lunedì 18 luglio 2011

LA FALSA DONAZIONE DI COSTANTINO ALLA CHIESA CATTOLICA ROMANA

La cosiddetta Donazione di Costantino era il documento su cui per secoli la Chiesa di Roma aveva

fondato la legittimazione del proprio potere temporale in Occidente.
Si attribuiva infatti all’imperatore Costantino la decisione di donare al papa Silvestro i domini
dell’impero romano d’occidente. Bisognò attendere il XV secolo per sconfessare filologicamente
quella presunta donazione. Fu il grande umanista Lorenzo Valla che nel 1440, intervenendo a
proposito dell’ingerenza pontificia riguardo la successione sul trono del regno di Napoli, denunciò
la falsità del documento con una memorabile dissertazione, il De falso credita et ementita
Costantini donatione declamatio.
Con le armi dell’analisi linguistica e argomentazioni di tipo storico-giuridico Valla dimostra che
l’atto era stato confezionato nell’VIII secolo dalla stessa cancelleria pontificia.
La Storia di Lorenzo Valla

Valla, Lorenzo (Roma 1407-1457), umanista italiano, il più influente del nostro Rinascimento.
Studiò i classici con l’assistenza di insegnanti greci e latini e nel 1431 divenne docente di retorica
presso l’Università di Pavia, che dovette tuttavia abbandonare dopo due anni in seguito a una
disputa. Successivamente fu nominato segretario di Alfonso V d’Aragona, destinato a diventare re
di Napoli. In questo periodo scrisse il suo trattato più discusso, La falsa donazione di Costantino
(1440), che, dimostrando false le motivazioni e le origini del potere temporale dei papi, metteva in
questione l’ingerenza della Chiesa cattolica nelle vicende politiche e nei rapporti di potere fra le
nazioni. L’ardire di Valla provocò aspre controversie che culminarono nell’intervento
dell’Inquisizione nel 1440; l’umanista fu rilasciato solo grazie all’intercessione del re. Pubblicata
per la prima volta nel 1471, l’opera ebbe una notevole influenza sugli umanisti a venire, come lo
stesso Erasmo da Rotterdam. In quegli anni si dedicò alla traduzione dei classici - fra gli altri
Omero, Esopo ed Erodoto - e scrisse numerosi trattati, fra cui Elegantiarum linguae latinae libri
sex (1444), che espone un concetto di lingua basato sul l’uso e sull’evoluzione nel tempo. Valla
prediligeva il metodo filologico, invitava alla precisione e chiarezza linguistica e poneva al centro
dei suoi interessi l’esperienza umana, disdegnando la metafisica della scolastica. Insistendo sul
predominio dei valori interiori rispetto all’ostentazione esteriore, spianò la strada alla Riforma
protestante del secolo seguente, pur dichiarandosi sempre fedele servitore della Chiesa di Roma,
che con i suoi moniti cercò instancabilmente di migliorare. Dal 1448 alla morte Valla ebbe
incarichi dalla curia papale.

Lorenzo Valla: La falsa Donazione di Costantino


«Non mi accingo a scrivere per vanità di accusare e lanciare filippiche: questa che sarebbe una turpe
azione, sia lontana da me; scrivo, invece, per svellere l’errore dalle menti, per allontanare, con
moniti e rimproveri, dalle colpe e dai delitti.
Io, per me, non mi permetterei mai di augurarmi che altri sulla mia scia poti con le armi la vigna di
Cristo, cioè la sede papale, troppo rigogliosa di rami inutili, e le faccia dare non selvatici racemi
senza vita, ma dei grappoli gonfi. Ma, se lo facessi, chi vorrebbe turarmi la bocca o chiudere i
propri orecchi o spaventarmi con la visione di supplizi e di morte? Come dovrò chiamarlo io,
foss’egli anche il papa?
Buon pastore o non piuttosto sordo aspide, che non vuole ascoltare la voce dell’ incantatore e vuole
morderne e avvelenarne le membra?
Mi accorgo che si aspetta ormai di sapere qual delitto io imputi ai romani pontefici: un delitto, per
vero, grandissimo commesso o per supina ignoranza o per sconfinata avarizia, che è una forma di
soggezione a idoli, o per vano desiderio di dominare, cui sempre si accompagna la crudeltà. Essi,
per tanti secoli, o non compresero la falsità della Donazione di Costantino o crearono essi stessi il
falso; altri, seguendo le orme degli antichi pontefici, difesero come vera quella donazione che
sapevano falsa, disonorando, così, la maestà del papato, la memoria degli antichi pontefici, la
religione cristiana e causando a tutto il mondo stragi, rovine, infamie. Dicono essere loro Roma,
loro il Regno di Sicilia e di Napoli, loro Italia, Francia, Spagna, Germania, Inghilterra: tutta
l’Europa occidentale, in una parola.
Tale pretesa si conterrebbe nel testo della Donazione.
Ah, sì! Sono tuoi tutti questi Stati? hai intenzione, sommo pontefice, di ricuperarli tutti? spogliare
tutti i sovrani dell’Occidente delle loro città o costringerli a pagarti tributi annuali?
invece io penso che sia più giusto ai sovrani spogliare te di tutto ciò che possiedi. Dimostrerò,
infatti, che la Donazione dalla quale i sommi pontefici vantano i loro diritti, fu sconosciuta e a
Costantino e a Silvestro.
Lo posso ben dire e gridare ad alta voce (non ho paura degli uomini, protetto come sono da Dio) che
ai miei giorni non vi è stato sommo pontefice che abbia amministrato con fedeltà e saggezza.
Furono tanto lontani dal dare il pane di Dio alla famiglia dei loro sudditi, che anzi li farebbero
sbranare come pezzi di pane. Il papa, proprio lui, porta guerre a popoli tranquilli; semina discordie
tra le città e i principi; il papa ha sete delle ricchezze altrui, e, al contrario, succhia fino in fondo le
sue stesse ricchezze; egli è come Achille dice di Agamennone Demoboros basileus, cioè ‘re
divoratore dei popoli’. Il papa fa mercato non solo dello Stato, ciò che non oserebbe né Vene nè
Catilina, nè alcun altro reo di peculato, ma mercanteggia perfino le cose della Chiesa e lo stesso
Spirito Santo!
Perfino a Simon Mago desterebbe esecrazione!

E quando ciò viene avvertito e anche rimproverato da galantuomini, non nega, ma sfacciatamente
l’ammette e se ne gloria: afferma che gli è lecito strappare in qualsivoglia modo dalle mani degli
occupanti il patrimonio della Chiesa donato da Costantino, come se da quel riacquisto la religione
cristiana sia per trarre maggiore felicità e non piuttosto maggior peso di peccati, di mollezza, di
passioni, se pure è possibile che la Chiesa sia più gravata di tali mali di quanto non lo è già e se vi è
più posto per scelleratezze. Per riavere le altre parti donate, sperpera le ricchezze mal tolte ai buoni,
paga truppe a cavallo e a piedi, che fanno tanto male dappertutto, mentre Cristo muore affamato e
nudo in migliaia e migliaia di poveri. E non si rende conto (o indegnità!) che mentre egli si affanna
a strappare ai principi secolari i loro beni, questi a loro volta sono spinti a strappare agli ecclesiastici
i loro beni o dal cattivo esempio o dalla necessità (talvolta non c’è neppure vera necessità).
Insomma, possiamo noi credere che Dio avrebbe permesso che Silvestro accettasse materia di
peccato?
Non permetterò che si faccia questo oltraggio alla memoria di un santissimo uomo, non permetterò
che si insulti un ottimo papa, dicendo che egli accettasse Imperi, Regni, province, alle quali
sogliono rinunziare quelli che vogliono entrare nella Chiesa. Pochi furono i beni che possedé
Silvestro; pochi furono quelli degli altri sommi pontefici, il cui aspetto era sacrosanto anche ai
nemici come quel san Leone, che atterri l’animo truce del re barbaro (Attila) e piegò chi la forza di
Roma non aveva potuto nè toccare nè spezzare. Ma gli ultimi papi, ricchi e affogati nei piaceri,
sembrano non mirare ad altro che a essere empi e stolti tanto quanto santi e saggi furono gli antichi
pontefici. Quale cri stiano potrebbe sopportare ciò con tranquillità?
In questa mia prima orazione non voglio ancora spingere i principi e i popoli ad arrestare il papa
precipitante a corsa sfrenata e a costringerlo a star buono nella sua sfera di azione, ma solo vorrei
indurli ad ammonire il papa che, forse, già ritrovata da sé la via della verità, attraverso essa se ne
torni a casa sua lasciando l’altrui e ripari nel porto, lontano dalle onde di dissennati pensieri e dalle
tempeste furiose. Ma se egli ricusa lidi seguire la via della verità mi preparerò a una seconda
orazione molto più aspra.
Possa io una buona volta vedere il papa fare solo il vicario di Cristo e non anche dell’imperatore:
nulla mi pesa più che l’attendere ciò, specialmente perché spero che avvenga per i miei scritti. Che
non ci giunga più l’eco di orribili voci: fazioni ecclesiastiche, fazioni contrarie alla Chiesa; la
Chiesa combatte contro i perugini o contro i bolognesi. Non è la Chiesa che combatte contro i
cristiani ma il papa; la Chiesa combatte gli spiriti del male nel cielo.
Allora il papa sarà chiamato e sarà realmente padre Santo, padre di tutti, padre della Chiesa; non
susciterà guerre tra i cristiani, ma con apostoliche censure e con la maestà del papato spegnerà le
guerre provocate da altri».

BRANO TRATTO DA "IL LIBRO NERO DEL VATICANO,DI TONY BRASCHI,PAG 20-21
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