lunedì 20 dicembre 2010

ASCLEPIO, ERACLE, DIONISO: I MODELLI PAGANI DEL FIGLIO DEL DIO CRISTIANO



Se si potesse richiamare in vita un iniziato ai Misteri, ci confermerebbe che nella figura del Redentore Gesù, dalla nascita fino all'ascensione in cielo, scena per scena, percepisce il ricordo dei due Redentori Dioniso ed Eracle.

 (Il teologo Raschke, Das Christusmysterium, 117)
Asclepio
Il culto di Asclepio guadagnò ben presto vasta diffusione, e le guarigioni miracolose da lui operate nel tempio di Epidauro, fin dall'inizio del V secolo a.C., erano conosciute in tutto il mondo (Herzog, W 71 sgg): era meta di pellegrinaggio come oggi è Lourdes, ma non così comodo e facilmente raggiungibile. Oltre che portentose liberazioni da tenie, pidocchi, ernie e simili, i paralitici camminavano,
 i ciechi riacquistavano la vista, i muti la parola e persino i calvi si allontanavano con folte chiome (ibid.).
Asclepio guariva non solo i mali del corpo, ma anche quelli dell'anima. Da sempre medico e divinità guaritrice, divenne, come in seguito Gesù, un Salvatore e un Soccorritore in tutte le situazioni critiche dell'esistenza, un Redentore insomma. Sul suo altare troneggiava in lettere cubitali la parola Sotér (= Salvatore), e rimase fino ad epoca profondamente cristianizzata il rifugio soprattutto delle persone colte. Molti sostennero di averlo veduto in carne ed ossa e di essere stati testimoni oculari dei suoi benefici 1.
Non pochi miracoli compiuti da Gesù nella narrazione biblica si rifanno ad Asclepio: la straordinaria affinità dell'opera miracolosa di entrambi viene sottolineata dal teologo Carl Schneider con efficacissima sintesi:
«Come Asclepio, Gesù guarisce tendendo o imponendo le mani, con un dito che tocca le membra inferme oppure con un altro contatto col malato. Come in Asclepio, la fede e la guarigione sono quasi sempre strettamente congiunte; talvolta vien guarito anche uno che non crede. Anch'egli, come Gesù, esige il ringraziamento della persona guarita. Un cieco guarito da Asclepio vede per prima cosa degli alberi, come un uomo miracolato da Gesù. Entrambi guariscono zoppi, muti, malati lontani, paralitici, che se ne vanno coi lettuccio in spalla; nessuno dei due fa distinzioni fra ceti sociali, fra giovani e vecchi, ricchi e poveri, uomini e donne, schiavi e liberi, amici e nemici. A tali guarigioni vanno poi aggiunte operazioni miracolose sulla natura: Asclepio, Serapide, Gesù placano le tempeste. Asclepio resuscitò sei morti, con particolari identici agli analoghi atti di Gesù in occasioni simili: la presenza di numerosi testimoni, il sospetto degli scettici che si tratti di morti apparenti, ai resuscitati viene dato del cibo. Gesù assume gli stessi titoli di Asclepio: è Medico per eccellenza, Signore sulle potenze del male, Salvatore» 2

Eracle e Cristo
Quasi tutti conoscono le antiche saghe riguardanti Eracle, ma ne esiste anche una figura filosofica e una pratica religiosa, note e diffuse in Siria, in Grecia, a Roma e sul Reno ai tempi di Gesù.
Come il Gesù della Bibbia, Eracle venne perseguitato fin dalla culla e morì pronunciando le parole «È compiuto», come Gesù nel racconto di Giovanni (Jh. 19, 30), mentre la terra tremò e si spaccò e caddero le tenebre, tutti motivi ricorrenti in occasione della dipartita d'un dio, verificatisi, ad esempio, anche alla morte di Cesare 3. E alla fine Eracle, come Romolo, Henoch e altri 4, fu innalzato al cielo per cogliere dal padre divino il premio delle proprie fatiche. Non solo, ma il diretto responsabile della sua morte, si impiccò, pentito e sconvolto, come Giuda.
La somiglianza fra il mito di Eracle e la figura di Cristo fu spesso oggetto di attenzione, ma l'esistenza di una filiazione diretta dal primo fu scoperta per la prima volta dal filologo Friedrich Pfister 5. Qui ci limiteremo a tracciare i parallelismi principali, senza prendere in considerazione la dettagliatissima analisi condotta da Pfister.
Circa la storia della sua nascita è possibile riscontrare le coincidenze che seguono: come Amfitrione, il padre umano di Eracle, vive a Micene con la vergine Alcmena, così Giuseppe, il padre umano di Gesù, vive a Nazareth con la vergine Maria; come Amfitrione si astiene da Alcmena fino alla divina concezione, così fa anche Giuseppe. Come Amfitrione migra da Micene a Tebe insieme ad Alcmena, così Giuseppe trasmigra con Maria da Nazareth a Betlemme, e come Eraele non viene messo al mondo nel luogo di residenza di Amfitrione, Micene, ma a Tebe alla fine del suo viaggio, allo stesso modo Gesù non viene generato a Nazareth, residenza di Giuseppe, ma a Betlemme, meta del suo viaggio. E come Eracle viene chiamato talvolta «l'Argivo» per il luogo d'origine del padre, così Gesù viene talora chiamato «il Nazareno», per la patria d'origine di Giuseppe.
Intorno agli eventi della sua giovinezza si possono rintracciare le analogie seguenti: come Era apprende da Zeus che il rampollo della sua schiatta diverrà re, sì ch'ella lo perseguita, così Erode apprende dai Magi della nascita di un re e perseguita il nuovo nato. Come Eracle, a causa della paura della madre, viene esposto e quindi ripreso, così Gesù viene condotto in Egitto e poi riportato indietro a causa dei timori dei genitori.
Come Eracle prima dell'inizio della sua attività pubblica si reca in solitudine, così fa anche Gesù; e come Eracle cade nelle tentazioni, la stessa cosa accade a Gesù. E come ad Eracle vengono mostrati dalla cima di una montagna i domìni del re e del tiranno, così Gesù viene condotto dal tentatore sulla cima d'un monte e vede tutti i regni della terra. E come Eracle, anche Gesù supera la tentazione.
E anche l'attività della loro vita di adulti presenta analogie sorprendenti. Eracle obbedisce agli ordini del padre divino, come Gesù; e come Eracle vede confermata la sua missione dall'Oracolo, così Gesù dalla bocca del Profeta: Eracle e Gesù lasciano entrambi il padre e la madre. Come per Eracle, anche per Gesù il cammino dell'esistenza è una vita costellata di sofferenze. Eracle cammina sulle acque, ascende in cielo, viene chiamato redentore e benefattore dell'umanità, esattamente come Gesù. Se per Eracle l'impresa più grande è il superamento della morte, la medesima cosa vale anche per Gesù.
Il ritratto filosofico di Eracle venne delineato già nel V secolo a.C. e via via arricchito e idealizzato dai cinici e dagli stoici: sappiamo che già intorno al 500 a.C. Eracle, il figlio di Dio, viene invocato quale intermediario degli uomini presso la divinità. E all'epoca di Gesù esiste una religione di Eracle, che costituisce il più sublime modello etico per le personalità più eminenti, diventando l'ideale del saggio e del salvatore del mondo.
Soprattutto nelle due tragedie di Seneca, Hercules furens e Hercules Oetaeus, che ne riflettono l'immagine tradizionale, Eracle viene indicato come il grande Benefattore, il Pacificatore dell'umanità intera e specialmente il Redentore del mondo e l'autentico Figlio di Dio, il «Salvatore del mondo». Egli reca la salvezza persino nel mondo sotterraneo, vincendo le forze demoniache: «L'orrida morte è spezzata; Tu hai vinto il Regno della Morte». Innalzato dal divino Padre per le sue azioni, a lui raccomanda morendo il proprio spirito: «Accogli, ti prego, il mio spirito fra gli astri... Ecco, il Padre mi chiama e apre il cielo. Vengo, Padre mio, vengo». Nel Vangelo di Luca leggiamo: «Allora Gesù gridò: "Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio"» (Lc. 23, 46).
Particolarmente sorprendenti appaiono le corrispondenze fra la religione di Eracle e il Vangelo di Giovanni che, essendo il Vangelo canonico più recente, contiene più degli altri un patrimonio concettuale pagano, come dimostreremo più avanti anche in relazione alla religione di Dioniso.
Nei tre Vangeli più antichi il discepolo prediletto non è ai piedi della croce, e nemmeno la madre di Gesù: le donne osservano «da lontano». In Luca leggiamo: «Tutti (!) i suoi conoscenti stavano lontani» 6. In aperto contrasto con questo racconto, nel Vangelo di Giovanni il discepolo prediletto e la madre di Gesù si trovano sotto la croce, come alla morte di Eracle sono presenti la madre e il discepolo prediletto Hyllos!
E non basta. La voce di Eracle che sale in cielo suona: «...non piangere, o madre ... ormai, io vado in cielo»; in Giovanni il Cristo risorto dice: «Donna, perché piangi? ... Io ritorno dal Padre mio» (Jh. 20, 15 sgg.). E il Cristo di Giovanni spira pronunciando le stesse parole di Eracle: «È compiuto». E ben prima dell'Eroe del Quarto Vangelo, Eracle aveva la denominazione di «Logos», e nella religione di Eracle si recitava: «Perché il Logos è qui non per nuocere o per punire, ma per salvare», che corrisponde alle parole di Giovanni: «Perché Dio non ha inviato il figlio per giudicare il mondo, bensì affinché sia salvato per opera sua» (Schneider, Geistesgeschichte 1, 142).
Centotrentacinque anni prima che Pfister dimostrasse scientificamente la dipendenza della figura evangelica di Gesù da una biografia cinico-stoica di Eracle, in uno di quegli Inni geniali, per lungo tempo considerati documento di uno spirito ottenebrato, Hölderlin definì Cristo «fratello di Eracle». Hölderlin colse in modo visionario e fantastico anche il rapporto fra il mito di Dioniso e quello di Gesù, come del resto faranno anche Schelling e Nietzsche 7.
Dioniso e Cristo
Dioniso - si ricordi la discendenza del Cristo biblico - è figlio di Zeus e di una donna mortale: la madre Semele, durante la gravidanza, fu entusiasta dell'evento come Maria in Luca. E come la gioia di Semele si trasmise agli altri così anche quella di Maria 8. Dioniso fu un apportatore di gioia, ma anche un dio che soffre, muore e risorge dalla morte: a Delfi veniva additata persino la sua tomba 9.
La religione dionisiaca fu diffusa dapprima nel mondo mediterraneo, dove già a partire dall'VIII secolo a.C. ebbe grande rilevanza in Grecia 10: in tutte le più importanti città elleniche furono innalzati in suo onore numerosi templi; ma anche a Roma, già nel 186 a.C., contava settemila seguaci 11. Divenne la divinità preferita del mondo antico: dall'Asia alla Spagna fu adorato con feste e processioni sfarzose, durante le quali il suo simulacro veniva portato in giro su un crivello (anche altri dèi, molti secoli prima di Cristo, venivano collocati in cesti sacri simili a quello - il lichnon - per esempio Zeus ed Ermes 12, rappresentati in fasce distesi su una greppia).
Ma l'entusiasmo per Dioniso era particolarmente sentito e abbracciava tutti i ceti sociali, a differenza di altri misteri. All'inizio del V secolo Nonno di Panopolis scrisse un poema in 28 libri in onore del dio, il componimento epico più ampio dell'antichità. Ben presto il suo nome divenne tanto popolare, che, come dice il Wilamowitz, nemmeno i vescovi si vergognarono di portarlo 13.
Anche l'autore del Quarto vangelo è stato influenzato dalla figura di Dioniso.
Come il Cristo giovanneo, qualche secolo prima Dioniso era stato medico, Figlio di Dio in forma umana, Dio che muore e risorge, Dio dello «Spirito», della Profezia; come il Vangelo di Giovanni, il culto di Dioniso conosceva già la «Purificazione», la trasformazione del dolore in gioia (Jh. 15, 2; 16, 20 sgg.).
Come il Cristo del Vangelo giovanneo, già Dioniso era strettamente collegato al vino: Oineo di Etolia pare sia stato il primo a ottenere dal dio la vite, divenendo il creatore della viticoltura etolica. Uno dei titoli più noti di Dioniso, «la Vite», venne da Giovanni attribuito a Cristo, «la Vera Vite» (in un altro scritto cristiano del principio del II secolo egli è definito «la santa Vite di Davide») 14. In una diffusa rappresentazione antica su terracotta, Dioniso bambino appare nell'atto di nascere da una vite. E nel Medioevo, Cristo viene rappresentato appeso a un tralcio, come mostra un'efficace raffigurazione sul portale della Chiesa del castello di Valere, Sitten (Svizzera).
Anche per altri aspetti sono rilevanti gli influssi dell'arte dionisiaca; la vite è collegata strettamente a entrambe le divinità, Dioniso bambino è disteso dentro un cesto sacro come il Gesù bambino nella mangiatoia, esiste un Dioniso barbato e uno imberbe come esiste un Cristo con la barba e uno senza 15.
Anche il miracolo delle Nozze di Cana, la trasformazione dell'acqua in vino, era già stato compiuto da Dioniso, come testimonia Euripide (ca. 480-406 a.C.) nella descrizione dei misteri bacchici nella tragedia Le Baccanti, e fu quindi attribuito anche a Gesù 16. Il villaggio di Cana, secondo Giovanni uno dei centri dell'attività pubblica di Gesù in Galilea, stranamente non viene neppure menzionato negli altri tre Vangeli più antichi.
In seguito la cristianità ha spesso ripetuto il miracolo di Cana, talvolta anche in dimensioni maggiori; tale doloso inganno miracolistico ebbe inizio già nel II e ancor più nel III secolo, imbroglio pretesco sia in alcune cerchie gnostiche sia nella Chiesa cattolica. Il vescovo Epifanio di Salamina di Cipro (morto nel 403) scrive:
«In molti luoghi succede la stessa cosa fino ai nostri giorni in nome del prodigio divino accaduto allora [a Cana], come prova contro gli increduli; lo dimostrano in molte località fontane e fiumi, che nell'anniversario del miracolo di Cana si trasformano in vino» 17.
Nella liturgia del Cristianesimo antico tale ricorrenza cadeva il 6 di gennaio; ma nella notte fra il 5 e il 6 dello stesso mese aveva inizio una solenne festività in onore di Dioniso! Epifanio offre anche due esempi e rimanda a una fonte nella cripta della chiesa principale di Gerasa; ma in seguito a lavori di scavo, a Gerasa, sotto la cripta fu scoperto un tempio di Dioniso: con tutta evidenza i preti cristiani continuavano il pio imbroglio di quelli dionisiaci (ibid.) Un cattolico (Daniel-Rops, Jesus, 228) così si esprime:
«Proprio nello stesso periodo la Chiesa cattolica ricorda il miracolo di Cana (la seconda domenica dopo l'Epifania) probabilmente nell'intento di battezzare una tradizione pagana, come abbiamo già osservato a proposito della liturgia natalizia».
Il che sconfina nel cinismo, un sospetto che la lettura di questo scrittore solleva anche altrove.
Il Vangelo di Giovanni trae l'espressione per la Comunione: «Chi non mangia la mia carne e non beve il mio sangue» (Jh. 6, 53) dal culto di Dioniso; essa non si trova né in Paolo né in Gesù, ma è nella religione dionisiaca che il dio penetra nel corpo dei suoi adoratori (Eurip., Bacch. 300 sg.). Nel mito di Dioniso i Titani fanno a pezzi il fanciullo divino e ne divorano le membra; e nel tumulto orgiastico del suo culto le Menadi lacerano e mangiano carne cruda (omofagia), per raggiungere l'immortalità in una comunione sacramentale col dio.
In realtà, il Sacramento aveva un significato per la vita anteriore alla morte, ma la sua vera efficacia doveva manifestarsi solo dopo la morte: le medesime concezioni ricompariranno poi nella comunione cristiana. E c'è ancora un elemento in comune piuttosto importante: come il Prometeo Incatenato nel Caucaso, Licurgo e Marsia, anche Dioniso appartiene alla categoria degli dèi crocifissi; consta che le comunità seguaci di Dioniso, già molto prima dell'era volgare, venerassero il dio crocifisso, sopra una tavola d'altare con ampolle di vino. Secondo il teologo Hermann Raschke, la crocifissione di Gesù non sarebbe che una forma evolutiva della crocifissione di Dioniso. Per quanto tale ipotesi possa essere confutabile, vale tuttavia la pena di riassumere la posizione del Raschke:
«Dioniso a cavallo di un asino - nella religione dionisiaca l'asino è l'animale simbolo della pace - Dioniso in nave, Signore del mare, Dioniso e i fichi disseccati, Dioniso e la vite, la gogna e la sofferenza del dio, Dioniso la cui carne viene mangiata e il cui sangue viene bevuto, e ancora l'Orfeo bacchico sulla croce, sono sufficienti queste rapide indicazioni per riconoscere che il contenuto mitico del Vangelo è interamente percorso da motivi dionisiaci» 18.
Non c'è dubbio che il destino del Cristo biblico, insieme a un'ampia rielaborazione e utilizzazione di «profezie» veterotestamentarie, venne plasmato soprattutto sul modello delle divinità redentrici ellenistiche Asclepio, Eracle e Dioniso. Senza queste e altre simili figure mitiche, da girovago profeta ebreo egli non sarebbe mai divenuto il Cristo figlio di Dio che, come già tutti quelli che lo avevano preceduto, discende dal cielo, guarisce, aiuta, soffre, muore e risorge dopo tre giorni.
Non appare altrettanto sicura la dipendenza da Mitra, l'ultimo dio al quale dedicheremo la nostra attenzione: infatti, la straordinaria somiglianza delle due religioni nel mito, nel culto e nella liturgia parrebbe piuttosto il frutto di un'affinità spirituale e della comune origine orientale. Il culto mitraico era una religione sincretistica di origine iranica, ma percorsa già da modificazioni e da processi evolutivi d'ogni genere, comprendenti specialmente dottrine, miti e riti babilonesi e asiatici. In ogni modo le numerose analogie non possono essere il risultato del caso; perciò, qualora una delle due religioni dipenda dall'altra, cosa assai probabile, quella cristiana sarebbe seriore, dal momento che il culto di Mitra è più antico e risale ad epoca precristiana, se è vero come è vero che ha influenzato anche il tardogiudaismo 19.

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Note
1 Orig., Cels. 3, 24. Cfr. Philostr., Vita Apoll 1, 7. Liban., ep. 319; 930. Numerosi altri rinvii alle fonti in Lucius, 253 sgg.
2 Schneider, Geistegeschichte, 1, 55 sg. Ivi anche l'indicazione delle fonti.
3 Vergil., Georg. 1, 463 sgg. Cfr. anche Trede, 98.
4 Liv. 1, 16, 1. Henoch 39, 3. Per altro, come Eracle, in mezzo a nembi, tempeste e vortici; Gesù, invece, ascende con le proprie forze. Comunque cfr. anche Epistula Apostolorum 51 (62).
5 E. Pfister, Herakles u. Christus, in particolare pp. 52 sgg.
6 Mc. 15, 40 sg.; Mt. 27, 55 sg.; Lc. 23, 49. J. Jeremias, Golgotha, 3 li  pone sulle sulle mura della città.
7 Cfr. in proposito Raschke, 218; 92 sgg. Inoltre, W.F. Otto, 49.
8 Leipoldt, Dionysos, 50 sg. Leisegang, Pneuma Hagion, 41.
9 Plut. Is. e. Os. 35. Tat. or. 8.
10 W.F. Otto, 51 sgg. Leipoldt, Dionysos, 6 sgg. Idem, Antisemitismus in der alten Wetl, 3 sg.
11 A. Losy, Les mystères Païent et le mystère Chrétien, 1930, 25 sgg. F. Cumont, Les religions orientales dans le paganisme romain, 1929, 195 sgg.
12 Callimaco, Inni a Zeus, 48. Omero, Inno a Ermes, 21.
13 Wilamowitz, II, 157. Sulla diffusione del culto di Dioniso vedi anche Bernhardt, Dionysos u. seine Familie auf Münzen.
14 Jh. 15, 1. Cfr. 15, S. Did. 9, 2.
15 Schneider, Geistesgeschichte, II, 112.
16 Eurip., Bacch.s 142. Cfr. anche Pausania, 6, 26, 2. Inoltre Wilamowitz, 68, nota 5. Dibelius, Formgeschichte 99. W.F. Otto, 90 sgg. Bousset, Kyrios Christos, 62. Gressmann, Tod und Auferstehung des Osiris, 22 sgg. Numerose indicazioni delle fonti concernenti notizie sui miracoli di Dioniso col vino in W. Bauer, Johannesevangelium, 44.
17 Cit. secondo Leipoldt, Von Epidauros bis Lourdes, 38.
18 Raschke, 95; 97 sgg. Cfr. anche la raffigurazione in Zehren, 298: Festa di Dioniso su una pittura vascolare attica, Dioniso al Palo.
19 yde, 67. Widengren, 11, 107 sgg. Gressmann, Der Messias, 355 sgg., particolarmente 364 sg. M. Brückner, 30 sgg.

KARLHEINZ DESCHNER, IL GALLO CANTÒ ANCORA
STORIA CRITICA DELLA CHIESA


CHE COSA SONO I SANTI SECONDO LA BIBBIA?
La parola “santo” deriva dal termine greco hagios che significa “consacrato a Dio, santo, consacrato, pio". È quasi sempre usato al plurale, “santi”: "…Signore, ho sentito dire da molti di quest’uomo quanto male abbia fatto ai tuoi santi in Gerusalemme" (Atti 9:13); "avvenne che mentre Pietro andava a far visita a tutti si recò anche dai santi residenti a Lidda" (Atti 9:32); "questo infatti feci a Gerusalemme; e avendone ricevuta l’autorizzazione dai capi dei sacerdoti, io rinchiusi nelle prigioni molti santi… “(Atti 26:10). Esiste un solo caso di impiego singolare ed è questo: "Salutate ogni santo in Cristo Gesù…" (Filippesi 4:21, KJV). Nella Scrittura, vi sono 67 utilizzi del plurale “santi” in confronto all’unico impiego del termine singolare “santo”. Anche in quest’unico caso, c’è in vista una pluralità di santi: “…ognuno dei santi…” (Filippesi 4:21, NR).Il concetto del termine “santo” è un gruppo di persone messo da parte per il Signore e per il Suo regno. Esistono tre riferimenti al carattere pio dei santi: "perché la riceviate nel Signore, in modo degno dei santi…" (Romani 16:2); "per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo" (Efesini 4:12); "come si addice ai santi, né fornicazione, né impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi" (Efesini 5:3).Pertanto, biblicamente parlando, i “santi” sono il corpo di Cristo, i cristiani, la chiesa. Tutti i cristiani sono considerati santi. Tutti i cristiani sono santi… e allo stesso tempo sono chiamati a essere santi. 1 Corinzi 1:2 (ND) lo afferma chiaramente: “Alla chiesa di Dio che è in Corinto ai santificati in Gesù Cristo, chiamati ad essere santi…”. Le parole “santificati” e “santi” derivano dalla stessa radice greca come il termine tradotto comunemente “santi”.
I cristiani sono santi in virtù della loro unione con Gesù Cristo. I cristiani sono chiamati ad essere santi, a consentire sempre più alla loro vita quotidiana di armonizzarsi più strettamente con la loro posizione in Cristo. Questa è la descrizione biblica e la vocazione dei santi.In che modo la comprensione cattolico-romana dei “santi” regge al confronto con l’insegnamento biblico? Non troppo bene. Nella teologia cattolico-romana, i santi sono in cielo. Nella Bibbia, i santi sono sulla terra. Nell’insegnamento cattolico-romano, una persona non diventa santa finché non sia “beatificata” o “canonizzata” dal papa o da un vescovo importante. Nella Bibbia, tutti quelli che hanno ricevuto Gesù Cristo per fede sono santi. Nella pratica cattolico-romana, i santi sono venerati, li si prega e, in alcuni casi, sono adorati. Nella Bibbia, i santi sono chiamati a venerare, adorare e pregare soltanto Dio.

http://www.gotquestions.org/italiano/Santi-cristiani.html



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