Il titulus crucis è l'iscrizione, riportata dal Vangelo secondo Matteo, dal Vangelo secondo Giovanni e dal Vangelo secondo Luca , che sarebbe stata apposta sopra la croce di Gesù, quando egli fu crocifisso, per indicare la motivazione della condanna. L'esibizione della motivazione della condanna, infatti, era prescritta dal diritto romano.Il nome indica anche una reliquia conservata a Roma e costituita da una tavola di legno di noce, che secondo la tradizione sarebbe il cartiglio originario infisso sopra la croce.Nelle rappresentazioni artistiche della crocifissione si indica tradizionalmente come titulus le sole quattro lettere INRI, iniziali dell'espressione latina «Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum», che traduce il testo greco del vangelo di Giovanni.Una tavola di legno, che la tradizione cattolica ritiene essere parte del titulus, ma che è stata datata al X-XII secolo, è conservata a Roma, nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, insieme a un presunto chiodo della Passione e a frammenti della Vera Croce. Tutti questi oggetti, secondo la tradizione, furono rinvenuti da Elena, madre dell'imperatore romano Costantino I, che nel IV secolo visitò Gerusalemme e fece scavare l'area del Golgota.
L'ANALISI AL CARBONIO 14 DELLA RELIQUIA
Per chiarire la questione dell'autenticità della reliquia la Santa Sede ha autorizzato il prelievo di campioni del legno che sono stati datati utilizzando il Metodo del carbonio-14. I risultati, pubblicati nel 2002, hanno determinato che il legno risale all'intervallo tra gli anni 980 e 1150.Spacciato,quindi, per autentico nonostante la documentazione iniziasse a partire dall’XI secolo. Ma non finisce qua.Le tesi a sostegno dell'autenticità sono state letteralmente smontate da Emile Puech.Vediamo le due opinioni a confronto.
LA TESI A SUFFRAGGIO DELL'AUTENTICITA' DELLA RELIQUIA
Il titulus di Santa Croce reca effettivamente una parte dell'iscrizione nelle tre lingue. Anche i testi in latino e greco sono scritti, da destra a sinistra, come l'ebraico; inoltre nel testo latino è scritto «Nazarinus» anziché «Nazarenus». Il testo, poi, non sembra corrispondere esattamente a nessuno di quelli dei quattro vangeli. Queste anomalie sono considerate da alcuni indizi di autenticità, in base al ragionamento che difficilmente un falsario le avrebbe introdotte.
Nelle rappresentazioni artistiche della crocifissione si indica tradizionalmente come titulus le sole quattro lettere INRI, iniziali dell'espressione latina «Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum», che traduce il testo greco del vangelo di Giovanni. Similmente sui crocifissi delle chiese ortodosse l'iscrizione ha le lettere INBI, utilizzando il testo greco equivalente («Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ Bασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων»).
LA RISPOSTA DI PUECH
LATINO: non conosco scrittura retrograda tra le iscrizioni latine ritrovate. Questa disposizione sarebbe perlomeno curiosa da parte di un servitore di Pilato (Gv 19,19) a meno che sia stato richiesto ad un operaio locale; ma anche questo non va giacché il latino era ritenuto essere letto dai romani.
GRECO: non conosco che un solo nome proprio scritto in greco a rovescio su un ossario: NADYOI (=IOYDAN) e si tratta ancora di una iscrizione redatta da un ebreo e destinata ad essere letta da pochissimi ebrei.
SEMITICO: non riesco a identificare con qualche certezza neppure una sola lettera in semitico. Dei tratti apparentemente visibili non posso fare nulla né in scrittura corsiva, né in scrittura più ufficiale aramaica.
IL GIUDIZIO COMPLESSIVO DI PUECH
In fin dei conti, mi domando se non si tratti di una storia parallela a quella della Sindone di Torino, la cui origine medievale è stata scientificamente provata. [...] Non posso non immaginare per un istante, visto il numero di difficoltà insormontabili qui sopra sollevate, l’autenticità epigrafica di questa iscrizione, che non data certamente al tempo di Gesù.(pp. 321-322)
http://www.antoniolombatti.it/B/Blog07-09/Voci/2010/1/19_Emile_Puech-The_Titulus_Crucis_A_medieval_forgery.html
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