lunedì 6 dicembre 2010

Pena di morte nella Città del Vaticano: la storia di Titta il celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio

La pena di morte è stata legale nella Città del Vaticano dal 1929 al 1969 ed era prevista solo in caso di tentato omicidio del papa. Tuttavia venne rimossa dalla Legge fondamentale solo il 12 febbraio 2001, su iniziativa di Giovanni Paolo II.

La pratica della pena di morte derivava, nello Stato della Città del Vaticano, direttamente dalla pratica precedentemente condotta nello Stato della Chiesa sino al 1870. All'atto della firma dei Patti Lateranensi e della costituzione della Città del Vaticano, il codice penale del Regno d'Italia, estese la pena capitale per il reato di tentato assassinio del Papa sul proprio territorio equiparandolo a quello di tentato assassinio del Re:
« Considerando la persona del Supremo Pontefice sacra e inviolabile, l'Italia dichiara che qualunque attentato alla Sua persona o qualunque incitamento a commettere tale attentato sia punibile con le medesime pene previste per tutti i simili attentati o incitamenti condotti contro la persona del Re.Tutte le offese o gli insulti commessi all'interno del territorio italiano contro la persona del Supremo Pontefice, causati dal significato di discorsi, atti o scritti, saranno punibili allo stesso modo che come offese e insulti contro la persona del Re. »
(Patti Lateranensi.)
Non ci furono tentativi di assassinio del Papa fintanto che lo statuto vaticano previde la pena capitale. Papa Paolo VI rimosse la pena di morte dagli statuti vaticani, abrogandola per qualsiasi reato, annunciando la modifica nell'agosto 1969. Tuttavia il cambiamento divenne di pubblico dominio solo nel gennaio 1971, quando alcuni giornalisti accusarono Paolo VI di ipocrisia per le sue critiche alle esecuzioni capitali in Spagna e Unione Sovietica.
La pena di morte venne tuttavia rimossa completamente dalla Legge fondamentale del Vaticano solo il 12 febbraio 2001, su decisione di Giovanni Paolo II.

Mastro Titta


Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta (Senigallia, 6 marzo 1779 – Senigallia, 18 giugno 1869), e noto anche come il Boja di Roma, fu un celebre esecutore di sentenze capitali dello Stato Pontificio.
La sua carriera di incaricato delle esecuzioni delle condanne a morte, iniziò il 22 marzo 1796 e fino al 1864 totalizzò ben 516 "servizi" tra suppliziati e giustiziati.
Le sue operazioni sono tutte diligentemente annotate in un elenco che arriva fino al 17 agosto 1864, quando venne sostituito da Vincenzo Balducci e Papa Pio IX gli concesse la pensione con un vitalizio mensile di 30 scudi.
Mastro Titta eseguiva sentenze in tutto il territorio pontificio. Un anonimo autore del secolo XIX ne scrisse una finta autobiografia, riportata nella bibliografia di questa voce (v. infra) nella quale gli fa descrivere in questo modo l'inizio dell'attività: «nella mia carriera di giustiziere di Sua Santità, impiccando e squartando a Foligno Nicola Gentilucci, un giovinotto che, tratto dalla gelosia, aveva ucciso prima il prete di Cannaiola di Trevi e il suo cocchiere, poi, costretto a buttarsi alla macchia, grassato[1] due frati». Tale episodio ha ispirato il romanzo "I topi del Papa" scritto da un discendente di Gentilucci. La finta autobiografia, scritta e pubblicata molti anni dopo la presa di Roma e la morte del Bugatti, è scritta in chiave anticlericale, presentando Mastro Titta come un cinico e freddo assassino, mano spietata del governo del papa.
A Valentano, presso l'archivio storico, è reperibile la testimonianza della sua prima esecuzione nella località di Poggio delle Forche. Mastro Titta stesso racconta la sua prima esecuzione valentanese: «Il 28 marzo 1797, mazzolai e squartai in Valentano Marco Rossi, che aveva ucciso suo zio e suo cugino per vendicarsi della non equa ripartizione fatta di una comune eredità».
Il nomignolo dato al Bugatti fu poi esteso anche ai suoi successori, ed in alcune terre che fecero parte dello Stato Pontificio - ma a Roma in particolar modo - il termine "mastro Titta" è direttamente sinonimo di boia.
Nei lunghi periodi di inattività svolgeva il mestiere di venditore di ombrelli, sempre a Roma. Il boia viveva nella cinta vaticana sulla riva destra del Tevere, nel rione Borgo al numero civico 2 di via del Campanile. Egli era naturalmente mal visto dai suoi concittadini, tanto che gli era vietato recarsi nel centro della città per ragioni legate alla sua sicurezza personale (donde il proverbio "Boia nun passa Ponte", per dire - ognuno se ne stia nel suo pezzo di mondo). Ma siccome a Roma le esecuzioni capitali pubbliche decretate in nome del papa-re, soprattutto quelle che dovevano essere "esemplari" per il popolo, non avvenivano nel borgo papalino ma nella parte centrale della città - a Piazza del Popolo, o a Campo de' Fiori, o nella piazza del Velabro (dove Monicelli ha ambientato l'esecuzione del brigante Fra' Bastiano nel film Il marchese del Grillo) - sull'altra sponda del Tevere, in eccezione al divieto il Bugatti doveva in ogni caso attraversare Ponte Sant'Angelo per andare a compiere i suoi servigi. Questo fatto diede origine all'altro modo di dire romano "Mastro Titta passa ponte" per dire che era in programma per la giornata l'esecuzione di una sentenza di morte.
Il 19 maggio 1817, George Gordon Byron si trovava a piazza del Popolo mentre tre condannati (Giovanni Francesco Trani, Felice Rocchi e Felice De Simoni) venivano decapitati, e il poeta descrisse questa esperienza in una lettera indirizzata al suo editore John Murray.
Lo scrittore inglese Charles Dickens durante il viaggio che compì in Italia fra il luglio 1844 ed il giugno dell'anno successivo, mentre era di passaggio a Roma, nella giornata di Sabato 8 marzo 1845[2] assistette ad una esecuzione in via de' Cerchi effettuata da Bugatti[3] che commentò sul suo libro Lettere dall'Italia.

FONTI


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