Non poteva tornare a San Salvador senza aver visto il Papa e senza avergli raccontato tutto quello che stava succedendo là.

"Continuerò a mendicare quest'udienza", s'incoraggiava Monsignor Romero.

La domenica, dopo la messa, il Papa scese nel grande salone, dove lo aspetta una moltitudine per la tradizionale udienza generale. Monsignor Romero si era alzato molto presto per riuscire a mettersi in prima fila. E quando il Papa passò salutando, gli afferrò la mano e lo trattenne.

"Santo Padre - gli disse con l'autorità dei mendicanti - sono l'arcivescovo di San Salvador e la supplico, mi conceda un'udienza".

II Papa acconsentì. Alla fine c'era riuscito; sarebbe stato per il giorno successivo.
Era la prima volta che l'arcivescovo di San Salvador incontrava Papa Wojtyla, che da appena sei mesi era Sommo Pontefice.
Gli portò, accuratamente selezionati, dei rapporti di tutto ciò che stava succedendo nel Salvador perché il Papa ne fosse informato. E poiché succedevano tante cose, i rapporti erano voluminosi. Monsignor Romero li portò in una scatola e li mostrò ansioso al Papa appena iniziato l'incontro.

"Santo Padre, qui potrà leggere lei stesso come tutta la campagna di calunnie contro la Chiesa e contro di me viene organizzata nella stessa casa presidenziale".

II Papa non toccò un foglio. Né aprì il fascicolo. Nemmeno chiese nulla. Si lamentò soltanto.

"Vi ho già detto di non venire carichi di tanti fogli! Qui non abbiamo il tempo di leggere tante cose".

Monsignor Romero rabbrividì ma cercò d'incassare il colpo. E lo incassò: doveva esserci un malinteso.
In un'altra busta aveva portato al Papa anche una foto di Octavio Ortiz, il sacerdote che la Guardia aveva ucciso alcuni mesi prima insieme a quattro giovani. La foto era un primo piano del volto di Octavio morto. Nel volto schiacciato dal blindato si delineavano i tratti indigeni e il sangue li sottolineava ancora di più. Si notava molto bene un taglio fatto col machete sul collo.

"Io conoscevo molto bene Octavio, Santo Padre, ed era un bravo sacerdote. L'avevo ordinato io e sapevo tutti i lavori in cui era impegnato. Quel giorno stava dando un corso sul Vangelo ai ragazzi del quartiere...".

Gli raccontò ogni dettaglio. La sua versione di arcivescovo e la versione diffusa dal governo.

"Guardi, Santo Padre, come gli hanno spappolato la faccia...". 

Il Papa fissò la foto e non chiese altro. Guardò poi gli occhi umidi dell'arcivescovo Romero e mosse la mano indietro, come volendo togliere drammaticità al sangue raccontato.

"Lo hanno ucciso tanto crudelmente, dicendo che era un guerrigliero...", ricordò l'arcivescovo.

"E per caso non lo era?", rispose freddamente il pontefice. Monsignor Romero guardò la foto dalla quale sperava di ottenere compassione. Qualcosa gli fece tremare la mano: doveva esserci un malinteso.
Continuò l'udienza. Seduti uno di fronte all'altro il Papa inseguiva una sola idea.

"Lei, signor arcivescovo, deve sforzarsi di avere una relazione migliore con il governo del suo Paese". 

Monsignor Romero lo ascoltava e la sua mente volava verso il Salvador, ricordando ciò che il governo del suo Paese faceva al popolo del suo Paese. La voce del Papa lo riportò alla realtà.

"Un'armonia tra lei e il governo salvadoregno sarebbe la cosa più cristiana in questi momenti di crisi...". 

Monsignore continuava ad ascoltare. Erano argomenti con i quali, in altre occasioni, era già stato pressato da altre autorità ecclesiastiche.

"Se lei superasse le proprie divergenze con il governo, potrebbe lavorare cristianamente per la pace...".

Il Papa insistette tanto che l'arcivescovo decise di smettere di ascoltare e chiese di essere ascoltato. Parlò timidamente, ma deciso: "Ma, Santo Padre, nel Vangelo, Cristo ci dice di non essere venuto a portare la pace ma la spada". Il Papa fissò Romero negli occhi: "Non esageri, signor arcivescovo!".

Terminarono gli argomenti ed anche l'udienza.

Tutto ciò me lo raccontò Monsignor Romero, quasi piangendo, l'11 maggio 1979; a Madrid, mentre rientrava affrettatamente nel suo Paese, costernato dalle notizie di un massacro nella cattedrale di San Salvador.

Romero sarebbe stato assassinato di lì a un anno, il 24 marzo del 1980. 25 anni dopo, le celebrazioni per l'anniversario del suo martirio sono state accompagnate, e inevitabilmente oscurate, dall'agonia e dalla morte del pontefice, che si è spento proprio nella giornata culminante delle celebrazioni, il 2 aprile, quando a San Salvador si svolgeva, in piazza, una grande messa presieduta dal cardinale honduregno Oscar Rodríguez Maradiaga, oggi indicato tra i papabili più accreditati, con successiva processione e veglia in cattedrale. Il tutto a conclusione di una ricca Settimana teologica in memoria dell'arcivescovo, organizzata dal 28 marzo all'1 aprile dal Centro Monsignor Romero dell'Università Centroamericana dei gesuiti (Uca), durante la quale mons. Samuel Ruiz ha letto la vibrante, appassionata "Lettera aperta al fratello Romero" scritta da mons. Pedro Casaldáliga (già autore del famosissimo componimento poetico "San Romero d'America"). "Avevi ragione tu - scrive il vescovo dal Mato Grosso -, e questo anche vogliamo celebrare, con giubilo pasquale. Sei resuscitato nel tuo popolo, che non permetterà che l'impero e le oligarchie continuino a sottometterlo, né si lascerà condurre dai rivoluzionari pentiti o dagli ecclesiastici spiritualizzati. E resusciti in questo Popolo di milioni di sognatori e sognatrici che crediamo che un altro mondo è possibile e che è possibile un'altra Chiesa. Perché, così come va oggi, fratello Romero, non va né il mondo, né la Chiesa"; perché "quelle rivoluzioni utopiche - belle e sventate come un'adolescenza della Storia - sono state tradite dagli uni, disprezzate olimpicamente dagli altri", e "rimpiante ancora dai molti e le molte che stiamo lì con te, pastore dell''accompagnamento', compagno di pianto e di sangue dei poveri della Terra".


DA ADISTA n°88 del 17.12.2005
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