venerdì 31 dicembre 2010
OGNISSANTI O LA FABBRICA DEI SANTI?
Il teologo e psicoterapeuta Eugen Drewermann nel suo libro “Funzionari di Dio” descrive il modo e il processo “produttivo” con cui la struttura cattolica “fabbrica i preti”, come li forgia in modo da essere funzionali all’istituzione.
In questi giorni guardo con molto rispetto, con grande sintonia e con profonda emozione alle persone che pregano nel ricordo dei loro defunti e portano un fiore sulle loro tombe. E’ come tenere viva la memoria di chi ci ha preceduto, come ravvivare affetti e sentimenti. Per i credenti si tratta di alimentare la fiducia in quel Dio che, come ci attestano le Scritture, vince anche la morte.
Peccato che questo affidare all’amore accogliente di Dio i nostri “defunti” (= coloro che hanno svolto il loro compito ed hanno esaurito il loro tempo) si sia tradotto nella chiesa cattolica nella pratica del suffragio, come se la “salvezza” fosse erogata dalla “rubinetteria ecclesiastica” a suon di messe e di indulgenze.
Il Dio di cui ci parla la Bibbia non ha bisogno di nessun suffragio e di nessun sacrificio espiatorio. I defunti sono nelle mani di Dio e non c’è nessuna chiesa, nessuna autorità, nessuno in assoluto che possa fare qualcosa. La pratica del suffragio (che talvolta ha dato vita ad una industria del suffragio) si basa su una presunta e presuntuosa estensione della potestà salvifica della casta sacerdotale che oggettivamente evidenzia un delirio di onnipotenza.
Quando fu inventato il Purgatorio (J. LE GOFF, La nascita del Purgatorio, Einaudi), come terzo luogo intermedio e si strutturò la teologia del suffragio e delle indulgenze, la gerarchia, non paga del potere sull’aldiqua, occupò un nuovo territorio addirittura nell’aldilà.
“Ma l’invenzione del Purgatorio non fu soltanto il risultato dell’evoluzione del pensiero teologico, ma anche il prodotto di una delle più intelligenti strategie politiche della Chiesa romana. Col Purgatorio la Chiesa giunse infatti ad affermare il proprio diritto - sia pure parziale – sulle anime dei defunti. Mentre in passato il destino ultraterreno degli uomini dipendeva soltanto dai loro meriti individuali e dalla volontà di Dio, ora veniva a dipendere anche dalla potestà della Chiesa di liberare, con l’aiuto di Dio, le loro anime dal fuoco del Purgatorio, per poi avviarle in Paradiso. Dagli inizi del Trecento il papato giunse così a disporre, attraverso il sistema delle indulgenze, di un nuovo formidabile strumento di pressione. Se prima la Chiesa poteva ricorrere, in casi estremi alla minaccia dell’Inferno, con l’avvento del Purgatorio poteva utilizzare meglio l’arma politica ed edificante dell’aldilà, graduando, a seconda delle circostanze, le pene e i castighi” (V. Castronovo, Repubblica, 28 dicembre 1982).
La festa di Ognissanti, aldilà di queste gabbie ideologiche, può lasciarci un messaggio semplice: chi è credente (e forse non solo chi è credente) pensa ad una “comunione” che non si rompe, ad una relazione che continua, ad un “luogo” dove la famiglia umana si ricompone. Questa è anche la mia fede.
Ma da alcuni anni è esplosa in Vaticano, accanto ad una devozione mariana debordante, una vera santomania, cioè la mania di “fare santi”... Insomma si è messa in piedi una macchina, la Congregazione per le cause dei santi, che lavora a ritmo continuo: una vera e propria fabbrica dei santi oltre alla fabbrica dei preti. In presenza di una simile inflazione (papa Wojtyla da solo ha fatto più santi di tutti i suoi predecessori messi insieme) nasce il sospetto che il “prodotto” spesso sia scadente. Chi ce la fa a digerire rospi come Pio IX e Escrivà de Balaguér?
La fabbrica dei santi segue due criteri ben individuabili. Si innalzano alla “gloria degli altari” le persone che sono state funzionali alle fortune dell’istituzione ecclesiastica, ne hanno promosso l’immagine, il pensiero, i dogmi, i poteri, il prestigio, il patrimonio e la penetrazione nelle istituzioni laiche. Attorno a questi santi si organizza la devozione che sempre di più si fa amica del denaro. Un “gran santo” in genere crea un buon mercato.
Spesso la fabbrica dei santi percorre una strada diversa. Talune persone, che erano persino malviste o condannate dall’autorità ecclesiastica, con il trascorrere del tempo vengono “sagomate”, ritoccate e ridotte a misura di nicchia. Il loro messaggio, spiritualizzato e debitamente smussato, permette la riabilitazione e il recupero della persona. Fra qualche anno potrebbe toccare ad Oscar Romero, il vescovo abbandonato dal Vaticano e poi assassinato. Spesso le istituzioni indecenti si rifanno la faccia con persone pulite. Tante volte si verifica ciò che scrive il Vangelo di Matteo al capitolo 23, 29. Le chiese “edificano le tombe dei profeti e adornano i monumenti funebri dei giusti” che hanno perseguitato e colpito a morte in mille modi. Penso, per porgere un esempio recente, alla riabilitazione di Rosmini.
I segnali della riabilitazione del pensiero del teologo e filosofo roveretano erano evidenti dal fatto che il papa già nella lettera enciclica Fides et ratio annoverava il Rosmini tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e parola di Dio. Se pensiamo al fatto che nel 1849 vennero messi all’Indice due suoi scritti, nel 1854 tutte le sue opere e nel 1887 vennero condannate quaranta proposizioni, allora è chiaramente avvenuta una svolta straordinaria, sia pure con quei linguaggi diplomatici che non riconoscono fino in fondo l’abbaglio vaticano.
E così la musica cambia. Rosmini viene visto nella luce di un audace profeta. La Congregazione per la dottrina della fede, in data 1° luglio 2001, scrive: “Si deve altresì affermare che l’impresa speculativa e intellettuale di Antonio Rosmini, caratterizzata da grande audacia e coraggio, anche se non priva di una certa rischiosa arditezza, specialmente in alcune formulazioni, nel tentativo di offrire nuove opportunità alla dottrina cattolica in rapporto alle sfide del pensiero moderno, si è svolta in un orizzonte ascetico e spirituale, riconosciuto anche dai suoi più accaniti avversari, e ha trovato espressione nelle opere che hanno accompagnato la fondazione dell’Istituto della carità e quella delle Suore della divina Provvidenza”.
In realtà queste sono storie vergognose e senza numero dove regnano opportunismo e manipolazione. Come credente, io penso che uno solo è davvero “il Santo”, cioè Dio. Semmai apprezzo molto il fatto che nelle chiese e nel mondo esistano “persone paradigmatiche” che, con la loro vita, lanciano fasci di luce, di calore, di fiducia, di amore.
Questa è la preziosa e vasta nube di testimoni. Per me i “santi”, credenti o atei o agnostici, sono tutte quelle donne e tutti quegli uomini che, nella loro esistenza quotidiana, accendono nel mondo amore alla vita, passione per la giustizia, lottano contro il pregiudizio e il non senso e costruiscono relazioni nonviolente. Per nostra fortuna questi santi ogni giorno camminano per le nostre strade, sono gente in carne ed ossa e non immaginette da altare. Di questa “santità” possibile e quotidiana il mondo è tuttora molto ricco.
novembre 2005
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