sabato 25 giugno 2011

San Giovanni d’Aymo: un “santo” mai esistito

di Valentina Antonucci
Pasquale Urso: Chiesa del Rosario (litografia)
Pasquale Urso: Chiesa del Rosario (litografia)
Nel mondo cattolico, fin dall’antichitàogni edificio sacro è dotato di un’intitolazione che si riferisce a culti o figure religiose: si hanno diversi titoli mariani, cristologici, trinitari e infine, in misura forse prevalente, intitolazioni ai santi.
La città di Lecce non fa eccezione: a fronte di molte dedicazioni mariane, la gran parte delle sue chiese portano il nome di un santo. Citando a memoria e in disordine topologico: San Matteo, San Francesco d’Assisi, i Santi Niccolò e Cataldo, San Marco, San Sebastiano, San Giovanni di Dio, San Nicolò dei Greci, San Michele Arcangelo, Sant’Irene, Santa Chiara, San Lazzaro, San Giacomo, Sant’Antonio da Padova, Santa Teresa, Sant’Anna, San Giovanni Evangelista e… San Giovanni d’Aymo! 
“San Giovanni d’Aymo?!”, chiederà qualcuno, smarrito e un po’ vergognoso di non trovare nella propria memoria nessun personaggio di tale nome elevato agli onori degli altari. Si tranquillizzi: in effetti, tale personaggio non esiste.
“Ma, allora, perché gli hanno dedicato una chiesa?!”, insisterà alquanto impermalito il nostro interlocutore… Be’, onestamente, una spiegazione gliela dobbiamo!

Alt.Rosario
Lecce, chiesa del Rosario, altare della confraternita del Rosario
Questa è una storia tipicamente leccese: vi è in città una chiesa… intitolata a un santo che non esiste! In realtà, le cose non stanno come sembrano. Certo, se apriamo quella vera e propria “bibbia” dell’architettura sacra leccese, ancora insuperata per completezza e informatività, che è il libro di Michele Paone Chiese di Lecce, a pagina 235 del primo volume troviamo un capitolo dedicato alla chiesa di San Giovanni d’Aymo. Si tratta della grande chiesa che incontriamo sulla destra entrando nel centro storico della città attraverso Porta Rudiae: chiesa nota come il Rosario per il fatto che al suo interno trova posto un grandioso altare lapideo intitolato alla Madonna del Rosario, presso il quale si radunava in passato l’omonima confraternita.
Ricostruita di sana pianta tra il 1691 e il 1711 in splendide forme barocche, la chiesa in realtà preesisteva, insieme al convento (in cui ha ora sede l’Accademia di Belle Arti), fin dal tardo Medioevo. La storia della sua fondazione spiega la stranezza del nome con cui popolarmente viene definita, riportato anche dal Paone: San Giovanni d’Aymo, appunto.
Nel 1388 un ricchissimo leccese, Camerario della città, tal Giovanni d’Aymo, decise di devolvere una parte ingente dei propri beni alla costruzione di una residenza per i padri Domenicani e di una grande chiesa che da loro sarebbe stata officiata. Erano i tempi in cui Maria d’Enghien e suo marito Raimondello Del Balzo Orsini fondavano la magnifica costruzione di S. Caterina in Galatina, in pieno stile gotico: dunque anche la chiesa di Giovanni d’Aymo, che dei conti di Lecce fu sodale e prestatore di denaro, venne fabbricata “tutta à volta con le crocere al modo Francese”, come la descrive Giulio Cesare Infantino (Lecce Sacra, 1634, ed. Bologna 2005, p. 19). Essa fu intitolata al Precursore di Cristo, san Giovanni Battista, eponimo del fondatore, che del santo dovette essere particolarmente devoto. E’ dunque questo il titolo della chiesa: San Giovanni Battista!
La grandiosità della fondazione, la generosità con cui il d’Aymo provvide ulteriormente i padri domenicani di cospicui lasciti, documentati dal suo lungo testamento redatto nel 1394, l’importanza dell’altra grande opera finanziata dal medesimo personaggio proprio di rimpetto al convento, l’Ospedale dello Spirito Santo, fecero sì che l’intera isola della città, nonché la chiesa e il convento prendessero il nome del d’Aymo. Lo stesso Giulio Cesare Infantino intitola il suo capitoletto dedicato alla chiesa: “DI SAN GIOVAN D’AIMO”. Con questo nome popolare i leccesi hanno continuato a chiamarla e la chiamano tutt’oggi, pur avendo, credo, i più perso memoria dell’origine di tale denominazione.
E memoria si è persa anche della fosca leggenda che circondò il generoso finanziatore, la cui ricchezza veramente eccessiva dovette suscitare ai suoi tempi molta malevolenza e morbosa curiosità: alle quali si diede sfogo diffondendo un racconto secondo il quale il d’Aymo, povero e oscuro calzolaio-portinaio, avendo incontrato per caso un pellegrino d’Oltralpe che si recava nel Salento per recuperare un favoloso tesoro, di cui incautamente rivelò il nascondiglio, avrebbe assassinato il malcapitato e fatto proprio il valsente ricavato da tanto crimine, divenendo ricchissimo. Tale leggenda è riportata dal cronista Bernardino Braccio e dal poligrafo Jacopo Antonio Ferrari. Lo stesso Infantino, pur dotato di gesuitico spirito critico, non può far a meno diaccogliere parzialmente la leggenda, tacendone prudentemente l’aspetto più ripugnante e limitandosi a dire che:
E’ traditione antica, che questo Gio. d’Aimo havesse ritrovato un Tesoro manifestatoli da un cert’huomo, venuto fin da Francia à posta. Et ha ciò del verisimile, poiché con essere Giovanni huomo molto ordinario non solo lasciò (come s’è detto) molti beni a detto convento, e fabricò la Chiesa; ma anche molti altri beni à diverse persone, fondò lo Spedale, dotandolo di buona rendita, e prestò in quei tempi, come dal medesimo testamento appare, à D. Maria d’Engenio moglie di Raimondo del Balzo Ursino, Contessa di Lecce, una buona somma di danari.
Un “san Ciappelletto”, dunque, il nostro Giovanni d’Aymo? Be’, sulla sua virtù non possiamo giurare così come alla leggenda del tesoro non vogliamo credere, ma una cosa resta certa: che alla sua sconfinata ricchezza e alla sua devozione dobbiamo due delle più importanti e prestigiose fondazioni religiose e assistenziali di Lecce, il grandioso convento dei Domenicani con la chiesa di San Giovanni Battista e lo straordinario Ospedale dello Spirito Santo, conservatosi nelle austere e belle forme rinascimentali dategli nel XVI secolo dall’architetto Gian Giacomo dell’Acaya.
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