domenica 12 dicembre 2010

Il falso martirio dei cristiani di Nerone

Il Coodex Laurentianus Mediceus M II, conservato presso la Biblioteca Medicea Laurenziana in Firenze, è il manoscritto più antico che attesta il famoso brano su Cristo e i Cristiani, riportato nel XV Libro, cap. 44, degli Annales di Tacito. La sua datazione è collocata dai paleografi intorno all’XI secolo, cioè un millennio dopo la morte dello storico latino, ed è l'archetipo di altri codici copiati in epoca ancora più tarda.
Da oltre un paio di secoli la sua autenticità è oggetto di controversia fra i massimi esperti della materia e, superfluo a dirsi, viziata da posizioni ideologico fideiste di parte che rappresentano l’ostacolo principale a chiudere definitivamente la questione.
La posta in gioco è alta: si tratta della testimonianza più importante sull’esistenza di Gesù e i suoi seguaci nel I secolo proveniente dalla più autorevole fonte extracristiana. Ancor più significativa di quelle di Giuseppe Flavio, Svetonio e Plinio il Giovane.
Tutt’oggi il dibattito è ancora incentrato sull’analisi paleografica del documento e, come appena rilevato, è sempre in fase di stallo, per di più, gli esperti sanno che "La paleografia è una scienza fondata su stime di massima, insicure a causa dell’arco di tempo trascorso così esteso; è un metodo che, troppo spesso, viene fatto passare come una certezza per confondere i non specialisti, pertanto è storicamente scorretto”. (Robert Eiseman, uno dei più importanti paleografi del mondo).
Tutto ciò premesso, sappiamo che esistono altre metodologie scientifiche basate su dati oggettivi inconfutabili come archeologia, numismatica e testimonianze storiche comparate le quali ci consentono di pervenire ad una conclusione storiologica definitiva.


Le “Testimonianze” di Tacito e Giuseppe Flavio su Gesù.

I parte: sintesi.

Con questo studio intendiamo mettere a confronto le informazioni, ad oggi pervenuteci tramite copie manoscritte non originali, di Cornelio Tacito e di Giuseppe Flavio - gli unici storici che citano “Cristo”, identificandolo esplicitamente col “Gesù” dei Vangeli - per verificare se, dagli scritti tramandatici, viene effettivamente comprovata l’esistenza del “Figlio di Dio” nel I secolo, oppure si tratta di menzogne apportate nei documenti da copisti falsari allo scopo di rendere più credibile la dottrina cristiano-gesuita.

Alla fine del I secolo, nelle sue opere, giunte sino a noi tramite manoscritti medievali, il sacerdote fariseo Giuseppe Flavio riferisce gli atti basilari delle quattro correnti religiose ebraiche esistenti in Giudea sino a quando rimase in vita: Farisea, Sadducea, Essena e Zelota.
Viceversa lo storico ebreo non descrive i principi della religione chiamata “Cristianesimo” o “Messianismo”, tuttavia, nella sua narrazione, in due brani cita “Gesù Cristo” (Testimonium Flavianum) e “Giacomo fratello di Gesù Cristo”, pertanto, scopo della nostra indagine è approfondire il motivo di questa incoerenza.
Contraddizione che ritroviamo anche in Tacito, quando, nella sua opera “Historiae”, spiega i fondamenti della religione ebraica in Giudeasenza accennare ad alcun Cristianesimo” e, tanto meno, ai criteri essenziali della nuova dottrina (pur avendo ricevuto l’incarico ufficiale di sorvegliare i culti stranieri); mentre nell’altro suo lavoro, “Annales”, cita “Cristo” e “Pilato” quando narra il martirio dei cristiani a Roma, in conseguenza del famoso incendio, ravvisando nella Giudea la terra d’origine del Cristianesimo”.

Come stiamo per verificare, entrambi gli storici avrebbero avuto forti motivazioni per indagare sui precetti e le finalità del movimento cristiano gesuita, se veramente fosse esistito nel I secolo.
Anche Gaio Svetonio Tranquillo parla di “cristiani” del I secolo e di lui riferiamo tra poco perché la sua testimonianza, già da sola, comprova che “Cristo”, a se stante, non distingue il “Cristo” giudaico dell’Attesa messianica ... dal “Cristo Gesù” dell’Avvento.
Lo stesso dicasi per Gaio Plinio Cecilio Secondo, detto Plinio il Giovane, che, all’inizio del II secolo, come vedremo più avanti, nella X epistola a Traiano, oltre a “Cristo” cita i “cristiani” ma, l’assenza del nome di quel Messia significa che per quei cristiani “Gesù” non era ancora venuto.
  Nelle testimonianze storiche, la mancanza di “Gesù”, cioè “Salvatore”, è un particolare di importanza fondamentale; infatti gli Ebrei chiamavano “Salvatore”, inteso come attributo divino, i condottieri che riuscivano a liberare, come Giosuè, la “terra promessa” dal dominio dei pagani … salvo poi disconoscerli quando venivano sconfitti. Le locuzioni “Cristo” e “Cristiani” sono generiche e si riferiscono a fedeli giudei, cioè Ebrei della diaspora, esuli, promotori di sommosse, vittime di repressioni o guerre giudaiche, sparsi nelle province dell’Impero in “Attesa” del loro Messia.

Il significato indeterminato di “cristiani” sarà sfruttato successivamente dalla Chiesa e fatto passare come “credenti cristiani gesuiti” per i quali “l’Avvento” del Messia, cui verrà dato nome “Gesù”, si era già concretizzato entro l’anno 30-31 del I secolo. Qualunque dicitura come “Cristo” o “cristiani”, riportata dagli scrittori dell’epoca, secondo la Chiesa, doveva riferirsi al loro unico CristoGesù. La Chiesa ne ha sempre riconosciuto solo uno e “doveva” essere Lui: era la sua dottrina ed è logico che sia stato così. Non è logico, invece, che gli “storici” spiritualisti moderni avallino questa “fede” facendola passare per “storia”.
Detto in parole più semplici: “cristiano” era colui che aspettava Cristo, e “cristiano” era colui convinto che il Messia fosse già venuto. Ciò che li distingueva era il nome “Gesù”, col quale i secondi battezzarono il Messia; mentre i primi non poterono battezzare nessuno perché, per loro, non era ancora giunto il vero Messia divino.

I “cristiani” di Plinio il Giovane erano “messianisti” ebrei Esseni di Bitinia non ancora raggiunti dal mutamentognostico iniziale del “Messia Salvatore”, avviatosi lontano, nell’alto Egitto, ove si erano rifugiati gli Esseni zeloti perseguitati da Vespasiano. In Bitinia, i “messianisti” non sapevano nulla del “Dio universale” che verrà inventato successivamente; erano sempre in “attesa” del “Messia davidico” giudaico, unica speranza ad essi rimasta da contrapporre all’enorme potere militare romano che aveva distrutto, quarant’anni prima, la Città Santa e il Tempio di Dio.
Praticavano la liturgia essena del pasto comunitaro, riportata nella loro “regola” (Rotolo di Qumran) assieme agli altri principi che saranno mantenuti dai futuri cristiani gesuiti; ma, se quei fedeli fossero stati seguaci di “Gesù”, appartenenti al nuovo cristianesimo riformato in un Messia che, come una Hostia sacrificale pagana, si propose per essere mangiato, corpo e sangue: cioè una fede diversa da quella ebraica … per distinguersi ed evitare equivoci lo avrebbero chiamato col nome completo “Gesù Cristo”, non soltanto “Cristo”, consapevoli che il “Messia” era la divinità che interessava anche i Giudei, e da essi profetato, come dimostrano i rotoli del Mar Morto.

Essendo stato un suo compito specifico, per aver fatto parte di un collegio sacerdotale designato a sorvegliare i culti stranieri, Tacito, nelle sue “Historiae“, dedica buona parte del Libro V per descrivere la religione e le vicende del popolo giudaico, dal lontano passato sino al 70 d.C..
Negli “Annales”, a seguito del devastante incendio di Roma, è scritto:

“coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’imperatore Tiberio, tramite il procuratore Ponzio Pilato era stato sottoposto a supplizio; repressa per il momento, quella rovinosa superstizione dilagava di nuovo, non solo per la Giudea, luogo d’origine del male,ma anche per Roma (Libro XV, 44).

Ma nelle sue Historiae” Tacito non fa il minimo accenno a Gesù Cristoal cristianesimo, al ProcuratorePonzio Pilato e agli Apostoli”.
E’ impossibile non rilevare che la grave lacuna nelle “Historiae” diventa una esplicita contraddizione degli “Annales”: Tacito avrebbe dovuto essere iper sensibilizzato al problema del nuovo “cristianesimo gesuita” proprio per la gravità di quanto accaduto a Roma, nel 64 d.C., ad epilogo del devastante incendio che vide - secondo lo scritto pervenutoci dei suoi Annali - come vittime sacrificali, crocefissi una “ingente moltitudine” di cristiani accusati da Nerone di avere incendiato l’Urbe.

Come! … Nella terra di Cristo, la Giudealuogo d’origine dove il male dilagava”, lo storico non sente il dovere di indagare sulle misure repressive, messe in atto da un “Procuratore” imperiale di Tiberio, tese a stroncare il “grave flagello” e culminate con l’uccisione del capo di un “culto straniero”?. Racconta della Giudea, dei suoi abitanti, del loro unico Credo ebraico, e non sente il dovere di approfondire quali furono le motivazioni religiose, lì originate, che trascinarono “una ingente moltitudine” di cittadini cristiani nel più drammatico martirio collettivo, da lui descritto negli “Annali”, spettacolare e unico nella storia di Roma.
Niente! Nella sue Historiae non si parla di Gesù. Su ebraismo e Giudei: tredici capitoli; su cristianesimo, Gesù Cristo e Apostoli: neanche una parola ... No! Tacito non scrisse quel capitolo degli “Annali”! ...

Nel I secolo, dei tanti prodigi esibiti dal “Maestro” e dai “Dodici” non ne sentirono parlare: né Tacito, nelle sue “Historiae”; né gli Esseni nei loro rotoli manoscritti; né lo storico ebreo Giuseppe e … nessun altro. Ma, soprattutto, non ne sentirono parlare, e tanto meno videro, i Giudei, abitanti nel “luogo d’origine dove il male dilagava ”… troppo impegnati a combattere i pagani, invasori della loro terra.
Essi continuarono a sperare che un condottiero, il vero Unto Divino, li guidasse alla vittoria … sino al 132 d.C., quando, sempre in “Attesa” del loro “Salvatore”, lo ravvisarono in Simon bar Kokhba: fu su di lui che riposero le ultime speranze di riscatto.
L’Avvento del “Salvatore”, identificato dai Giudei in Simone bar Kosìba, chiamato col nome profetico messianico “Figlio della Stella” (Kokhba), dimostra che il messianismo gesuita, conseguente all’Avvento di Gesù” nella loro terra un secolo prima, è un’invenzione che viene spazzata via dalla Storia come carta straccia a conferma delle falsificazioni contenute nelle “Sacre Scritture”.

All’infuori della “vampata” di cristiani apparsa nel cap. 44 del XV libro degli Annali, nelle opere di Tacito, nulla risulta che si riferisca al cristianesimo di “Gesù”, ai suoi capi e i loro prodigi, alla sua ideologia ed ai decreti di Roma che, secondo i “Padri della Chiesa”, ordinavano la persecuzione dei suoi adepti. No! Non fu Tacito lo scriba dello spettacolare martirio ardente!
Un erudito “Padre”, l'apologeta cristiano Q. Settimio Valente Tertulliano, riferì questa importante testimonianza su Tacito:

Apologeticum XVI: “ Stupida e falsa è l’accusa che i Cristiani adorino una testa d’asino. E invero, come ha scritto un tale, avete sognato che una testa d’asino è il nostro Dio. Codesto sospetto lo ha introdotto Cornelio Tacito. Costui, infatti, nel libro quinto delle sue Storie, prendendo a congetturare quello che ha voluto sul nome e la religione della gente, narra che i Giudei, liberati dall’Egitto o, com’egli credette, banditine, trovandosi nelle vaste località dell’Arabia, quanto mai prive d’acqua, tormentati dalla sete, su l’indizio di onagri che si recavano dopo il pasto a bere, poterono far uso di sorgenti; e per questo beneficio la figura di una simile bestia consacrarono. Così si presunse che anche noi Cristiani, come parenti della religione giudaica, alla adorazione della medesima immagine venissimo iniziati. Vero è che Cornelio Tacito, pur essendo quel gran chiacchierone di menzogne …” 

Tertulliano (160 - 220 d.C.), senza rendersene conto, dimostra che i Cristiani (gesuiti), erano equiparati ai Giudei dai Romani, e di questo incolpa lo storico Tacito … ma, nel 200 d.C., Tertulliano (che aveva letto Tacito), se avesse trovato scritto:

“…coloro che, odiati per le loro nefande azioni, il popolo chiamava Cristiani. Il nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’Imperatore Tiberio, tramite il Procuratore Ponzio Pilatoera stato sottoposto a supplizio…”

come avrebbe potuto riportare le affermazioni di Apologeticum XVI, dal momento che lo storico latino, secondo quanto interpolato dagli scribi falsari, sapeva perfettamente che i Cristiani erano seguaci di Gesù Cristo?
E’ evidente che Tertulliano, quando scrisse l’Apologetico, non poté leggere il cap. 44 del libro XV degli Annali perché l’episodio dello spettacolare martirio non era ancora stato inventato dai futuri, Venerabilissimi e Santi Padri, garanti della “Verità della Fede Cristiana Gesuita”; ad iniziare proprio da Tertulliano.
Il “Padre” accusa Tacito di essere “gran chiacchierone di menzogne” … ma, più avanti, saremo noi a dimostrare che il vero falsario fu proprio lui: sia quando si inventò il decreto del Senato che vietava il culto di Gesù Cristo, sia per aver fatto “testimoniare” a Tiberio l’Avvento di Gesù. 

Ma non  basta.
Se lo storico latino avesse compilato di suo pugno il brano su riportato nel cap. 44 non avrebbe mai scritto che Ponzio Pilato era un “Procuratore”, bensì un “Prefetto”.
Il 6 d.C., esiliato da Augusto l’Etnarca Erode Archelao, sul suo ex territorio fu costituita la Provincia romana di Giudea, Samaria e Idumea, annessa amministrativamente e giuridicamente alla Siria. Venne affidata a Coponio, un governatore di rango equestre con il titolo di “Praefectus”, al comando di più coorti ausiliarie formate da uomini reclutati nelle province e due o più ali di cavalleria, col compito principale di garantire l’esazione dei tributi dovuti a Roma e, nel contempo, mantenere l’ordine pubblico.
L’annessione comportava una subordinazione giurisdizionale al Legato di Siria, sia militare che amministrativa, come sopra visto, attuata, prima, con l’intervento di “tassazione” effettuato da Quirino tramite il censimento e, dopo, con quello di “detassazione”, effettuato da Vitellio nel 36.

Col titolo di “Praefectus” i Governatori della Provincia si susseguirono in tale ufficio sino al 41 d.C., anno in cui Claudio decretò la riunificazione del grande regno di Palestina sotto Erode Agrippa I … e i territori assegnati comprendevano la Giudea (Ant. XIX, 351).
Era dall’epoca di Erode il Grande che la Palestina non veniva riconosciuta come grande regno unificato e, in conseguenza di ciò, Roma smise di inviare i Prefetti che, sino allora, avevano governato la Giudea da quando fu esiliato Archelao.
Claudio, proponendosi di rendere più efficiente il sistema burocratico amministrativo dell’aerarium, (guerre e legionari costavano) lo centralizzò accentuandone il controllo diretto e, alla morte di Erode Agrippa, nel 44 d.C., ricostituì nuovamente la Provincia su tutto l’ex Regno, pertanto molto più estesa, incluse Giudea, Samaria, Idumea, Galilea e Perea, poi “mandò Cuspio Fado come Procuratore della Giudea e di tutto il regno” (Ant. XIX, 363) e da quel momento in poi, l’ufficio e di conseguenza il titolo dei Governatori romani, in quel territorio, divenne “Procurator”, appunto per rimarcare la maggiore responsabilità e cura amministrativa autonoma dei beni per conto dell’Imperatore.

I nuovi Procuratori, come prima i Prefetti, disponevano di “una schiera (due ali) di cavalleria, composta da uomini di Cesarea e di Sebaste, e di cinque coorti” (Ant. XIX, 365) “alcune ali della cavalleria” (Svet. Cla. 28), ma, sotto il profilo giurisdizionale e militarerimanevano subordinati al Governatore di Siria, luogotenente dell’Imperatore e comandante di almeno quattro legioni oltre ai corpi ausiliari.

Nel 1961, archeologi italiani, a Cesarea Marittima, in un anfiteatro di quella che fu la antica capitale romana della Provincia di Giudea, rinvennero una lapide (di cm.82 x 65) con scolpito nella pietra:

TIBERIEVM
PONTIVS PILATVS
PRAEFECTVS IVDAEAE

Inequivocabile!… Ma, allora, come è potuto succedere che Tacito - alto funzionario in carriera, dopo ad aver ricoperto importanti incarichi, compreso il consolato, sino a quello di Governatore d’Asia, e conosciuto, per esperienza diretta, i rapporti gerarchici connessi a tale responsabilità - nel libro XV degli Annali al cap. 44, abbia potuto scambiare un “Prefetto” per un “Procuratore”?.  
Ci arriviamo subito. Lo stesso errore, guarda caso, lo commette san Luca nel suo vangelo, di cui riproduciamo sotto i passi interessati (Lc. 3, 1), ripresi nel “Novum Testamentum” Graece et Latine, H. Kaine, Paris: Ed. F. Didot, anno 1861 e, nel “Novum Testamentum” Graece et Latine, A. Merk, Roma: Pont. Ist. Biblico, anno 1933:
I traduttori latini del vangelo di Luca dal greco, sin dall’inizio (Vulgata di san Girolamo), riportarono la unica“qualifica precisa” di Pilato come “procuratore”, nonostante provenisse da due vocaboli greci di significato diverso trascritti in due codici distinti.
Successivamente, quando il copista falsario decise di introdurre nella storia dell’incendio di Roma la notizia del “sacrificio” di Gesù, lo abbinò, ovviamente, al nome del suo “sacrificatore”, cioè Ponzio Pilato, che sapeva essere“procuratore” dopo aver letto il passo del vangelo tradotto in latino.
Era consapevole di manipolare lo scritto in latino dell’importante storico e questa “precisazione storica” richiedeva un riscontro che trovò nello stesso Tacito (Ann. XII, 54 e 60) quando lo scrittore chiama (giustamente dal 44 d.C. in poi, ma non prima del 41, come stiamo per dimostrare) “Procuratori” di Galilea e Samaria, Ventidio Cumano e Antonio Felice.

Tutto doveva coincidere: la storia che Tacito aveva fatto conoscere agli uomini e la storia che Dio aveva fatto conoscere all’evangelista. La storia doveva confermare la parola di Dio: la Verità da Lui dettata all’evangelista e riportata nel Vangelo.
Verificata la corrispondenza fra san Luca e Tacito, “l’Abate Priore”, senza rendersene conto, ordinò agli abatini amanuensi, di riprendere la qualificaspecifica ma erratadel Vangelo di Luca trasferendola nellatestimonianza” di Tacito.
Scusate … scappa da ridere, ma accadde proprio così: gli ingenui copisti falsari rimasero vittime della loro … “buona fede”.
Questo spiega perché, da mezzo secolo, cioè, da quando fu scoperta la famosa lastra di pietra con scolpito il nome e la qualifica di Ponzio Pilato, gli storici “ispirati” hanno iniziato a convocare congressi, scrivere libri, verbali e relazioni solo su questi quattro vocaboli: Ponzio Pilato Prefetto di Giudea … mentre il popolo dei lavoratori, impegnato a sbarcare il lunario, non si capacitava del perché tanto interesse.
Però loro, gli “esegeti genuflessi”, avevano già compreso il significato di quella scritta e tratto le conclusioni: la “dimostrazione” storica dellesistenza di Gesùtestimoniata da Tacito nel cap. 44 libro XV degli Annali, era saltata … non solo, era diventata una prova che, una volta scoperto limbroglio, gli si ritorceva controdimostrando che il cap. 44 fu una interpolazione creata da scribi falsari cristiani per far risultare nella storia ciò che non era vero: a Roma, nel primo secolo, una “ingente moltitudine di seguaci della setta di Gesù Cristo”era un falso conclamato.

Una volta sconfessato dall’archeologia, l’attributo di “Procuratore”, riportato a suo tempo su milioni di Vangeli di Luca in tutto il mondo, diventava, di conseguenza, la conferma della falsificazione dello scritto di Tacito.
Allora gli ispirati storici baciapile corsero ai ripari studiando la strategia da seguire: prima di tutto, per evitare confronti diretti, eliminare, nelle successive edizioni dei Vangeli in lingua moderna, la qualifica di “procuratore”, sostituendola con il più generico “governatore” e, per ovviare al passato, sminuire, sempre e il più possibile, la differenza tra “Procuratore” e “Prefetto”… fino al punto da non poterli più distinguere.

Sapevano e sanno che i vocaboli originali scritti in greco nei vangeli non importano.
La testimonianza di Tacito venne trascritta in latino da scribi falsari che si susseguirono nei secoli e a loro risultava che Ponzio Pilato era “Procuratore” perché il vangelo latino di Luca lo definì tale … e questo era quanto.
Agli storici mistici odierni interessa che i “beati poveri di spirito” continuino ad inginocchiarsi davanti a statue, simulacri e feticci per conservare il potere secolare della Chiesa; pertanto, poiché “Prefetto” e “Procuratore” sono troppo facili da comprendere, derivando l’italiano dal latino, hanno riempito di chiacchiere complicate e senza costrutto relazioni e libri, tirando in ballo il greco, che “ci entra come i cavoli a merenda”, per concludere che Tacito, indifferentemente, avrebbe potuto scrivere sia “praefectus” che “procurator” e, se scrisse “procurator”… fu un caso.
Finsero e fingono di ignorare che Tacito visse nel I secolo e conosceva per esperienza diretta i compiti di entrambi i funzionari, lo stesso vale per Giuseppe Flavio, inoltre, entrambi potevano consultare gli Archivi Imperiali e gli Atti del Senato. Non potevano sbagliare sulla investitura di un funzionario che operava in una Provincia imperiale. Incarico preciso e definito, vigente nel I secolo; come stiamo per dimostrare.

Dalla traduzione delle copie manoscritte dal greco delle opere di Giuseppe Flavio, fatteci pervenire, oggi leggiamo che Pilato era “Procuratore”, ma … quali copie manoscritte dell’ebreo lessero i primi traduttori in latino dal grecoquando riportarono che, Coponio, Marco Ambivolo, Annio Rufo, Valerio Grato e Ponzio Pilato, dal 6 d.C. in poi, furono tutti “Praefectus” o “Praefes”?.
Come esposto in: FLAVII IOSEPHII “ANTIQVITATVM IVDAICARVM” Libri XX, "DE BELLO IVDAICO" Libri VII, per Hier.Frobenium et Nic. Episcopium, Basileae, MDXLVIII (Lib. XVIII cap. I e seg.), anno 1548e come risulta in altri testi tradotti dal greco, risalenti allo stesso secolo, che abbiamo copiato con fotocamera digitale.
Dagli stessi documenti risulta che, successivamente, Cuspio Fado viene indicato come “Procurator”, distinguendo nettamente i due incarichi. Inoltre, P. Sulpicio Quirino, l’esecutore del censimento voluto da Cesare Augusto il 6 d.C., giustamente, viene indicato come “Procurator”.

Questa è la prova che cinque secoli fa erano ancora in circolazione copie di codici manoscritti di opere dello storico ebreo non ancora “epurati” in questo particolare e, nel contempo, è la dimostrazione che la documentazione, fattaci pervenire dal lontano passato dagli esegeti credenti, fu “scelta” e “ufficializzata” allo scopo di depistare la ricerca riportando appositamente, perchè risultasse come tale, “Procuratore” Ponzio Pilato, in “Antichità Giudaiche” e in “La Guerra Giudaica”, e coprire”, in tal modo, lerrore contenuto nel vangelo di Luca, e quello, conseguente, del passo falsificato di Tacito.

Il sistema di stampa di Gutemberg stava diffondendo, oltre la Bibbia, le opere di Giuseppe Flavio e Tacito, ma, l’errore “dettato da Dio” all’evangelista Luca, dopo essere stato riportato negli “Annales” dello storico latino, costrinse i copisti amanuensi a correggere i manoscritti di Giuseppe Flavio, che ancora riportavano il vero titolo di “Prefetto” da Coponio a Pilato ... e far sparire quelli già copiati correttamente.
Accortisi che l’errore riportato nei vangeli fu ripreso e riportato negli “Annali” di Tacito, i falsari compresero che gli storici li avrebbero collegati e, scoperto l’inganno, denunciato la falsità del martirio di cristiani fatto da Nerone … pertanto i “Prefetti” citati da Giuseppe Flavio, nelle sue opere, dovevano diventare tutti “Procurator”… come quello di Tacito falsificato.
E’ da molti secoli addietro che gli amanuensi decisero di “correggere” la storia per salvaguardare la “credibilità” degliscritti sacri, poiché questi, con gli sbagli contenuti, erano ormai enormemente diffusi e ricopiati dai religiosi che li diffondevano in tutto il mondo. Al contrario, i manoscritti originali di Giuseppe Flavio, rarissimi ma richiesti ed accaparrati esclusivamente da loro, furono riscritti e poi distrutti.
Errori e manomissioni coperti dagli esegeti genuflessi odierni, nonostante gli sia caduta una lapide in testa, schiacciandone … la logica.

Dalla documentazione trasmessaci dagli scrittori d’epoca si possono definire in modo preciso le funzioni e le responsabilità amministrative, giuridiche e gerarchico-militari dei Luogotenenti, dei Procuratori e dei Prefetti che governarono nella Provincia imperiale di Siria.
Durante l’epoca del Principato, a partire dall’incarico di “Procuratore di tutta la Siria”, conferito da Augusto ad Erode il Grande, la differenza fondamentale tra la funzione di “Procuratore” e quella di “Prefetto” consisteva nel fatto che, il primo - oltre a governare, difendere e mantenere l’ordine pubblico nel territorio assegnatogli (compito sin qui analogo al Prefetto) - come “curatore” aveva, in più, un “mandato” con il potere di censire, stimare, espropriare, accatastare e prendere decisioni prettamente amministrative, comprese quelle tributarie, finalizzate a migliorare le rendite dei territori assoggettati al dominio dell’Imperatore.

Sotto il profilo economico-militare, un territorio sottomesso all’Impero poteva essere governato, amministrato e “curato” da un Re indigeno (ovviamente insediato o ratificato dal Cesare), oppure da un “Governatore” che poteva essere un funzionario romano, incaricato dal Senato o dall’Imperatore, di rango equestre o di rango consolare o pretorio; oppure, a partire dal 53 d.C., con un editto di Claudio (Ann. XII, 60), addirittura un liberto fiduciario del Principe … da lui scelto a seconda della grandezza o importanza economica del territorio o singola città.
“Le sentenze emesse dai suoi Procuratori dovevano avere la stessa efficacia di quelle pronunciate da Claudio(ibid.). Con questo decreto Claudio confermò Antonio Felice, fratello del liberto Pallante, “Procuratore” della Giudea. Fatto non condiviso da Tacito che contro di lui così si espresse:
Claudio affidò la provincia di Giudea a cavalieri romani o a liberti. Uno di questi, Antonio Felice, esercitò poteri regali con animo da servo, fra violenze e arbitrii di ogni tipo” (His. V, 9).
Questo particolare sta a significare che i Romani e gli storici dell’epoca seguivano con interesse il potere politico di chi amministrava quella Provincia.

Quando la costituzione del governo di un territorio, sottomesso all’Impero, da monarchica veniva modificata in quella egemonica imposta direttamente da Roma, il Cesare, attraverso un funzionario da lui delegato, era interessato a verificare o rivedere le stime delle rendite precedenti. Quanto più l’estensione o l’importanza economica del territorio si ingrandiva, tanto più le rendite dovevano aumentare.
Solo un “Legato di Augusto”, con mandato specifico, e un “Procuratore” potevano “curare” amministrativamente tali interessi, assumere iniziative ed emettere norme a tal fine. Al contrario, un cavaliere “Prefetto” aveva il dovere di applicare le normative e il potere di farle rispettare; non di modificarle. Il compito di un Prefetto era preminentemente militare e nella Provincia imperiale di Giudea l’incarico era ricoperto da cittadini romani di rango equestre al comando di più coorti, ognuna delle quali agli ordini di un Tribuno.
Nell’ambito del territorio della Provincia assegnatagli, il “Praefectus” agiva come un Comandante di Brigata, inserito nella gerarchia militare e subordinato solo al Luogotenente dell’Imperatore, Capo di Stato Maggiore, ed allo stesso Principe.
Come abbiamo visto nei due passaggi sopra riportati, Sabino (Ant. XVII, 221/223) fu il primo “pro curatore romano che si prese cura del Regno alla morte di Erode il Grande” … e, Cuspio Fado (Ant. XIX, 363) fu il primo “pro curatore” romano che si prese “cura” del Regno alla morte di Erode Agrippa il Grande.

Dopo la morte di Erode il Grande e dieci anni di guerre e rivoluzioni giudaiche, Cesare Augusto, esiliò Archelao e dette un incarico di eccellenza al suo Legato di Siria, comandante di più legioni, Publio Sulpicio Quirino, per effettuare il censimento della Siria (Erode ne fu Procuratore) e dei territori ad essa annessi, pertanto …
Quirino visitò la Giudea, allora annessa alla Siria, per compiere una valutazione delle proprietà dei Giudei e liquidare le sostanze di Archelaoe nello stesso tempo ebbero luogo le registrazioni delle proprietà” (Ant. XVIII 1-2, 26); contemporaneamente l’Imperatore inviò …
“Coponio, di ordine equestre, visitò la Giudea; fu inviato (da Cesare) con lui (assieme a Quirino) per governare sui Giudei con piena autorità” (ibid.).
Lo storico, descrivendo i compiti assegnati da Cesare Augusto, è chiaro: al contrario di QuirinoCoponio non ebbe l’incarico di curatore” dei beni imperiali, così come, dopo di lui, quelli che lo sostituirono si limitarono a difendere e conservare quei “beni” essendo cavalieri “Prefetti”.
Lucio Vitellio, nel 36 d.C., Legato di Siria su mandato di Tiberio, con pieni poteri su tutto lOriente, poté tassare i Cieti, detassare i Giudei e…destituire Pilato.

Gli scribi cristiani sostituirono “Prefetto” con “Procuratore”, come erroneamente riferito nel vangelo latino di Luca,senza capire che gli storici del I secolo, in base al volere dei Cesari, attribuirono compiti diversi ai due funzionari imperiali.

Ponzio Pilato fu un Prefetto, non un Procuratore, perciò Tacito non fu lo scriba del martirio di

“Cristiani, il cui nome derivava da Cristo, il quale, sotto l’Imperatore Tiberio, fu condannato a supplizio tramite il Procuratore Ponzio Pilato…” 

… ma, ancora non basta …

II parte: sintesi.
Sin dall’inizio del III secolo i “Padri” Apologisti si sentirono in obbligo di far “entrare” nella storia “Gesù”, al punto che, ad esempio, Padre Tertulliano si inventò una discussione in Senato, su proposta di Tiberio (che morì il 37 d.C.), mirante a legalizzare il messianismo gesuita.
“Essendo stati annunziati a Tiberio, al tempo in cui il Cristianesimo entrò nel mondo dalla Palestina, i fatti che colà la Verità aveva rivelato della Divinità stessa, votando egli per primo favorevolmente. Il Senato, poiché quei fatti non aveva approvati, li rigettò ” (Apo. V, 2).
Lo scopo era duplice:
1°, far risultare che sin dalla sua morte si era affermato il movimento dei seguaci di Gesù;
2°, mantenerlo fuori legge, con la bocciatura del Senato, per giustificarne le persecuzioni, inventate, da parte degli Imperatori del I secolo … al contrario delle altre religioni che non ebbero alcuna difficoltà ad essere riconosciute e legalizzate, compresa quella giudaica, la più nazionalista.
Infatti, non si capisce perché il “cristianesimo gesuita” non potesse essere professato nell’Impero se la sua dottrina, così come ideata dagli scribi che “crearono” san Paolo e le sue lettere, non conteneva insegnamenti contro le autorità o il potere costituito, semmai ne postulava il servilismo come un ordinamento dettato da Dio:

“E’ bene stare sottomessi e pagare i tributi perché quelli dediti a questo compito sono funzionari di Dio” (Rm. 13)
Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore” (Ef. 6, 5)
Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite perché non c’è autorità se non da Dio, e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio” (Rm. 13, 1/7).

La votazione del Senato, riportata da Tertulliano, ridicola nel contenuto perché nessuno storico riferisce tale decreto avverso il “Cristianesimo”, e tanto meno “lAnnunciazione a Tiberio” (del solito …“Angelo del Signore”?), dimostra l’ipocrisia di cui erano capaci i “Padri”, sin dal III secolo, allo scopo di dare una base di “verità” alla nuova dottrina che andava evolvendosi dalla primitiva esseno giudaica.
Questo “passaggio storico” di Padre Tertulliano è stato ripreso dagli esegeti contemplativi odierni che hanno la sfrontatezza di sottoscriverlo, alcuni da docenti universitari, come un “atto probabile di Tiberio”, ovviamente, con l’intento di “dimostrare” che il “cristianesimo gesuita” già esisteva negli anni 30, e giustificarne “giuridicamente” la persecuzione in virtù del voto negativo del Senato romano. Si, i loro nomi rimarranno nella storia, smentiti sia dalla logica che dalla Storia.

Infatti, ancor prima che “Gesù” venisse crocefisso, Tiberio, nel 29 d.C. “facendo valere l’autorità vincolante del principe privò il Senato di ogni potere” (Ann. V, 5) e fino alla sua morte (37 d.C.), tale organo non votò più in sua presenza limitandosi ad emettere delibere accertandosi, preventivamente, di non contraddirlo.
Il primo che avrebbe riportato il decreto inventato da Tertulliano, se il Senato lo avesse emanato, sarebbe stato Tacito, appunto perché rientrava nella sua funzione di “sorvegliante dei culti stranieri”, esattamente come riferì del decreto emesso da Tiberio, nel 19 d.C., riguardante l’espulsione degli Ebrei con l’obbligo del servizio militare.
Ma se Tacito avesse documentato una tale delibera, Tertulliano la avrebbe citata sicuramente senza inventarla. Controprova: ammettiamo per assurdo (ma, solo per assurdo) che il Senato, sotto Tiberio, avesse emesso un simile decreto … perché Plinio il Giovane sentì il bisogno di scrivere a Traiano per sapere come regolarsi con i “cristiani”, e perché l’Imperatore gli rispose senza fare cenno al decreto emesso dal Senato in precedenza? E’ evidente che il problema “cristiani”, cioè “messianisti non gesuiti”, si evidenziò successivamente.

“Unto”, a se stante, era un titolo e basta e, nel caso esaminato da Plinio il Giovane, il nome di quel “Cristo” era essenziale per identificare il capo di una setta potenzialmente nemica di Roma … ma, come abbiamo visto, “Gesù” non venne fuori dalle risultanze dell’indagine che non fu affatto benevola con i “cristiani” dei quali molti furono torturati e uccisi (erano ebrei messianisti) e, soprattutto, ignorava la relazione di Tacito.
E’ come se Plinio il Giovane non avesse le stesse nozioni sui “cristiani” dello storico di poco più anziano, o meglio … né Plinio né Traiano sentono il dovere di “ricordare” quanto avvenuto a Roma in conseguenza del famoso incendio del 64 d.C. e la altrettanto famosa persecuzione da parte di Nerone dei “cristiani”, i quali furono fatti descrivere da Tacito come nemici affetti da una smodata superstizione”.
Da rilevare che la testimonianza dello storico patrizio doveva essere offensiva verso i “gesuiti” poiché era un sacerdote pagano, viceversa avrebbe palesato la sua falsità … e questo gli scribi falsari lo sapevano.
No!, Tacito, alto funzionario di Roma era conosciuto da entrambi ma, nei suoi “Annales”, non aveva riportato la persecuzione dei cristiani perché Plinio il Giovane e Traiano la ignoravano.

Agli stessi Ebreifino al 70 d.C., non venne fatto obbligo di adorare i Cesari (tranne per Gaio Caligola). Soltanto dopo la guerra, a partire da Vespasiano, come riporta Giuseppe Flavio, i Giudei furono obbligati a “onorare” gli Imperatori (Gue. VII 417/19) perché, secondo Tacito:
“Gli Ebrei non elevano statue, nemmeno templi e rifiutano queste adulazioni ai Re e onore ai Cesari”. (His. V, 5).
Vespasiano non si considerava “Dio” ma, avendoli combattuti di persona, sapeva come fare per distinguere gli Ebrei Zeloti integralisti, i quali, obbedendo alla propria fede nazionalista, non si sarebbero mai sottomessi al dominio di nessun “Padrone” o “Signore” se non al loro Dio Yahwé.
Sino a quella data nessun Imperatore, compreso Nerone, impose il proprio culto tranne Gaio Caligola, dal 39 al 41 d.C.: lui era convinto di essere un Dio ma la sua insanità mentale fu riferita da tutti gli scribi romani.
Poiché nessuno degli storici del I secolo accusa i cristiani gesuiti” di rifiutarsi di venerare Cesare”, o il “Principe”, ne consegue che la mancata persecuzione dei seguaci di Gesùda parte del “Dio” Gaio Caligola che pretendeva di essere adorato come taledimostra che, allora, la Sua setta non esisteva nell’Impero. Secondo lo stereòtipo del "cristiano" inculcatoci nella mente sin da bambini, durante il regno di Caligola, inevitabilmente, si sarebbe formata una lunga lista di martiri da venerare ... se fossero esistiti i cristiani gesuiti.
Chi pagò un grave scotto furono soltanto gli Ebrei alessandrini e poco mancò che il contrasto con la Giudea si trasformasse in conflitto aperto se Gaio Caligola non fosse stato ucciso da un complotto di Stato.   
Che i docenti genuflessi riportino i dati storici precisi prima di propinare sciocchezze a giovani studenti, ignari di subire un lavaggio del cervello.

Ma, ancora non basta.

Capita, a volte, che il silenzio possa diventare una testimonianza.
Ci riferiamo al mutismo di tutti i Padri “apostolici” e “apologisti” della Chiesa Cristiana, dalle origini al IV secolo, quelli cioè coevi o più vicini al grande martirio neroniano: la spettacolare crocifissione di massa, non viene riportata da alcuno scrittore dell’Impero Romano, all’infuori di Tacito, ma, contraddizione grave per la verifica critica, è ignorata anche dagli stessi Padri apostolici e apologisti cristiani, scrittori prolissi (i cui manoscritti risalgono al medio evo) pervasi da profondo misticismo e tanta fantasia nell’inventarsi màrtiri, i quali, almeno quelli veramente esistiti, avrebbero avuto, oltre che l’interesse ideologico fideista, anche il dovere storico di riferire un genocidio così crudele che colpì direttamente fedeli adepti dello stesso Credo.

Nessuno di loro relaziona dell’eccezionale martirio, nemmeno Padre Tertulliano, il quale, all’inizio del III secolo, l’unico, riporta una persecuzione diversa di “cristiani”, non crocifissi matramite spada” per ordine di Nerone, e senza rapportarli all’incendio di Roma, né a Gesù Cristo né a Ponzio Pilato, come verrà fatto testimoniare da Tacito successivamente e, soprattutto, non cita lo storico come testimone dell’evento, nonostante, lo abbiamo già dimostrato con “Apologeticum XVI”, avesse letto le sue opere.
Inoltre, fatto di rilevanza primaria che si ritorce contro gli esegeti mistici odierni (che fingono di ignoralo), Eusebio di Cesarea, lo storico Vescovo cristiano del IV secolo, nella sua “Storia Ecclesiastica” - improntata ad inventare Vescovi e martiri disseminati in tutto l’Impero sin dalla morte di “Gesù” - pur riferendo il passo di Tertulliano (HEc. II 25,4), non riporta la cronaca di Tacito con le atrocità subite dai “cristiani gesuiti” e i dettagli su Gesù, Tiberio e Pilato. Cronaca che non avrebbe potuto sfuggirgli e tramandata ai posteri se Tacito l’avesse scritta, ma …      
Nessuno poté scrivere nulla poiché, sino al 337 d.C. quando morì Eusebio, nessuno aveva inventato nulla ... in coerenza col Credo” di Nicea, del 325 d.C., che non prevedeva Ponzio Pilato come “sacrificatore” del “Salvatore”.
I docenti spiritualisti riferiscano queste risultanze ai loro “discepoli”, non le nascondano fingendo di ignorarle: il silenzio dei primi “Padri” è un’ulteriore dimostrazione che non vennero crocefissi seguaci di Gesù da Nerone perché non esistevano nel corso di tutto il I secolo. Le “prove” della loro esistenza verranno costruite,successivamente, dai riformatori della nuova religione universale al fine di comprovare l’Avvento di “Gesù”, Figlio di Dio, capo e iniziatore della setta dei cristiani … gesuiti.
La “testimonianza” in esame, lo abbiamo dimostrato nello studio precedente, è stata creata dopo la prima traduzione in latino dei Vangeli per mano di un “pio scriba” sotto dettatura di un eminente “Padre Priore”, dopo che il Cristianesimo del Salvatore del Mondo era ormai pervenuto al potere e diventato religione di Stato.


Ma ancora non basta


Il decreto di espulsione dei Giudei, emesso da Claudio nel 49 d.C., Svetonio lo liquida in sette parole:

“Iudaeos impulsore Chresto adsiduae tumultuantes Roma expluit”: i Giudei, su istigazione di “Chresto”, si sollevavano continuamente, (Claudio) li espulse da Roma”. (Clau. 25).

Lo storico Presbitero Paulus Orosio, collaboratore di S. Agostino, Vescovo Padre e Dottore della Chiesa, quando riportò questo passo di Svetonio nelle sue “Historiae Adversus Paganos” (VII, 6) affermò di esserne stato colpito perchè veniva attestato “impulsore Christo” (non "Chresto") aggiungendo, in modo troppo sommario e superficiale, che anche Giuseppe Flavio riferì che "Durante il nono anno dell'impero di Claudio i Giudei furono espulsi da Roma" ...
Stiamo progredendo nella ricerca e non possiamo fare a meno di rilevare la mancata cronaca, direttamente nei testi dello storico fariseo a noi trasmessi, di un episodio realmente avvenuto. Un eminente sacerdote ebreo riferisce e commenta tutte le persecuzioni subite dai Giudei da parte dei Cesari ma “dimentica” soltanto questa in cui si parla di “Cristo” … Perché ? Era un caso grave che lo coinvolgeva direttamente (siamo nel 49 d.C., quando lui aveva 12 anni) anche sotto il profilo religioso, poichè i Giudei erano in attesa della venuta del Messia, e Giuseppe, possiamo dimostrarlo, riportò l’evento spiegando chi era il “Messia” che “ispirava” i Giudei:

“Quello che maggiormente li incitò nella sovversione fu un’ambigua profezia, ritrovata nelle Sacre Scritture, secondo cui, in quel tempo, uno proveniente dal loro paese sarebbe divenuto il Dominatore del Mondo … così alcuni Giudei interpretarono i presagi come a loro faceva piacere, altri non li considerarono”.

Questa testimonianza, documentata, riferita dallo storico alla fine de “La Guerra Giudaica” (VI, 310/315), sul Messia (Christòs in greco), entrava in contrasto con il Messia gesuita “Salvatore del Mondo” evolutosi dalla riforma iniziale essena; non solo: ne comprovava la necessità di inventarlo dopo lo sterminio etnico subito dai Giudei da parte di Roma. Viceversa, quello atteso "in quel tempo" dagli Ebrei e profetato dagli Esseni avrebbe fatto Lui strage di "Kittim" romani. Infine, se fosse esistito un “Gesù Messia” tipo quello dei Vangeli o del falso "Testimonium Flavianum", lo storico avrebbe dovuto riportarlo e contrapporlo, ideologicamente, al “Dominatore del Mondo”.
Ecco spiegato perché gli scribi cristiani, successivamente, si vedranno costretti ad eliminare questa testimonianza dell’ebreo, ad iniziare dal Vescovo Eusebio di Cesarea, il quale, nella sua "Historia Ecclesiastica" evitò di riportare la persecuzione di Claudio nei confronti dei Giudei: sapeva che quell'evento, testimoniato da Tacito, Svetonio e Giuseppe Flavio, informava su un "Cristo" ideologicamente pericoloso perchè in contrasto con quello della Chiesa.
Eusebio ignorò addirittura gli "Atti degli Apostoli", i quali narrano della persecuzione rapportandola indirettamente a san Paolo (per creare prove sulla sua esistenza) ma "sorvolano" su quel "Christo" evitando di mettere il dito nella piaga della dottrina. 

“Christo” è il nome greco di “Christòs” traslitterato in latino in maniera errata (l’accostamento “Christo e Giudei” non lascia dubbi che si trattasse di "Christos") e contraddice il “Christus” corretto di Tacito … ma, era di Tacito?
Svetonio fu Segretario dell’Imperatore Adriano e addetto agli Archivi Imperiali; egli scrisse in latino “Vita dei Cesari” intorno al 120 d.C.. Questo particolare induce pensare che i “latini” di Roma, a quella data, non conoscevano la dizione latina corretta di “Christus” … tanto meno “Iesus Christus”.
Poiché Tacito scrisse “Annales” diversi anni prima di “Vita dei Cesari” redatti da Svetonio, la sua “precisione” della forma letteraria di “Christus”, dimostra che fu introdotta da una “pia” mano qualche secolo dopo. Per inciso: il “Christo” di Svetonio (come giustamente riferisce Orosio) è sincero, mentre il “Christus” di Tacito no!.
Infatti lo storico, come Segretario degli Archivi Imperiali, aveva già letto Tacito e, se dagli “Annales” (come a noi risulta oggi) avesse saputo che “Christus” fu ucciso sotto Tiberio (che morì nel 37), si sarebbe sentito in obbligo di chiarire chi potesse essere quel “Christo” che nel 49 d.C. fu istigatore o ispiratore delle sommosse giudaiche …
No! Quando Svetonio lesse gli “Annales” non vi trovò l’episodio del cap. 44 del XV libro, così come ci è stato tramandato dai pii copisti, desiderosi di creare testimonianze su “Gesù” e i suoi màrtiri già dal I secolo.
Tacito, Plinio il Giovane, Svetonio e Traiano erano contemporanei e al vertice del sistema imperiale romano, pertanto, non sono accettabili rapporti su quel “Cristo” che si ignoravano l’un l’altro sino al punto di sottacere quel grave episodio.
Com’è possibile che Svetonio, quando scrisse “Vita dei Cesari”, non abbia connesso il “Christo” del 49 all’incendio di Roma?. Il Segretario degli Archivi Imperiali sotto Adriano, nel 120 d.C., non poteva ignorare, né la vicenda storica, né gli “Annales” già scritti da Tacito pochi anni prima.
Per contro, com’è possibile che Tacito, al termine dell’incendio di Roma del 64, quando gli fecero scrivere che “Christus” fu ucciso sotto Tiberio (l’Imperatore morì nel 37), non sapesse che lo stesso fu il promotore dei moti giudaici nel 49, causa del decreto d’espulsione? Perché Tacito non riferisce questo episodio, avvenuto realmente e conosciuto dai suoi genitori o amici più anziani?
Esiste solo una risposta a queste contraddizioni: la vera cronaca di Tacito sulla persecuzione dei Giudei nel 49 d.C. "impulsore Christo", sotto Claudio, doveva essere censurata perché entrava in contrasto con l’altra “cronaca”, finta ma molto più importante ai fini della “testimonianza cristiana”: il martirio dei cristiani gesuiti perpetrato da Nerone riferiva che Christo era stato giustiziato sotto Tiberio.
Non è un caso se nessuno dei "Padri della Chiesa" riferì la testimonianza di Svetonio, ad eccezione di Orosio, il quale affermò che anche Giuseppe Flavio la riportava ... senza entrare nei particolari.

Ma … ancora non basta.


In quei fatidici giorni di Luglio del 64 d.C., mentre il fuoco, inesorabilmente, divorava la Capitale del Mondo, un giovane “testimone”, aitante e di belle speranze, si allontanava correndo dal “Palazzo” per sfuggire alle fiamme che avanzavano minacciose.
A volte si dice “guarda caso!”… Beh !... il caso successe veramente: il giovane in questione era il “Testimonium” per eccellenza:… Giuseppe Flavio!
Nella sua autobiografia, (Bio. 3, 13-16) lo storico sacerdote fariseo, ebreo conservatore, racconta che alla fine del63 d.C., allora ventiseienne, su mandato del Sinedrio di Gerusalemme, si recò a Roma a perorare, presso l’Imperatore in persona, la liberazione di altri sacerdoti là inviati, in stato di arresto, dal precedente Procuratore di Giudea, Antonio Felice, per giustificarsi da “accuse risibili”, e si trattenne nell’Urbe sino a oltre la metà del 65 portando a termine la missione affidatagli dopo che riuscì a far liberare i sacerdoti e …ottenuto da Poppea non solo questo beneficio, ma anche grandi favori, me ne tornai in patria. Giunse a Gerusalemme all’inizio del 66 d.C. e … “vi trovai i primordi delle agitazioni rivoluzionarie”.

Sì, nel 64 e nel 65 Giuseppe era a Roma e avrebbe dovuto vedere lincendio e il martirio di una ingente moltitudine di cristiani” avvenuto fra cumuli di macerie riarse.
Solo che il “Testimonium” non ne parla. Niente. Né di incendio, né di martirio, né di rovine riarse. Lui riferisce soltanto quello che vi abbiamo detto in poche righe. Lo storico descrivedettagliatamenteNerone anche in “Antichità Giudaiche” e in “La Guerra Giudaica”… ma di questo episodio, gravissimo, non fa alcun cenno, pur essendo stato ospitato nella corte da Poppea.
Riflettiamo un momento: sappiamo che l’incendio è avvenuto, essendo troppi gli storici d’epoca che lo citano e i reperti archeologici lo confermano; quindi è scontato che l’ebreo lo abbia visto e ne sia rimasto sconvolto. Un fariseo filo romano ha avuto l’occasione di andare, personalmente, a visitare “la capitale del mondo”, di conoscere dal vero la potenza imperiale, i palazzi degli uomini che dominavano e governavano la terra, l’organizzazione militare, il foro, i monumenti, i templi, i giochi, il circo, i giardini, il Cesare, e … i resti inceneriti della metropoli distrutta dal fuocoma … nella memoria di quel viaggio non risulta nulla di tutto ciò.

Non torna! No, proprio non torna!. Proviamo a sentire cosa dicono “gli storici spiritualisti” nel loro “Congresso”… sì, ne parlano: il silenzio di Giuseppe, sui martiri cristiani e sull’incendio, per loro è “ininfluente”! Come, ininfluente?…No! Stanno mettendo le mani avanti, hanno paura di cadere … ora iniziamo a capire: dietro tutto c’è … l’Abate Priore Mistico.
Lui, leggendo la “Autobiografia” dell’ebreo, quando arrivò a questo capitolo che parlava  dell’incendioma senza citare il martirio dei cristiani, capì le gravi implicazioni che ciò avrebbe comportato: diversamente da tutti gli storici (tranne Tacito già “corretto”) che non avevano parlato del martirio correlato all’incendio, Giuseppe era un Giudeo che veniva dalla terra dove “stava dilagando il cristianesimo, la rovinosa superstizione” e come tale veniva chiamato in causa direttamente.

Se Giuseppe, veramente, avesse assistito allo spettacolare martirio dei “cristiani” - nome che lui, a conoscenza del greco, intendeva “messianisti”, seguaci di un Messia” già venuto, l’Eletto di Yahwè, il cui “Avvento” fu annunciato dai Profeti … fondatore di una nuova religione, originatasi nella sua terra - come sacerdote giudeo, avrebbe scritto, scritto, e ancora scritto … molto più che il “Testimonium Flavianum”…
Il “Grande Martirio” doveva essere la “Grande Testimonianza” che lui, Abate Priore Mistico Depositario della Verità della Fede Cristiana, aveva fatto rendere a Tacito, lo storico più accreditato di tutto l’Impero! … Ma poi? Cosa ne avrebbero dedotto, un domani, gli storici dal resoconto autobiografico di un sacerdote giudeo, innocente testimone del solo incendio? … No, nessuna logica avrebbe potuto giustificare due testimonianze così contraddittorie fra loro: quella di Tacito sui “cristiani” seguaci di un “Messia” e il silenzio del giudeo Giuseppe sui màrtiri ardenti” di Roma seguaci del Messia che lui e il suo popolo stavano aspettando.

Ma questo ancora era niente. Sempre lui, Abate Priore, sapeva che l’altro “Santo Episcopo, Eusebio di Cesarea, Venerabilissimo Padre della Fede Cristiana”, prima di lui aveva incollato in “Antichità Giudaiche” il “Testimonium Flavianum” che parlava di “Gesù Cristo”… ma, dopo un martirio di “messianisti” così clamoroso e spettacolare,unaltra testimonianza su quel Messia” giudeo e i suoi seguaci crocifissi in Romaera dobbligo e avrebbe dovuto essere … molto, troppo, più impegnativa.
Testimonianza? Perché testimonianza!?! … Sotto la tortura, non testimonianza! Lui, come Giudeo, proveniente dalla terra dove si era generata la “rovinosa superstizione”, già “infiltrato” nel Palazzo, lo avrebbero preso e, prima torturato e poi crocifisso, anche lui, insieme a tutti gli altri “cristiani” messianisti, compresi i sacerdoti che erano in prigione, ma … in questo caso, le opere dell’ebreo non sarebbero giunte sino a noi 

A questo punto, l’Abate Priore, con le mani tremanti, la fronte imperlata di sudore, decise che la cosa più saggia, per evitare brutte sorprese “storiche”, era … di togliere il capitolo dell’incendio di Roma da tutte le opere dell’ebreo e, di “conservarlo” nell’inceneritore, cioè di … renderlo ininfluente … come dicono gli storici baciapile odierni: “ininfluente”, è ovvio.
E, no! Altro che ininfluente. Se Giuseppe, come giudeo, poté scrivere le sue opere, vuol dire che non ci fu alcun martirio di cristiania Romanel 64 d.C., anche se, sappiamo, i “beati poveri di spirito” dovranno rileggersi questo capitolo una dozzina di volte per capirlo … forse.

…ma, ancora non basta…

III parte: sintesi.

Un’altro particolare accomuna gli scritti dei due storici e riguarda sia il “Testimonium Flavianum” che questo capitolo degli “Annales”: entrambi sono interpolazioni inserite cronologicamente in maniera errata.
Ora osserviamo nei particolari l’incendio di Roma avvenuto nel Luglio del 64 d.C. descritto nel XV libro. I capitoli interessati vanno dal 38° al 44°.
Il 38, 39 e 40 descrivono l’enorme catastrofe e il dramma della popolazione in modo realistico, particolareggiato ed efficace, quasi fosse un evento vissuto da Tacito; quelli dal 41 al 43 parlano della ricostruzione di Roma e della edificazione della Casa Dorata” di Nerone, ed infine, ma dopo, quello del martirio e la testimonianza su Cristo e Pilato: il famoso 44 controverso.
La capitale dell’Impero, all’epoca, contava circa un milione di abitanti distribuiti in quattordici rioni di cui dieci finirono quasi interamente distrutti.
Lo storico, alla fine del 38° capitolo, riferisce che l’immane trappola di fuoco non fu accidentale, ma voluta, e coloro che appiccavano il fuoco con le torce gridavano che “avevano ricevuto l’ordine". Alla fine del 39° leggiamo:
si era sparsa la voce che, mentre la città era in preda alle fiamme, (Nerone) era salito sul palcoscenico del Palazzo a cantare la caduta di Troia, paragonando a quell’antica sciagura il disastro attuale”;
e nel 40° vengono ribadite le “dicerie” che accusano Nerone di avere voluto l’incendio per cercare la gloria di fondare una nuova città e darle il suo nome”poi, nel 41°, valutazione dei danni; successivamente, nel 42° e 43°,edificazione della “Domus Aurea” e ricostruzione di Roma.
Siamo arrivati al 44° capitolo e rileggiamo:

“Ma nessun mezzo umano, né largizioni del principe o sacre cerimonie espiatorie riuscivano a sfatare la tremenda diceria per cui si credeva che l’incendio fosse stato comandato. Per far cessare queste voci, Nerone inventò dei colpevoli…”.

Si è già capito come andò. Il copista amanuense (era un artista e sappiamo come sono gli artisti) si fece uno spinello d’incenso di troppo e dimenticò la raccomandazione che l’Abate Priore Mistico gli aveva ripetuto cento volte:
“Fai attenzione fratello … non ti distrarre e rispetta, tassativamente, la cronistoria; pertanto, questo capitolo inseriscilo subito dopo il 40° perché lì si citano le ultime dicerie; occhio! E’ un passo molto importante, e se lo metti in fondo, dopo la ricostruzione, si capirebbe che è passato troppo tempo e le “dicerie”, che devonorappresentare il movente del principe per martirizzare i Cristiani, non avrebbero più senso, e tieni presente che il “Nero” muore nel 68. Hai capito? … Vai! Datti da fare … ah, un  momento, quando hai finito portami il manoscritto originale di Tacito che ci penso io a conservarlo … come tutti gli altri”.
L’abatino fece tutto quello che gli disse l’Abate Priore: gli riportò l’originale e questi lo “conservò” subito nell’inceneritore; solo che l’amanuense, avendo capito fischi per fiaschi, inserì il brano “dopo il 43°” anziché il 40°, così oggi leggiamo che il Nero” soffoca una diceria” ormai sbollita da anni resisi necessari a ricostruire Roma. L’interpolazione incollata dopo la ricostruzione “obbliga” il Principe a fare un supplizio “a freddo” … che non ha più senso, se non per la spettacolare testimonianza dottrinale.

Il vero significato di questo anacronismo saremo in grado di spiegarlo, dettagliatamente, più avanti, con ulteriori informazioni storiche, consapevoli, sin d’ora, che la ricostruzione non poté avvenire prima di due o tre anni.
Come vedremo, nel 66 d.C. si metteranno in moto avvenimenti di una valenza tale che, sommati alle conseguenze economiche causate dall’incendio, porteranno alla caduta di Nerone: la guerra. Vicende che non risultano riportate negli “Annales” di Tacito: fatto di gravità estrema che si spiega solo con la censura praticata, nei secoli, dai copisti, molto attenti a non lasciare tracce che permettessero di individuare nessi o correlazioni storiche, pericolose per la credibilità della persecuzione dei cristiani a seguito dell’incendio.


Ma ancora non basta.

Ci sono contraddizioni ideologiche, molto gravi, da chiarire. Proviamo a metterci nei panni di quel milione di Romani di allora … anzi, ammettiamo per un momento che, nella Roma di oggi, degli energumeni, agli ordini di un “potente” psicopatico, incomincino ad incendiare le case della gente (anche quelle dei credenti), e immaginiamo quali potrebbero essere le reazioni (anche quelle dei credenti) nel sentirsi dire stiamo eseguendo un ordine: innanzi tutto gli “esecutori di ordini” verrebbero immediatamente cotti alla brace (anche dai credenti) e, subito dopo, si scatenerebbe una guerra civile contro il “Palazzo” dello psicopatico.
Stabilito ciò, ci sorgono dubbi atroci e …
La prima domanda è: perché un milione di Romani permisero, senza reagirecome inebetiti, che degli uomini incendiassero le loro case provocando migliaia di morti nelle trappole di fuoco create, contemporaneamente, in molti siti per impedire le vie di fuga?…
La seconda domanda è: perché, alla fine del capitolo 44°, dopo aver organizzato lo “spettacolo” e “l’ingente moltitudine” di cristiani ardeva sulle croci per illuminare la scena, il “Nero”, vestito da auriga, se la spassava tranquillamente, non protetto dalle guardie pretoriane, in mezzo al popolo, senza che la plebe si vendicasse del male sofferto facendo arrostire lui, il Principe?.
Eppure, “la diceria” popolare, che lo accusava come responsabile, appare ancora (sic!) esplicita nel capitolo 44°.
La terza domanda è: se una massa di gente si convince che il “Cesare” ha bruciato le loro case e i propri cari, come è possibile farla ricredere inventandosi dei colpevoli” ?. Un milione di Romani ha provato sulla propria pelle le conseguenze del fuoco e della devastazione, sa chi è il colpevole … e lui cosa fa? : prende una ingente moltitudine di loro, li incolpa, li crocefigge e tutto finisce con un bel baccanale “ardente”…
Chi ha scritto questo è un tarato mentale!: lo scriba falsario non ha riflettuto che fra le case bruciate vi erano anche quelle di una ingente moltitudine di cristiani e questo particolare, non solo li avrebbe assolti dall’accusa inventata contro di loro, ma avrebbe promosso la solidarietà popolare in loro favore; anzi sarebbero stati il popolo”, e Nerone, attaccando loro, avrebbe nuovamente attaccato il popolo di Roma dopo avergli già distrutto le case … No! non torna! : cosa aspettava quel popolo a reagire? … Qualora fosse vero quanto descritto nel cap. 44°.
La quarta domanda verte sul dilemma basilare di “chi” avrebbe dovuto eseguire un ordine simile, piuttosto su “chi” l’avrebbe dato. Gli storici mistici, da sempre, si arrovellano per risolvere questo problema. Hanno dovuto scartare i militari, perché non avrebbero mai eseguito l’ordine di attaccare e distruggere Roma, ordine a cui si sarebbero ribellati e, anche ammesso (per assurdo) fosse avvenuto, tutti gli storici lo avrebbero riportato. Inoltre, la conseguente guerra civile popolare contro il “Palazzo” sarebbe avvenuta comunque e, sia Tacito che gli altri scrittori lo avrebbero riferito: ma niente di tutto questo risulta dalla storia.
E allora, cosa studiare ? … Semplice: riprendere una “diceria” di Svetonio (Nero 38); un brano così confuso che è doveroso dichiararlo manomesso perché in esso risulta edificata la “Casa Dorata” (Domus Aurea) prima dell’incendio.
Lì si parla di “cubicularii”, cioè i camerieri! … sì: i “servi di camera” e, secondo gli esegeti contemplativi ispirati, andò così …
Una mattina di Luglio del 64 (molto tardi), ad Anzio, il “Nero”, dopo una notte di bagordi, si sveglia e incomincia a studiare come passare il tempo. Sbadiglia, é profondamente annoiato, viziato, ha provato tutte le sensazioni possibili e non sa cos’altro inventarsi … Dopo essersi grattato la “capoccia” una ventina di volte, all’improvviso, gli si accende una torcia nel cervello … Sì, a quei tempi non c’erano le lampadine …e questo fu la sfortuna di Roma.
Lui, con le torce, poteva risolvere tutti i problemi: avrebbe distrutto la città che, essendo poco “ellenica”, gli faceva schifo. L’avrebbe ricostruita, a tempo di “record” e, dopo aver fatto ricadere la colpa sui cristiani, li avrebbe “accesi” crocefissi; ultimo ritrovato tecnologico per illuminare le nuove opere di urbanizzazione, “mox” (subito dopo) la fine dei riti propiziatori e di ringraziamento agli Dei previsti dall’inaugurazione.
Sì, la giornata prometteva bene, batté le mani e chiamò deciso: « cubicularii » e, ancora più imperioso:« cubicularii !». Subito entrarono i camerieri e si inginocchiarono dicendo: « comanda Divino Cesare ». E il Nero: « Prendete torce e stoppini e andate a incendiare Roma !»…!?! « Ma, Cesare … hai detto di mettere a fuoco l’Urbe ? » … « Sì, e sbrigatevi, che stanotte voglio vedere le lingue di fuoco alte fino in cielo » … « Ma, se i romani fanno obiezione, cosa diciamo? » … « Ditegli che siete stati autorizzati! » … e loro: « Ah … beh, se è così, eseguiamo ».
E così fecero … con un particolare che, quando poi avvenne il martirio, Tacito non notò: fra la “ingente moltitudine” di croci ve n’era una infissa capovolta: quella di Simone Pietro, Vescovo di Roma. Questi, infatti … evaso di prigione con l’aiuto di un angelo, dopo aver:
“miracolato un cane, facendolo parlare con voce umana in latino ciceroniano”“risorgere un’aringa affumicata facendola sguazzare in una piscina natatoria”“sconfitto il Mago Simone, detto l’Angelo di Satana, facendolo schiantare al suolo in una gara di levitazione”
 (Atti di Pietro 9,2 e 13,1 - lettura evangelica che raccomandiamo ai beati credenti per rafforzare la propria Fede nel“magnificare la Gloria del Signore”... Pietro, infine, dopo aver incontrato per strada “Gesù”, nuovamente risortoe, come nulla fosse accaduto (troppe resurrezioni erano diventate noiose), gli disse: “Domine, Quo vadis?” ...proseguendo, comunque, senza neanche salutarlo; ultimata la missione assegnatagli da Cristo in questo mondo, su consiglio del suo amico Eusebio di Cesarea (HEc. III 1,2), in qualità di 1° “Papa”, chiese, ufficialmente, al “Nero”, di crocifiggerlo a testa all’ingiù, poiché la sua umiltà gli impediva di paragonarsi a Gesù. Cosa che quel tarato mentale del Principe approvò subito per verificare l’effetto scenografico di una croce capovolta accesa.
Ma non gli bastò: alcuni istanti prima di issare la croce fece chiamare Caravaggio e Michelangelo, fra i più grandi pittori di sempre, e ordinò loro di riprendere la scena di quell’esperimento fatidico per tramandarlo ai posteri.
Questa è la ricostruzione scientifica ufficiale dei fatti riportata nel verbale d’assemblea, sottoscritto alla unanimità nel congresso degli storici spiritualisti, che abbiamo trafugato segretamente.
Ah, c’è anche una nota con scritto “classificato” ma, con l’impegno di non dirla a nessuno, la passiamo ugualmente:“evitare di parlare dell’accusa di Padre Tertulliano a Nerone (Apologetico 5,3): lui incolpa il “principe” di aver perseguitato i “cristiani” con la spada, senza parlare di crocifissioni ardenti imputabili all’incendio e senza riportare il particolare di Ponzio Pilato e di Gesù Cristo. Stiamo molto attenti a non entrare in questo dettaglio perché, oltre a sconfessare “l’ingente moltitudine di cristiani crocifissi”, dimostra che il cap. 44 nel libro XV degli Annales” di Tacitosino al 220 d.C.non era ancora stato interpolato.

La quinta domanda che poniamo agli esegeti mistici contemplativi è: di tutti gli scrittori che narrano l’incendio di Roma, perché solo Tacito lo collega allo spettacolare martirio?.
Noi sappiamo che i tre storici, Tacito, Svetonio e Plinio il Giovane, si conoscevano. Plinio il Giovane era amico di Svetonio e questi, a sua volta, come Segretario degli Archivi Imperiali sotto Adriano, aveva letto gli Annali … allora, perché, dei tre, solo Tacito ha trasmesso ai posteri un evento così eccezionale come la grande crocifissione dei cristiani “ardenti”, incolpati di aver incendiato l’Urbe?. Un episodio di tale gravità era d’obbligo venisse riportato, oltre da loro tre, anche da tutti gli scrittori del I secolo ...
La fantasia dimostrata nell’inscenare il macabro spettacolo è derivata dall’esigenza maniacale di ricorrere al “martirio”: il messaggio di “testimonianza storica” doveva essere trasmesso col sangue arrostito; una “psicosi da esaltazione spirituale cruenta” che dimostra una mentalità incapace di pensare ad altro che il “sacrificio rituale di massa” per attestare la presenza di numerosi cristiani gesuiti, nel I secolo, addirittura nella capitale dell’Impero.
E perché, solo per voi, storici genuflessi (e siete rimasti in pochi), quel martirio è così necessario?. Mentre, per un semplice credente, pur sapendo che quel martirio non avvenne, il suo credo non verrebbe intaccato … perché vi ostinate a sentire il bisogno che Nerone abbia messo sulla griglia “una ingente moltitudine di cristiani”?.
Anziché rilassarvi, sapendo che non vi furono corpi straziati e dilaniati dalle fiamme, perché, la semplice ipotesi che ciò non avvenne la rigettate come se vi dispiacesse?!. Riempite le vostre relazioni di latinismi, ostentate un profondo sapere del “diritto” della Roma imperiale e dei suoi storici, che citate connettendoli agli “Atti”, ai “Vangeli”, alle “lettere”, ai “Padri apostolici” e ai “Padri apologisti”, in modo talmente confuso e dogmatico che non ci si capisce nulla.

Sciorinando le vostre dotte conoscenze, in questo modo, dimostrate di usarle come “scudo”; i fatti sono semplici, naturali, e voi la buttate sul difficile e, dopo il vostro, fate in modo di “raggrovigliolare” il cervello della gente “dolciotta” che vi ascolta … pur di non rispondere alla semplice domanda che, da sempre, vi viene rivolta: perché, fra tanti storici, solo Tacito riferì di quel grande e spettacolare martirio? … Possibile che non siate sfiorati da un minimo dubbio? … Possibile che non sentiate il dovere, come studiosi, di valutare che il grande martirio di massa, con la testimonianza di “Gesù Cristo”, non fu riportato sui manoscritti originali di Tacito, così come il “Testimonium Flavianum” di Giuseppe ?
Ciò che leggiamo oggi proviene da copie; gli originali non esistono più: si sono persi nella notte dei secoli e nei meandri dei monasteri e, questa mancanza contemporanea, da sola, dovrebbe obbligarvi, professionalmente, a considerare il movente ideologico religioso di parte, contenuto nei brani riportati, prima di sottoscriverli come “Storia”.
Oppure, ostentando le vostre certezze, intendete coprire, opportunamente, la semplice verità che il fedele comune neanche si immagina? … Si, voi sapete tutto e non volete che gli altri sappiano.
Fate come i preti di una volta: quando qualcuno poneva loro una domanda imbarazzante … rispondevano in latino.


IV^ Parte. Sintesi

Allora, Nerone perseguitò o non perseguitò i “cristiani”?.
Svetonio dice di sì, senza collegare la persecuzione allincendio dell’Urbe e, particolare decisivo, senza parlare di crocifissioni ardenti e tanto meno di Gesù” e Pilato (ancora non erano stati interpolati negli Annali di Tacito).E anche noi siamo convinti: erano messianisti giudei in “Attesa” del loro Salvatore.
I “cristiani gesuiti” se ne stavano sereni, con le mani giunte; guardavano fissi in cielo, assidui e concordi in preghiera … e questo al “Nero” non dava fastidio
“Furono inviati a supplizio i cristiani (messianisti), razza di uomini dediti a una nuova malefica superstizione” (Nero 16,2).
Come già rilevato, neanche Svetonio, alla pari di Tacito, fu chiamato a deporre come teste di màrtiri cristiani dai “Padri Apostolici e Apologisti”, vissuti in quel periodo, appunto perché i cristiani erano messianisti” giudei … e i “Padri” lo sapevano bene.
Nemmeno Eusebio di Cesarea, nella sua “Storia Ecclesiastica”, rivendica Svetonio come testimone  dei suoi “màrtiri cristiani”, pur essendo un fantasioso inventore di moltitudini di “beati”, tutti decisi a lasciarsi morire: arsi vivi, divorati dalle belve, flagellati, bastonati, inchiodati, lapidati … piuttosto che “ripudiare la fede nel Salvatore”.
Al contrario degli utopici “màrtiri” cristiani gesuiti, immaginati soltanto dalla futura letteratura cattolica, i Giudei erano credenti poco sottomessi, molto irritabili e portati a fare tumulti … per di più, convinti di avere ragione.
In conseguenza della guerra santa contro l’occupazione romana, iniziatasi nel 66 mentre Nerone si trovava in Grecia, l’anno successivo, nel 67 d.C., il movimento messianista giudaico dette luogo a sommosse per protestare contro l’ordine dell’Imperatore di inviare le legioni romane, condotte da Vespasiano, a riprendersi quei territori della Palestina che gli Zeloti avevano liberato “salvato” nell’autunno del 66 d.C., sconfiggendo le armate del Legato di Siria, Cestio Gallo, a Beth Horon.

“Nerone, appena informato dei rovesci subiti in Giudea, fu colto da una segreta angoscia e mentre in pubblico affettava noncuranza e disdegno, stimando che per il prestigio dell’Impero gli conveniva mostrare disprezzo per i casi avversi, ostentava un animo superiore ad ogni calamità; ma la sua ansia interiore era tradita dalla preoccupazioneEgli valutava a chi affidare l’Oriente in sommossa per punire l’insurrezione dei Giudei e impedire il dilagare della ribellione che aveva già contagiato i paesi circonvicini e trovò che il solo Vespasiano era all’altezza del compito…” (Gue. III, 1-2).

“I Damasceni (di Damasco), venuti a sapere la disfatta subita dai Romani, si affrettarono a sterminare i Giudei residenti nella loro città… Alla notizia della strage, i Giudei si diedero a devastare i villaggi dei Siri e le città vicine, Filadelfia, l’Esebonitide, Cerasa, Pella e Scitopoli. Poi piombarono su Gadara, Ippo, la Gaulanitide, mettendole a ferro e a fuoco, quindi avanzarono contro Cadasa dei Tiri, Tolemaide, Gaba e Cesarea. Neppure Sebaste e Ascalona resistettero al loro assalto e dopo averle date alle fiamme distrussero anche Antedone e Gaza”…
“Tutta la Siria divenne teatro di orribili sconvolgimenti; ogni città si divise in due accampamenti (Giudei contro Pagani) e la salvezza degli uni consisteva nel prevenire gli altri. E passavano il giorno a scannarsi e a far strage degli avversari spinti dalla cupidigia, infatti si appropriavano a man salva delle sostanze della gente ammazzata e, come da un campo di battaglia, si portavano a casa le spoglie degli uccisi, e si copriva di gloria chi aveva fatto più bottino. Si potevano vedere le città piene di cadaveri insepolti, corpi di vecchi e di bambini gettati alla rinfusa, di donne senza il più piccolo indumento e l’intera provincia (di Siria) piena di orrori indescrivibili”
(Gue. III 457 e segg.).
Ma i Giudei ne pagarono subito le conseguenze e la Storia, nella tarda primavera del 67 d.C.,  registra la stessa scena come quella riportata dallo scriba a nome di Tacito sulla persecuzione dei cristiani” seguaci di Gesù:

“Al tempo in cui era stata dichiarata la guerra, e Vespasiano era da poco sbarcato in Siria, mentre dappertutto era salita al massimo la marea d’odio contro i Giudei…ad Antiochia i Giudei furono accusati di aver tramato di dare alle fiamme tutta la città in una sola notte…il popolo non seppe contenere il furore e si scagliò contro la massa dei Giudei, convinti che per salvare la patria bisognava punirli e decretò che gli individui consegnatimorissero tra le fiamme e subito quelli furono tutti bruciati nel teatro” (Gue. VII, 46/62).

Sì, proprio così, questo evento fornirà l’ispirazione della sceneggiatura del martirio “cristiano” di massa ai futuri “Abati Priori” copisti falsari … manca solo Nerone sul cocchio vestito da auriga.
E tutto ciò, come per i martiri riarsi “cristiani gesuiti”, avveniva nella indifferenza dell’evangelista “Giovanni” (sulla mezza età all’epoca dei fatti … se fosse esistito) e dei “Padri Apostolici” anch’essi ... inesistenti testimoni.
La rivoluzione popolare del 66 d.C. fu promossa e capeggiata dai sacerdoti giudei (erano migliaia), farisei zeloti ed esseni zeloti, decisi, con una Guerra Santa, a liberare la terra del popolo di Israele dal dominio pagano. Come riferisce Tacito:

I Giudei assegnavano alla dignità sacerdotale il ruolo di sostenere la propria potenza.

Giuseppe, discendente dalla “più elevata ed eccellente stirpe sacerdotale”, ormai famoso per la sua impresa, essendo riuscito a liberare i sacerdoti giudei … con l’aria “di fronda patriottica religiosa” che tirava, dopo un primo momento d’incertezza, ritenne più igienico fingersi dei loro abbracciando la causa della “Salvezza” della Terra Santa.
Su mandato del Sinedrio, in virtù dei suoi titoli, fu insignito del comando delle forze ebraiche della Galilea, costituite da alcune decine di migliaia di uomini ma, niente affatto convinto di combattere contro le legioni romane, fu investito, anzi … se la squagliò prima di farsi stritolare dal rullo compressore dei legionari del futuro Imperatore.
“Giuseppe (lui) vedeva a quale triste fine stavano per andare incontro i Giudei e riconosceva che lunica salvezza per loro era cambiare politica. Personalmente egli si aspettava di essere perdonato dai Romani, tuttavia preferiva mille volte morire che tradire la patria e disonorare il comando affidatogli (?) piuttosto che far fortuna presso coloro (i Romani) che era stato mandato a combattere” (Gue. III 136-137).
Lo storico la racconta così ma è fin troppo chiaro che gli interessò salvare la pelle e i futuri personali interessi. Si rifugiò nella fortezza di Jotapata, dove, dopo un assedio di quarantasette giorni si consegnò al nemico in modo vergognoso … e fu la sua fortuna di ambizioso ruffiano, anche se rimase prigioniero sino al 70 d.C..
Tutto ciò avvenne nel 67 d.C., lo stesso anno in cui, nelle città orientali dell’Impero, scoppiarono i tumulti degli ebrei “messianisti” che protestavano contro la missione di Vespasiano; tumulti che, con motivazioni storiche concrete, avvennero anche a Roma

Da quanto sopra visto, nel cap. 44 del XV libro degli “Annali” di Tacito, la persecuzione dei “cristiani”, così come riportata, venne eseguita dopo la ricostruzione di Roma, ancora sotto Nerone. Ma la ricostruzione di una metropoli avrebbe richiesto anni, non un periodo breve, addirittura un paio di mesi, come quello “ipotizzato” dagli storici baciapile, che si citano l’un l’altro per farsi coraggio e sostenere una tesi assurda (convinti che ci sia un mondo di grulli) finalizzata a giustificare la rabbiosa reazione di Nerone che avrebbe avuto un senso soltanto se fosse avvenuta subito dopo l’incendio.
In realtà i messianisti giudei furono perseguitati nell’Impero per i loro moti contro l’intervento militare dei Romani decisi a risottomettere la “Terra Promessa” nella primavera del 67 d.C., non per aver incendiato Roma tre anni prima: il nesso fra l’incendio e la repressione di Nerone fu artatamente creato da falsari copisti, secoli dopo.
Traiano, Plinio il Giovane e Svetonio, pur avendo rapporti diretti fra loro e conosciuto Tacito, non collegano mai le risultanze delle loro indagini sui “cristiani” a quell’incendio, riscontro che sarebbe stato più che ovvio data la estrema gravità dell’avvenimento … né a “Gesù”, nome che non avevano mai sentito pronunciare dagli stessi cristiani; ma se non lo fecero è perché non vi fu alcun nesso fra l’incendio dell’Urbe e la successiva repressione dei “cristiani giudei” attuata nel 67 d.C..
I messianisti Giudei, in quell’epoca tragica per loro, anelavano la venuta di un Messia, non un “Gesù Salvatore” per crocifiggerlo, mangiarselo e berne il sangue, bensì quello dei rotoli di Qumran, vero e proprio Dominatore del Mondoche, grazie alla sua “Rivelazione”, avrebbe distrutto col suo esercito di angeli vendicatori, in una vera e proprianemesi apocalittica, i Romani invasori pagani e la loro capitale: Roma, la “Babilonia del peccato”.

Le sommosse giudaiche, nell’Impero, furono represse da un Nerone adirato da quanto accaduto in Giudea, “luogo d’origine del male, la rovinosa superstizione che dilagava anche per Roma…” vale a dire il “messianismo nazionalista” dei “cristiani zeloti”.
Giuseppe Flavio saprà dei moti da prigioniero, ma quando descriverà la guerra, nella sua opera “dimenticherà” di trascrivere la persecuzione “di spada”, come riferita da Tertulliano, del 67 d.C., dei cristiani giudei perché … fu l’Abate Priore a fargli venire l’amnesia con “l’inceneritore”, in quanto sconfessava il cap. 44° del XV libro degli Annali di Tacito.
Nerone, che agli inizi del 64 era a Napoli, ospitò Giuseppe nel Palazzo per quasi due anni (fine 63, metà 65) e, dopo avere accertato la fondatezza delle sue tesi difensive nella terra d’origine, ne accolse le suppliche e adulazioniliberando i sacerdoti giudei verso la metà del 65, ovviamente dopo lincendio del 64fatto questo che non sarebbe potuto avvenire una volta iniziata la guerra del 66 d.C.
Da tale data i Giudei, ormai in guerra contro l’Impero, erano visti come potenziali nemici; al contrario, prima dell’inizio della rivolta giudaica gli Ebrei non erano considerati ostili da Nerone, anche se spesso agitati.
Erano Giudei, irriconoscenti e tutti mentalmente tarati dall’ebraismo messianista, la “rovinosa superstizione che si era dilagata dalla Giudea, loro terra d’origine”… solo una cosa meritavano gli ingrati: il “ius gladii”. E così fu: il “Nero” strinse il pugno e, col braccio teso in avanti, puntò il pollice verso … correva l’anno 67 d.C..

Negli “Annales” di Tacito, a noi pervenuti, non risulta la descrizione della guerra fra i Romani e i Giudei, mentre, nelle sue “Historiae”, il racconto inizia … ma si interrompe al momento in cui Tito predispone le opere d’assedio a Gerusalemme.
Fra gli scrittori dell’epoca, Tacito risulta essere stato il più preciso nel riportare le vicende belliche e civili che coinvolsero l’Impero nel I secolo.
Quella vittoria e la conseguente celebrazione, cui probabilmente assistette di persona, fu trasmessa ai posteri con l’erezione dell’Arco di Trionfo di Tito, esistente in Roma tutt’oggi, ove sono scolpiti nella pietra i simboli religiosi a testimonianza perenne della sottomissione dei Giudei che osarono ribellarsi all’Impero romano a causa di “una rovinosa superstizione dilagante, non solo in Giudea, luogo d’origine del male, ma anche a Roma”.
Sotto quell’arco lo storico romano transitò molte volte prima di morire … e scrisse, ne siamo certi, tutti i particolari di quel conflitto.
Riferì che un popolo si ribellò a Roma motivato dal suo credo integralista: una rivoluzione nazional religiosa che si propagò oltre i confini palestinesi e coinvolse la Siria, l’Egitto ed altre regioni limitrofe. Ma Roma, forte del diritto di potenza imperiale, represse tutti coloro che, in coerenza alla propria fede, non si sottomisero al suo dominio.
Tacito scrisse che ebrei estremisti, integralisti religiosi, catturati durante e dopo la guerra, furono sottoposti ad atroci supplizi, dati in pasto alle fiere o obbligati a combattere contro i gladiatori nelle arene in spettacoli pubblici allestiti nelle città orientali dell’Impero.
A conferma di quanto riportato da Giuseppe Flavio, anche Tacito espose tutto ciò nei suoi “Annales”… ma i copisti amanuensi, in futuro, distrussero i manoscritti originali perché dimostravano che, nel I secolo, in realtà, furono suppliziati soltanto Giudei fanatici nazionalisti. Una storia che avrebbe palesato l’inesistenza dei cristiani gesuiti e sconfessato il loro martirio.

Come abbiamo visto, furono molti e importanti gli avvenimenti connessi fra loro, in quel periodo, alla base delle motivazioni storiche che inducono a pensare che Tacito, nei manoscritti originali, abbia riportato la persecuzione dei messianisti giudei ordinata da Nerone il 67 d.C..
Nel capitolo interpolato viene espresso un giudizio fortemente negativo contro i cristiani che ricalca l’offensivodisprezzo dello storico manifestato verso gli Ebrei e già riportato nel libro V delle “Historiae”. Le frasi,dovutamente ingiuriose contro questi ultimi (fu sacerdote pagano di estrazione patrizia), rispecchiano fedelmente lo stile di Tacito e molto probabilmente sono le stesse; fatto che non rappresentò una difficoltà per i falsari; al contrario, divennero una guida per formare il senso compiuto della narrazione rendendola “autenticamente” credibile.
Dopo di che al copista bastò “accostare” il brano alla fine della descrizione dei riti purificatori e dei banchetti di ringraziamento agli Dei subito dopo la ricostruzione “et voilà” : il gioco è fatto! … ma fatto male e fuori tempo.
Per rifinirlo bastò aggiungere il periodo degli esecutori, che “appiccavano apertamente il fuoco gridando che questo era l’ordine ricevuto”, alla fine del 38° cap., per incolpare direttamente Nerone, di stile letterario decisamente neutro, ma in stridente contrasto con l’apertura dello stesso capitolo ove lo storico afferma che la causa del disastro fu … “non si sa se accidentale o per dolo del principe”.
Inoltre, il copista falsario ha calcato la mano, tradendosi nuovamente, sul giudizio esageratamente dispregiativo che ha fatto rendere a Tacito su una … Roma, dove tutto ciò che c’è al mondo di atroce e di vergognoso da ogni parte confluisce e trova seguito …”.
Lo storico, pur denunciando nelle sue opere una certa decadenza, soprattutto politica, nonché il lassismo e la mancanza di disciplina nei costumi sociali dell’Urbe, ciò nonostante, mai usa un linguaggio così offensivo, come in questo caso, da sembrare un nemico di Roma.
Al contrario, il contenuto e lo scopo delle sue opere palesano la passione politica, morale e patriottica per le sorti di Roma, la sua potenza e la sua gloria.
Questo passaggio - scritto sotto Traiano, all’epoca sarebbe stato pericoloso per il contenuto ingiurioso verso la capitale di un Impero al massimo del suo splendore - è falso e riflette una ideologia preconcetta, condizionata da un credo impregnato di puritanesimo ed odio apocalittico tipo “la Babilonia del peccato” come quello che ritroviamo nei continui attacchi contro “l’impudicizia” (lascivia), vera e propria malsana fobia mentale, riscontrabile negli “Atti degli Apostoli” e negli scritti dei Padri Apologisti del cristianesimo gesuita.
Nerone, motivato dal pretesto del disastro di Roma, colse l’occasione per rastrellare enormi ricchezze personali; perseguitò i Senatori e in preda a megalomania si fece costruire la fastosa “casa dorata” finendo con l’alienarsi anche il favore del popolo.
Ma gli costerà caro: una volta isolato politicamente non gli rimarrà che il suicidio.
Ecco perché le “dicerie” che lo incolpano di aver provocato l’incendio, riferite dagli storici, sono autentiche: rispecchiano il pensiero della gente, in ogni tempo sino ad oggi, palesato nella convinzione di un tornaconto personale da parte di chi detiene il potere ed amministra i conti pubblici in conseguenza di catastrofi, guerre, alluvioni, terremoti, eccetera …




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