domenica 12 dicembre 2010

L'inesistente Giacomo il Minore

La trasmissione dei testi cristiani patristici antichi - dal Nuovo Testamento alla Historia Ecclesiatica di Eusebio; dalle opere più importanti di Tertulliano e Origene a quelle di molti altri "Padri della Chiesa" - è stata oggetto di studio da parte di filologi classici, paleografi e biblisti. 
Di tali lavori disponiamo soltanto trascrizioni su papiro e pergamena, le più antiche risalenti al Medio Evo;
esse sono costituite da un corpus di codici manoscritti i cui originali non sono stati conservati gelosamente, come sarebbe stato logico fosse avvenuto data l'estrema importanza storico documentale della dottrina in essi contenuta; al contrario vennero distrutti deliberatamente per cancellare le prove della evoluzione di una nuova religione, in origine totalmente diversa, ad iniziare dai protagonisti teologici esclusivamente giudaici il cui mito si rese necessario modificare nel corso di un progresivo cambiamento durato secoli. L'opera metodica di distruzione dei documenti cristiani originali ebbe inizio sin da quando il Cristianesimo giunse al potere e l'Impero Romano non era ancora crollato: era l'epoca di Eusebio di Cesarea, sotto l'Imperatore Costantino, nel IV secolo, quando il potente Vescovo ebbe la possibilità di accedere agli Archivi Imperiali.
   Paleografi, papirologi, biblisti e filologi hanno svolto il loro lavoro ma l’enigma “Gesù Cristo”, Apostoli e Sacra Famiglia non sono riusciti a risolverlo ... o non vogliono. Adesso tocca agli storici analisti capaci di indagare, senza essere condizionati dalla fede, le vicende evangeliche calandosi nel contesto dell’epoca con una visione generale dei fatti. A verifica di quanto testé affermato, prendiamo in esame la "prova", addotta dalla Chiesa, sull’esistenza di Giacomo, fratello di Gesù, riferito dallo storico fariseo Giuseppe Flavio. Infatti, se è esistito un fratello di Cristo, di conseguenza, secondo i Cristiani, si dovrebbe ammettere che è esistito anche il Salvatore, ma …

Da “Antichità Giudaiche” XX, 197-203:

“Venuto a conoscenza della morte di Festo, Cesare (Nerone) inviò Albino come Procuratore della Giudea. Il re Agrippa poi allontanò dal sommo sacerdozio Giuseppe, detto Kabi figlio del sommo sacerdote Simone e gli diede come successore nell’ufficio il figlio di Anano, il quale si chiamava anche egli Anano. Con il carattere che aveva, Anano pensò di avere un’occasione favorevole alla morte di Festo mentre Albino era ancora in viaggio: così convocò i Giudici del Sinedrio e introdusse davanti a loro un uomo di nome Giacomo, fratello di Gesùdetto Cristo, e certi altri, con l’accusa di avere trasgredito la Legge e li consegnò perché fossero lapidati. Ma le persone più equanimi della città, considerate le più strette osservanti della Legge (i Giudici del Sinedrio) si sentirono offese da questo fatto. Perciò inviarono segretamente legati dal re Agrippa supplicandolo di scrivere una lettera ad Anano dicendogli che il suo primo passo non era corretto, e ordinandogli di desistere da ogni ulteriore azione. Alcuni di loro andarono incontro ad Albino che era in cammino da Alessandria informandolo che Anano non aveva alcuna autorità di convocare il Sinedrio senza il suo assensoConvinto da queste parole, Albino, sdegnato, inviò una lettera ad Anano minacciandolo che ne avrebbe espiato la pena dovuta. E il re Agrippa, per la sua azione, depose Anano dal sommo pontificato che aveva da tre mesi, sostituendolo con Gesù, figlio di Damneo.”

   Innanzitutto Anano “consegnò” (stato di fermo momentaneo, affidamento) degli uomini “perché fossero lapidati” e non li fece lapidare ”. Su quegli uomini c’era un capo d’imputazione gravissimo che prevedeva la pena di morte, ma Anano non poteva lapidare nessuno senza il benestare del Procuratore e questo il Pontefice lo sapeva benissimo; si limitò (e qui commise l’errore) a metterli in stato di fermo per anticipare i tempi in attesa del suo arrivo.
Anano era consapevole che il “diritto di uccidere” era prerogativa assoluta del Procuratore imperiale e il minimo che gli poteva accadere, se si fosse arrogato lui quel potere, era di finire in catene come avvenuto dieci anni prima al Sommo Sacerdote Ananìa, o, ancora peggio, poteva fare la fine del proprio fratello più anziano, Gionata, Sommo Sacerdote prima di lui, fatto uccidere dal Procuratore Felice (Ant. XX 163) soltanto per averlo contestato; ma soprattuttosapeva che i Romani non si fidavano dei Sommi Sacerdoti giudei … sino al punto di pretendere di essere loro, di persona, a “processare” ed interrogare gli accusati, sotto tortura, per accertarsi se erano dei ribelli e farsi rivelare i nomi dei complici prima di eliminarli.

   Anano era certo, “col carattere che aveva”, che la logica della grave motivazione prevalesse sull’iter formale della procedura la qualeprevedeva la presenza del rappresentante di Roma per poter convocare il Sinedrio. Questa norma consentiva all’Imperatore, attraverso il suo funzionario di fiducia, di controllare politicamente cosa decideva il Sinedrio fantoccio di Gerusalemme.
Della lapidazione di Giacomo o chicchessia, per aver violato la Legge ebraica, a Lucio Albino non importava affatto. Quando il Sinedrio si riuniva, il Procuratore lo voleva sapere e, preso visione di persona degli argomenti che venivano trattati, a suo giudizio insindacabile, approvarli o meno prima di essere deliberati … Roma, semplicemente, non si fidava: tutto qui.
La fazione sacerdotale in quel momento contraria al Sommo Sacerdote Anano colse l’occasione per fargli le scarpe e alcuni di loro andarono ad Alessandria ad intercettare Albino (lui era il vero detentore del potere), “informandolo che Anano non aveva alcuna autorità di convocare il Sinedrio senza il suo assenso”; questo era loggetto del contendere.

   Al Procuratore non fu denunciata la gravità del reato di Anano per aver lapidato alcune persone perché ancora non era stata eseguita la sentenza … impossibile senza la ratifica del funzionario di Roma; la denuncia riguardava solo la convocazione del Sinedrio avvenuta senza la sua approvazione e il romano “convinto da queste parole” non volle sapere altro.
Giacomo non venne neanche nominato ad Albino, né avrebbe potuto conoscerlo; pertanto il Procuratore fece intervenire il Re “vassallo” Agrippa II e gli ordinò di deporre Anano, che aveva osato convocare il Sinedrio “senza il suo assenso”, e al suo posto fu nominato l’altro “papabile” Sommo Sacerdote: Gesù, figlio di Damneo … fratello di Giacomo.

   Infatti, dopo aver riletto il passo su riportato, se togliamo “detto Cristo”, rimarrebbe solo “Giacomo, fratello di Gesù”, senza patronimico (d’obbligo in prima citazione ebraica), di conseguenza, lunico Gesù” che ha il patronimico è Gesùfiglio di Damneo”, pertanto lo scrittore non riporta il patronimico di Giacomo perché, essendo fratello di Gesù, figlio di Damneo, anche Giacomo è figlio di Damneo. Infatti, se fosse stato un altro giudeo di nome “Gesù”, non figlio di Damneo, lo storico ne avrebbe dovuto riportare l’altro patronimico.
Che non fosse Gesù “Cristo”, viene testimoniato anche dal Padre apologista cristiano Orìgene che, nel III secolo (circa ottanta anni prima dello storico Vescovo cristiano Eusebio), in due sue opere (Commentarium in Matthaeum X,17 e Contra Celsum I,47), riferendosi a questo episodio dichiara candidamente, sorpreso e nello stesso tempo dispiaciuto, che « Giuseppe (Flavio), non conosceva Gesù come “Cristo” ». Particolare talmente importante che vale anche per il falso “Testimonium Flavianum”: la mancata "eccellente prova" dell'avvento del "Salvatore", fatto testimoniare da Giuseppe Flavio, che la Chiesa di Eusebio compilò con troppa leggerezza ed interpolò nei manoscritti dello storico ebreo.

   L’intromissione spuria di “Cristo” nella frase riportata “Giacomo, fratello di Gesù, detto Cristo”, richiama, volutamente, Gesù Cristo e la sua famiglia, come ci è stata descritta dai “Sacri Testi”, ma è proprio questo a dimostrarci che Giuseppe Flavio, veramente, non conosceva affatto “Gesù Cristo” e quindi non poteva riferirsi a lui perché, altrimenti, avrebbe dovuto scrivere:
“Giacomo, uno dei fratelli di Gesù, detto Cristo” … o, ancora meglio, secondo quanto sostiene la Chiesa: “Giacomo, uno dei cugini di Gesù, detto Cristo” cui, obbligatoriamente, avrebbe dovuto seguire … figlio di … ? … E qui iniziano i dolori, come stiamo per vedere.

   Giacomo, fratello di Gesù, figlio di Damneo, e certi altri, se la cavarono. Infatti, se (per assurdo) fossero già stati uccisi, che bisogno c’era di correre ad Alessandria da Albino?. L’accusa contro Anano di aver convocato il Sinedrio senza la sua autorizzazione rimaneva e la avrebbero potuta usare dopo, aggravata dalla violazione del “ius gladii” (diritto di uccidere, prerogativa conferita dai Cesari ai Prefetti e Procuratori romani), giusto il tempo che il romano giungesse da Alessandria … e soprattutto, non “si sentirono offesi” per il linciaggio: sarebbe una frase ridicola se fosse collegata all’eccidio di molti uomini.
   La mania del “martirio” è tale che la manipolazione della sua invenzione ci viene testimoniata anche dal Venerabilissimo Vescovo Eusebio di Cesarea che, nel IV secolo, nella sua “Storia Ecclesiastica” così la racconta:
“In realtà vi furono due Apostoli di nome Giacomo: uno il Giusto, fu gettato giù dal pinnacolo del Tempio e bastonato a morte da un follatore; l’altro fu decapitato” (HEc. II 1,5) e, per dare maggior peso alla “testimonianza”, accredita a Giuseppe Flavio la falsa affermazione che “il martirio di Giacomo causò la distruzione di Gerusalemme come punizione divina” (HEc. II 23, 19-20).

   Abbiamo visto che le “gesta” di questi due “Giacomo”, Apostoli inventati con fini dottrinali, (il Tempio di Gerusalemme non aveva “pinnacoli”, le Chiese cristiane sì) non sono rapportabili a “Giacomo, fratello di Gesù”, riferito dallo storico ebreo; piuttosto denunciano i tentativi, falliti, di costruire una vicenda religiosa alla quale dare credibilità storica tramite un appiglio costituito dal nome “Gesù”, molto popolare fra i Giudei dell’epoca.
E tutti gli esegeti mistici fanno finta di ignorare la “piccola contraddizione” contenuta nel “sacro testo”: san Luca descrive gli Apostoli nei loro “Atti” fino al 64 d.C. ma non riporta la morte di Giacomo il Minore”… senza provare per lui alcuna “pietà”.
L’evangelista riferisce di Saulo Paolo e lo segue fino a Roma nel 63-64 d.C. (At. 28, 30), ma ignora il “linciaggio di Giacomo il Minore” che sarebbe avvenuto nel 62 d.C. … eppure si trattava di uno dei “Dodici Apostoli”, Capo della Chiesa di Cristo e Vescovo di Gerusalemme … ma, evidentemente, ancora non era stato inventato lalter ego dellunico Giacomo” esistente nei manoscritti originali. Questa lacuna negli “Atti degli Apostoli” è talmente grave che il solito Eusebio di Cesarea decide di “correggerla” raccontandola così:
“Poiché Paolo si era appellato a Cesare Nerone e Festo l’aveva inviato a Roma, i Giudei si volsero contro Giacomo, fratello del Signore, al quale gli apostoli avevano assegnato il trono episcopale di Gerusalemme” (HEc. II 23,1).
Visto come è semplice creare la “storia”, i Vescovi assisi sul trono e … la religione?

   Giuseppe Flavio non riporta le motivazioni dell’accusa del Sommo Sacerdote limitandosi ad un generico “per avere trasgredito la Legge”perché il procedimento contro gli accusati, in stato di fermo, “consegnati”, fu annullato dalla rimozione di Anano.
Altro particolare importante da sottolineare è che, in “Atti degli Apostoli”, “Gesù” non viene mai nominato, nel Sinedriodai Giudeise non con la generica definizione di costui”, pertanto, questo episodio, riferito a un vero Sinedrio, sconfessa gli “Atti degli Apostoli” poiché si dimostra che i sacerdoti Ebrei non avevano problemi a nominare “Gesù” … tranne negli “Atti” di Luca: per i Giudei “Gesù” ricordava “Giosuè” (colui che salva), mentre per San Luca e gli altri evangelisti, non era un nome ma un attributo divino “Salvatore” e, come tale, non riconosciuto dagli Ebrei. Inoltre, se fosse veramente esistito il “cristianesimo gesuita” entro il I secolo, lo storico Giuseppe lo avrebbe conosciuto e, come Eusebio di Cesarea, scritto così: “Giacomo l’Apostolo, Vescovo assiso sul Trono episcopale di Gerusalemme, uno dei fratelli di Gesù, detto Cristo…”

   Nelle sue opere, lo storico giudeo non accenna all’esistenza, nella sua città natale, di un Vescovo, capo della Chiesa Cristiana e di una religione avversa all’ebraismo. Come scriba l'avrebbe sicuramente riferito essendo suo dovere (nel 62 era già un eminente sacerdote Fariseo di 25 anni), né usa mai il termine “Apostoli”: non li conosce … come non ha mai conosciuto o sentito parlare di “miracoli” spettacolari da loro esibiti davanti al Tempio, sotto il portico di Salomone (allora distrutto), o nelle piazze di Gerusalemme al cospetto di folle venute dalle città vicine (lui nacque nel 37 d.C.).
Ma ciò che rende veramente importante questo Atto del Sinedrio, risalente al 62 d.C., è costituito dal fatto che è lunico, registrato dallo storico, dalla morte di Erode il Grande in poi, e il motivo per cui fu lasciato, ovviamente, è quello che stiamo dibattendo.
Intanto, se abbiamo potuto leggere la cronaca di questo Sinedrio è per un solo scopo: il nome “Gesù”; ma non il “Cristo” che tutti sappiamo, come ci si vorrebbe far credere con la piccola manomissione, bensì un altro, uno dei tanti ebrei di nome “Gesù” (Giosuè) che vivevano nella Giudea del I secolo. “Cristo” non può averlo scritto Giuseppe Flavio: è stato aggiunto da un “pio” falsario, organizzato e diretto da mani forti.
Il primo cristiano che ebbe la possibilità di consultare gli archivi imperiali e manometterli fu appunto il Vescovo Eusebio di Cesarea, data la posizione di privilegio presso la corte di Costantino. Chi altri, se non uno scriba cristiano con un preciso disegno, avrebbe  potuto mettere nella penna di un eminente sacerdote fariseo la parola “Cristo” equivalente a “Messia”, il prescelto da Dio come guida del suo popolo? … senza minimamente riflettere che lo scrittore, come ebreo, si sarebbe sentito in obbligo di riempire svariati rotoli manoscritti per descrivere la divinità che lui stesso attendeva …


   Sin dal lontano passato, la Chiesa, al fine di provare l’esistenza del suo “Salvatore” come uomo, ha inteso supportare le verità evangeliche con una documentazione storica inventandosi il “Testimonium Flavianum” e manipolando un episodio vero riferito ad un tale Giacomo, fratello di Gesù, il Sommo Sacerdote figlio di Damneo, come si evince dallo scritto dello storico.
La dimostrazione dell’alterazione del testo originale segue due percorsi:

1° La constatazione che la modifica introdotta varia, dai tempi più remoti, da un manoscritto all’altro sempre sullo stesso punto, vitale per la “prova teologica”: la parola “Cristo”. Infatti, mentre nel "Testimonium Flavianum", fatto risultare scritto dall'eminente Fariseo Giuseppe Flavio, gli scribi cristiani di Eusebio di Cesarea attestarono "... Questi era il Cristo", nel brano dello storico ebreo, sopra riportato, proveniente dagli archivi ecclesiastici, leggiamo "... detto Cristo".
Pertanto riproduciamo la fotocopia di un testo antico accreditato allo stesso Giuseppe, tradotto dal greco, risalente a cinque secoli addietro, proveniente, superfluo a dirsi, dagli archivi di un Vescovo, come riportato sul frontespizio:

      FLAVII  IOSEPHII  ANTIQVITATVM  IVDAICARVM    
Per Hier. Frobenium e Nic. Episcopium, Basileae, MDXLVIII   (Lib. XX, cap. 8).


 


In esso è riferito, in baso a destra, “fratello di Gesù Cristo di nome Giacomo”.

Poiché queste traduzioni, provenienti da manoscritti “curati” da Episcopi motivati a far risultare vera la dottrina che postulava l’avvento del Messia Gesù, essendo adulterate con modalità diverse in quell’unico punto del brano, si dimostra che quella piccola frase non era originale ma aggiunta posteriormente, pertanto, se si elimina “Cristo”, rimane un solo Gesù, figlio di Damneo, con un fratello di nome Giacomo. Peraltro, dalla lettura approfondita dei Vangeli, la presenza di un Giacomo, fratello di Gesù Cristo, in questo Sinedrio è aggravata dalla impossibilità di individuarne il padre, come risulta dalla stessa indagine apologetica fatta dal Pontefice, come stiamo per vedere.

2° L’analisi critica prova che non vi fu alcuna esecuzione della lapidazione delle persone incriminate dal Sommo Sacerdote ma solo il decreto da lui emesso che viene contestato ed annullato a causa della procedura errata seguita da Anano in contrasto con la normativa voluta da Roma. Tale norma era vigente sin prima dell’epoca di “Gesù” (ad iniziare dal Prefetto Coponio, il 6 d.C.), tanto è vero negli stessi Vangeli leggiamo che “Cristo” fu prima consegnato e poi ucciso, ma solo grazie alla presenza del legato imperiale Pilato ed il suo intervento nel “processo a Gesù”.
Almeno sotto questo aspetto (l’unico), l’evangelista, prima di inventarsi la sceneggiatura generale, si è informato sulle leggi di Roma.

   Una argomentazione che non è possibile condividere riguarda il deprezzamento, da parte di alcuni studiosi in piena crisi "storico mistica", non del Papa, delle testimonianze storiografiche in generale e quella di Giuseppe Flavio in particolare. Le vicende che oggi conosciamo ci provengono dagli scrittori di quell’epoca e soltanto laddove riscontriamo delle contraddizioni si fa ricerca per chiarire l’evento.
Rimaniamo in tema e leggiamo cosa ha dichiarato Benedetto XVI (è in rete) nella “Udienza Generale su Giacomo il Minore” tenuta il 28 Giugno 2006, a comprova di quanto da noi sopra riportato, nell'apposito argomento, nella Tabella "Nominativi degli Apostoli nei Vangeli Canonici":
      
“Cari fratelli e sorelle, accanto alla figura di Giacomo “il Maggiore, figlio di Zebedeo”, nei Vangeli compare un altro Giacomo, che viene detto “il Minore”. Anch’egli fa parte delle liste dei dodici Apostoli scelti personalmente da Gesù, e viene sempre specificato come figlio di Alfeo”  (Mt 10,3; Mc 3,18; Lc 5). E’ stato spesso identificato con un altro Giacomo, detto il Piccolo” (Mc 15,40), figlio di una Maria (ibid) che potrebbe essere la Maria di Cleofa” presente, secondo il Quarto Vangelo, ai piedi della Croce insieme alla Madre di Gesù (Gv 19,25). Anche lui era originario di Nazaret e probabile parente di Gesù (Mt 13,55; Mc 6,3), del quale alla maniera semitica viene detto fratello” (Mc 6,3; Gal 1,19).
Tra gli studiosi si dibatte la questione dellidentificazione di questi due personaggi dallo stesso nome: Giacomo figlio di Alfeo e Giacomo “fratello del Signore”. Le tradizioni evangeliche non ci hanno conservato alcun racconto né sull’uno né sull’altro. La più antica informazione sulla morte di questo Giacomo ci è offerta dallo storico Flavio Giuseppe. Nelle sue “Antichità Giudaiche” (20, 201 s), redatte a Roma verso la fine del I° secolo, egli ci racconta che la fine di Giacomo fu decisa con iniziativa illegittima dal Sommo Sacerdote Anano, figlio dell’Annas attestato nei Vangeli, il quale approfittò dell’intervallo tra la deposizione di un Procuratore romano (Festo) e l’arrivo del successore (Albino) per decretare la sua lapidazione nell’anno 62.”…

   Come i curiosi ed anche i fedeli lettori possono constatare l’impossibilità di dare un certificato anagrafico è più che evidente allo stesso Papa. Infatti se quel “Giacomo” fosse stato identificato dallo storico con il patronimico, prassi rispettata dall’ebreo per tutti i protagonisti dell’episodio sopra esaminato (basta rileggerlo), in riferimento al Giacomo, fratello di Gesù Cristo, Giuseppe Flavio avrebbe dovuto dichiarare che erano entrambi figli di san Giuseppe, il quale, sappiamo tutti, era sposato con Maria Vergine, perché la “maniera semitica” riferita da Papa Benedetto non ha rappresentato alcun problema allo storico ebreo per distinguere tra numerosi fratelli, cugini o fratellastri, da lui citati, dal momento che scrisse le sue opere prima in aramaico (la lingua di Gesù) e poi le tradusse in greco come gli scritti evangelici.
Tanto è vero che Eusebio di Cesarea in "Storia Ecclesiastica" (II 1,2) così riferisce:
"In quel tempo Giacomo, detto fratello del Signore, poiché anch'egli era chiamato figlio di Giuseppe, e Giuseppe era padre di Cristo..."

Pertanto si è capito benissimo quale contraddizione si sarebbe palesata per la dottrina cristiana se avessimo trovato scritto “Giacomo figlio di Cleofa”, sposato con “Maria sorella di Maria” la Madonna (Gv 19,25) - che Benedetto XVI, consapevole del rischio per la impossibileomonimia tra sorelle, ha opportunamente evitato di ricordare ai fedeli credenti - a sua volta "imparentata" e, (secondo "la maniera semitica"del Papa), anch'essa altra sorella di “Maria” moglie di Alfeo o di Zebedeo. Uomini che diverrebbero tutti potenziali padri di “Gesù”, essendoGiacomo loro figlio e allo stesso tempo fratello di Cristo ma anche figlio di san Giuseppe, notizia talmente grave per la dottrina che lo stesso Benedetto Papa, pur interessato a ricercare un patronimico a questo Giacomo, finge di ignorare. Ricordiamoci che, da quanto sinora evidenziato dai Sacri Testi e dalla Storia Ecclesiastica, stiamo parlando di un fratello di Cristo, suo Apostolo e successore, Vescovo di Gerusalemme.

    In sintesi: le deposizioni di Eusebio di Cesarea (il quale, come da lui attestato, disponeva di vangeli originali in aramaico) e degli evangelisti, canonici, già contrastanti e quindi contraddittorie fra loro (oltre agli altri “Padri”), diventano incompatibili con la testimonianza di Giuseppe Flavio che si dimostra falsificata per fare apparire vera una persona mai esistita: “Giacomo il Minore”, o "il Piccolo", o "il Giusto"; un protagonista teologico creato dai “Padri” del cristianesimo in modo scoordinato.
Di questo la Chiesa ne è consapevole, infatti, quando fu rinvenuto il finto “ossario di Giacomo”, prima ancora che le autorità di Israele scoprissero l’inganno, senza scomporsi più di tanto ne denunciò la menzogna: gli esegeti ecclesiastici sanno che Giacomo il Minore, o il Piccolo, o il Giusto, furono inventati dai loro predecessori ideologici per non far risultare che Giacomo, uno dei veri fratelli di “Gesù Cristo”, fu ucciso dal Procuratore Tiberio Giulio Alessandro nel 46/48 d.C. 

Il presente studio sull'apostolo "Giacomo il Minore" è esaustivo ma non ancora completo del tutto: manca di un'altra testimonianza storica rilevante che ci riserviamo pubblicare successivamente.

“Gesù” e “Cristo” furono appellativi scelti dalla corrente ebraica degli Esseni (che lo avevano preannunziato assieme al "Figlio di Dio"), in un periodo storico a Lui successivo, per designare con due titoli divini “Salvatore” e “Messia” un potente ebreo zelota con un suo nome proprio: Giovanni, figlio primogenito di Giuda il Galileo. 
Ma come è possibile affermare ciò ? 
Dopo aver evidenziato che la storia cancella gli "Apostoli" dalla realtà giudaica di quell'epoca ... fatto che non avviene per i fratelli di "Cristo", andiamo avanti con le analisi e trasferiamoci a Nazaret per dimostrare che la Sua patria, così come viene descritta nei vangeli, non corrisponde affatto alla città attuale ma a Gàmala, la patria del Fariseo Zelota Giuda il Galileo e dei suoi figli, i quali avevano lo stesso nome dei fratelli di Gesù ... più Giovanni, indicato nei vangeli con "costui".

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