domenica 10 aprile 2011

PAPI CRIMINALI: CHIESA E RIVOLUZIONE FRANCESE


Rivoluzione franceseScrive Galavotti, che ha fatto uno studio approfondito su Chiesa e Rivoluzione Francese (vedi bibliografia), e dal quale ho praticamente tratto tutto il materiale per questo paragrafo:
Le prime avvisaglie di quella che di lì a poco sarebbe apparsa come la maggior sfida europea ai privilegi feudali, si ebbero con la pubblicazione dell'Encyclopédie (1751). Le forti accuse di Diderot, d'Alembert, Voltaire, Rousseau, Helvétius, Holbach indirizzate al fanatismo, all'intolleranza, al dogmatismo, alla superstizione, al temporalismo dei papi, al clericalismo, ai principi di "autorità" e di "tradizione" nelle scienze, ecc., indussero il cattolicesimo conservatore, a partire dal 1770, a sferrare un attacco frontale contro questi philosophes 'colpevoli' di ateismo, miscredenza, empietà.
N.S. Bergier [il teologo Nicolas-Sylvestre, ndr] venne ufficialmente incaricato dall'Assemblea del clero di Francia di aprire le ostilità. Non pochi tuttavia erano gli scettici nell'imminenza di questa battaglia. Fra le stesse file dell'alto clero il lusso e la corruzione erano così vasti e profondi che la maggioranza dei vescovi si sentiva quasi completamente estranea agli ideali della chiesa cattolica. S'incontravano persino figure inclini all'ateismo e favorevoli alle idee del "libero pensiero", [...]. Se dunque resistenza c'era ai nuovi orientamenti intellettuali e morali, i motivi vanno ricercati negli interessi di potere, che però fino all'Ottantanove non sembravano minacciati da forze sociali politicamente determinate: la maggioranza dei filosofi era filomonarchica, sebbene volta al riformismo giurisdizionalista.
Dal canto suo il basso clero, a causa delle forti discriminazioni di cui era oggetto, vedeva spesso di buon grado le critiche che il movimento filosofico progressista rivolgeva al sistema [...]. Sull'atteggiamento di questi curati, la storiografia cattolica è sempre stata abbastanza severa: si è rimproverato loro un "eccessivo" rancore contro il lusso dell'alto clero, un desiderio d'indipendenza "troppo vivo" e addirittura uno spirito patriottico "superiore" a quello ecclesiastico [...].
Essendo il primo degli ordini dello stato, il clero, che era il più grande proprietario del regno, fruiva di particolari privilegi: politici, giudiziari e fiscali ed il re assicurava le cariche religiose ai suoi cortigiani oppure ai figli cadetti dell'aristocrazia più facoltosa. I titolari, in sostanza, percepivano 1/3 delle rendite dei vescovadi o abbazie, risiedendo prevalentemente nei dintorni di Versailles, presso la corte regia, e delegando l'effettivo esercizio del ministero pastorale e amministrativo ad ecclesiastici stipendiati (nel 1764 a Parigi vivevano non meno di 40 vescovi!). Cosa di cui non ci deve meravigliare poiché, dipendendo la nomina dalla nascita o dalle relazioni, era impossibile che questi prelati avessero una buona formazione teologica o un vero interesse "etico-religioso" per i benefici ottenuti. Generalmente anzi, la loro condotta e i loro principi erano improntati alla mondanità e allo scetticismo dell'ambiente di corte. [...]
I monasteri e i conventi erano ricchissimi: frati e monaci, in genere, oziavano con buone rendite e grandi proprietà. Ad eccezione di quelli che si dedicavano all'insegnamento o all'assistenza medica, gli ordini religiosi venivano considerati socialmente inutili. Ignavia e rapacità le accuse principali al loro indirizzo, benché non manchino i monaci appassionati alle idee dei filosofi. Fallita la riforma del 1776, che aveva cercato di porre rimedio alla decadenza dei costumi e allo spopolamento dei conventi, due anni dopo si decise di chiuderne 426, sopprimendo 8 ordini religiosi. Tra il 1768 e l'89 la crisi delle vocazioni fu notevolissima. Ciononostante la chiesa continuava a proclamare l'eternità dei voti monastici e lo Stato ne sorvegliava l'adempimento: se i religiosi abbandonavano il convento, vi tornavano accompagnati dalla forza pubblica.
Tutto il clero era esente dai gravami di carattere municipale e da qualunque imposta fiscale regia, diretta e indiretta. I beni della chiesa non pagavano alcun diritto neppure nei trasferimenti di proprietà. Ogni quinquennio le assemblee generali di questo ordine votavano un contributo fiscale detto "donazione gratuita" da versare nelle casse dello Stato con rate annuali: si trattava, in sostanza, del 2% di tutti gli introiti, l' entità effettiva dei quali però era sconosciuta al governo (da notare che la percentuale era stata decisa nel 1561 e da allora, malgrado l'esorbitante rialzo delle altre imposte, era rimasta immutata). Oltre a ciò il clero possedeva propri tribunali, da cui dipendevano non solo tutti gli ecclesiastici, ma anche i laici per cause riguardanti la religione (vedi ad es. la legislazione matrimoniale). Gli attentati alla fede, la bestemmia e il sacrilegio potevano essere puniti con la morte.
In questo contesto va però distinta la situazione del basso clero (curati, vicari e cappellani), che è escluso completamente dalla carriera episcopale e che trae il proprio sostentamento dalla modesta "congrua" (porzione della decima) e dai redditi, più o meno variabili, inerenti all'officiatura delle varie cerimonie religiose (il "casuale"). Il più delle volte i sacerdoti di campagna, reclutati fra la piccola borghesia rurale, vivono in condizioni più precarie rispetto ai loro colleghi di città, reclutati fra la media borghesia (assenti, fra i preti, persone di origine operaia o contadina, in quanto i candidati al sacerdozio dovevano dimostrare all'atto dell'ordinazione di avere una rendita patrimoniale). Numerosi sono i preti "clientelari", che vanno in cerca di messe senza appartenere ad alcuna parrocchia e non pochi sono quelli che vivono di un modesto beneficio senza esercitare alcuna vera attività pastorale.
In campagna il clero rappresenta buona parte della cultura: tiene lo stato civile, registrando battesimi, matrimoni e decessi; simpatizza, senza esporsi troppo, per le idee dei filosofi, che vanno peraltro facendosi strada fra categorie sociali tendenti all'agnosticismo: borghesia rurale, funzionari locali, artigiani, vecchi soldati, bettolieri, ecc. Il prete è anche diffusore delle ordinanze reali, ausiliario della giustizia, banditore di vendite immobiliari. I beni della parrocchia sono il presbiterio, la scuola, il cimitero e tutti gli immobili lasciati in eredità da fedeli pii e timorosi. Qualunque forma di manutenzione dell'edificio adibito al culto è a carico dei parrocchiani. [...]
Stante questa situazione non ci si deve stupire che dalle masse popolari la religione fosse vissuta con molto conformismo e poca convinzione. Non si trattava solo di vocazioni in forte calo, ma anche - come le più recenti indagini hanno messo in luce - di scarsa partecipazione nella pratica dei sacramenti e in particolare durante le festività pasquali, di forte diminuzione delle offerte per le messe a suffragio, di aumento delle nascite illegittime, di bassa tiratura dei libri a carattere religioso, ecc. Dopo il 1760 inizia anche la contraccezione, qui da segnalare più che altro per l'avversione ch'essa suscita ancora oggi nell'ambito di certo cattolicesimo. [...]
E' evidente quindi che la rivoluzione poteva essere avvertita come un dramma solo dall'alto clero. Viceversa, dal punto di vista delle masse, anche di quelle tradizionalmente religiose, la rivoluzione non poteva essere considerata che come un evento liberatorio, emancipativo, come una vera e propria catarsi. E il fatto che il basso clero sia stato subito appoggiato dai parlamentari sin dalle prime sedute degli Stati generali, è appunto indicativo di quale diversa sensibilità caratterizzasse i ceti sociali meno favoriti.
E' assai banale quindi sostenere che la chiesa di Francia, se avesse voluto, avrebbe potuto riformarsi da sola, senza aspettare l'ondata rivoluzionaria della borghesia o sostenere addirittura ... che la rivoluzione avrebbe potuto essere più "umana" se fosse stata più "cristiana" ... La Chiesa, come era strutturata, non poteva fare alcunché di veramente innovativo. Essa, come la monarchia e soprattutto l'aristocrazia, rifletteva rapporti socio-economici che le impedivano qualunque rinnovamento democratico. Negli stessi cahiers de doléances, prodotti in vista degli Stati generali, appare in modo assai chiaro quanto fosse vasta e profonda la crisi della chiesa francese, e quanto fossero pesanti le accuse contro i privilegi e gli abusi del clero, contro le decime e la decadenza del monachesimo. Al massimo dunque essa avrebbe potuto rendere meno catastrofico il terremoto che la sconvolse, ma in nessun modo avrebbe potuto evitarlo. A certi livelli (si pensi al basso clero intellettuale) poteva anche affrettarne la venuta servendosi della stessa religione, ma non senza l'aiuto, in quel momento, della nuova classe emergente: la borghesia.
        Queste le premesse vi sono poi le azioni pratiche che videro impegnati rappresentanti del clero ma, attenzione, del basso clero, nelle vicende rivoluzionarie. Già negli Stati Generali, dopo che si era delineato il programma contrario alla nobiltà ed all'alto clero, il basso clero si schierò con chi sosteneva questo programma e cioè con la borghesia. Contro la lettura stupida, deformante e giustificazionista dei cattolici che ancora oggi parlano di un basso clero invidioso (sic!), vale la pena leggere alcuni degli oltre 60 mila cahiers de doléances presentati all'Assemblea. Si leggono con molta frequenza accuse circostanziate di questo tipo:
Di tutti gli abusi che esistono in Francia quello che maggiormente affligge il popolo e più fa disperare i poveri è l'immensa ricchezza, l'oziosità, le esenzioni, il lusso inaudito dell'alto clero. Queste ricchezze si sono in gran parte formate col sudore dei popoli, sui quali il clero percepisce un'orribile imposta che va sotto il nome di decima; essa assorbe ogni dieci anni a vantaggio di illustri fannulloni la totalità del reddito agricolo [annuale] del regno.
Ed ancora:
Le spese per le chiese, i presbiteri, i cimiteri sono a carico delle comunità, che tuttavia continuano a pagare per battesimi, matrimoni, sepolture, senza che la decima venga diminuita. I poveri non sono più soccorsi e pagano la decima. 
Ma anche su temi che investivano problematiche più generali:
Che tutti i preti si sposino. La tenerezza delle loro spose risveglierebbe nei loro cuori la sensibilità, la riconoscenza, la pietà - così naturali per l'uomo - che i voti di castità e di solitudine hanno spento in quasi tutti coloro che li hanno pronunciati.
        Si può con certezza dire che nel basso clero vi era una forte coscienza sociale che non investiva solo la propria condizione ma anche quella di un popolo affamato e disperato.
        Dopo la presa della Bastiglia, nel 1789, con la collaborazione dello stesso basso clero, furono presi dall'Assemblea provvedimenti fondamentali e rivoluzionari:
l'abolizione di tutti i privilegi feudali (decime, annate, franchigie ecclesiastiche in materia d'imposte, diritti signorili, ecc.);
la nazionalizzazione delle proprietà immobiliari della chiesa (terre, foreste, beni derivanti da fondazioni, ospedali, scuole ecc.);
il sostentamento del clero da parte dello Stato per l'esercizio del ministero(2).
        Ancora nell'agosto del 1789 l'Assemblea votò uno dei Decreti più importanti, la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino(3) che aveva anche il fondamentale articolo 10 riguardante la libertà di religione. Questo articolo richiese un Decreto esplicativo successivo (1790), evidentemente nato da pressioni di ogni tipo, nel quale si affermava l'impossibilità da parte dell'Assemblea di riconoscere la Chiesa cattolica come religione di Stato ed il suo culto come l'unico autorizzato anche se ci si rendeva conto che la cattolica era la religione più seguita. A parte questa contraddizione, che peserà sull'ambiguità secondo la quale uno Stato deve avere una religione o comunque non deve negarla e che si pensava di sistemare in futuro democratizzando la Chiesa, nei principi fondanti la Dichiarazione dei diritti dell'uomo non si fa più riferimento al Dio dei cristiani e, come ormai gli storici sostengono tutti: I principi del 1789 si presentano come un corpo di dottrina autosufficiente, che trae il proprio valore dall'evidenza razionale e non dalla rivelazione. Così l'umanità pone se stessa come suo proprio dio.  Occorre comunque essere chiari: la Rivoluzione non fu né anticristiana né antireligiosa ma solo anticlericale, contro quell'alto clero parassita e gaudente.
        Un primo tentativo di democratizzazione del clero avvenne mediante l'approvazione da parte dell'Assemblea della Costituzione civile del clero secondo la quale:
si riorganizzava la distribuzione geografica delle diocesi e delle parrocchie, facendole coincidere con le nuove circoscrizioni amministrative (il loro numero ovviamente diminuiva di parecchio);
si regolamentava il trattamento economico degli ecclesiastici, che diventano così funzionari stipendiati dallo Stato, tenuti a esercitare il ministero gratuitamente;
infine si stabiliva il nuovo sistema di elezione popolare dei vescovi e dei sacerdoti, accogliendo le richieste del partito gallicano-giansenista di eleggere vescovi e parroci, rispettivamente, da assemblee dipartimentali e distrettuali, composte da cittadini attivi (inclusi ebrei e protestanti) che pagavano tasse pari a dieci giorni di lavoro. Poteva essere eletto vescovo solo chi avesse esercitato il ministero pastorale per quindici anni entro i confini della diocesi, parroco chi l'aveva svolto per almeno cinque anni.
        Il Papa aveva condannato tutto ciò ufficiosamente con "brevi" indirizzati al Re e ai prelati contro la Costituzione civile, in quanto sperava che la monarchia riprendesse le redini del paese o che fosse comunque una grande maggioranza del clero a chiedergli d'intervenire pubblicamente.  L'Assemblea, esasperata dalla resistenza che avvertiva da parte del clero più conservatore, pretese (sbagliando clamorosamente) l'applicazione per legge della Costituzione del clero, cui il Re, forzatamente, aveva dato il consenso. E siccome le proteste non mancarono, essa impose a tutti gli ecclesiastici funzionari un giuramento di fedeltà alla nazione, al Re e alla legge, pena l'interdizione dagli uffici o la privazione dello stipendio (nel senso cioè che quanti vi si fossero opposti sarebbero stati sostituiti e nel peggiore dei casi considerati dei sovversivi). Di fatto solo il 60% di coloro che avrebbero dovuto farlo giurò, con buone percentuali anche tra il basso clero. Lo scisma tuttavia era scoppiato e la guerra civile per motivi religiosi era alle porte. Ora i partiti cattolici su posizioni contrapposte erano due: quello costituzionale (o giurato) e quello refrattario. Quando si iniziò con le sostituzioni di coloro che non avevano giurato, il Papa intervenne con la condanna della Costituzione civile del clero. Prima di farlo, naturalmente, chiese ai vescovi refrattari di avanzare una formale richiesta d'intervento, affinché dimostrassero la loro subordinazione alla Santa sede. E così con il breve Caritas interdisse ai vescovi di nuova nomina l'esercizio del ministero e minacciò di scomunica tutti i preti costituzionali che non avessero ritrattato il giuramento entro 40 giorni. Poi con il breve Quod aliquantum attaccò direttamente la Costituzione del clero, facendo il punto sull'opinione della Chiesa ufficiale in merito a tutta l'esperienza rivoluzionaria francese.
        Il pontefice rifiutò praticamente tutto: la libertà di religione, l'uguaglianza degli uomini, l'abolizione della primazia e giurisdizione della Santa sede, il potere dei sinodi locali sui vescovi, lo stipendio statale per il clero, l'esproprio dei beni, la soppressione degli ordini e dei voti. Non accettò neppure il potere dell'Assemblea sui vescovi, asserendo che lo scopo della rivoluzione era quello di "annientare la religione cattolica e con essa l'obbedienza dovuta ai re". Pio VI paragonò inoltre l'Assemblea ai 'peggiori' eretici e scismatici degli ultimi secoli e rivolse insistenti appelli alle potenze cattoliche europee, nonché a Caterina II di Russia e a Giorgio III d'Inghilterra, perché venissero in aiuto del Re francese contro i suoi stessi sudditi.
        Con la caduta di Luigi XVI, il 10 agosto 1792,  le cose cambiarono perché la Francia era minacciata da vari Paesi europei e, a questo punto, occorreva essere uniti per respingere ogni attacco esterno alla Rivoluzione. I refrattari iniziarono ad essere sospettati di collusioni con i nemici, soprattutto nelle zone di frontiera. Ed i sospetti si accrebbero dopo l'inizio della guerra con l'Austria e, a partire dal maggio 1792, l'Assemblea, che da Costituente era diventata Legislativa, autorizzò a deportare in Guyana ogni prete che non avesse giurato la Costituzione civile. Dopo il crollo della monarchia la repressione divenne fortissima e, come scrive Galavotti:
Il 16 agosto, la Comune insurrezionale di Parigi (l'organo che determinò, in ultima istanza, la deposizione del re) proibì le processioni e ogni esteriorità di culto. Il 18 vengono sciolte le congregazioni maschili e femminili socialmente utili, che la Costituente aveva risparmiato, e si rinnova al clero il divieto di portare l'abito talare al di fuori dell'esercizio ministeriale. Il 26 l'Assemblea dà 15 giorni di tempo ai refrattari per abbandonare la Francia, minacciandoli di deportazione. Danton sostiene la necessità di adottare il sistema delle "visite domiciliari" per requisire le armi e arrestare i traditori, preti o nobili che siano. Il 2 settembre, nel timore che i "traditori della patria" possano organizzare ... una rivolta carceraria, approfittando della crisi generale della rivoluzione e in particolare della presenza prussiana a Verdun, vengono giustiziate circa 1.400 persone, fra cui più di 200 preti. Il 20 settembre la Convenzione, succeduta a un'Assemblea legislativa ..., sancisce per le municipalità, dopo aver decretato la Repubblica, la laicizzazione dello stato civile e il divieto per i sacerdoti di tenere qualunque registro: battesimi, matrimoni e funerali religiosi non avrebbero più avuto alcun valore legale. Questa la prima vera tappa sulla via della separazione fra Stato e chiesa. Nello stesso giorno venne istituito il divorzio.
Per le esigenze della guerra si cominciarono a requisire le campane e le argenterie delle chiese anche ai preti costituzionali, i quali chiedendo di evitare una rigorosa applicazione della legge contro i refrattari e simpatizzando spesso per il federalismo, rischiavano di perdere le simpatie dei repubblicani. [...]
Impossibilitati a ottenere con la forza dei decreti una chiesa fedele a uno Stato progressista, i costituenti cercavano ora di costringerla con la forza delle armi. 30.000 ecclesiastici scelsero la strada dell'emigrazione, soprattutto verso l'Inghilterra e gli stati pontifici, ove l'accoglienza era migliore, sebbene nei territori della chiesa venisse loro imposto un giuramento di obbedienza alle bolle papali contro giansenismo e gallicanesimo. [...]
La Convenzione puntò tutte le sue carte sulla realizzazione del fine strategico e dimenticò i fini intermedi, quelli che si ottengono con la tattica. Quando poi si ha la pretesa di realizzare determinati obiettivi senza l'appoggio sicuro e concreto delle masse; quando la crisi economica invece di risolversi si acuisce, ecco che forze controrivoluzionarie (in questo caso i preti refrattari) possono facilmente sfruttare i sentimenti religiosi della gente meno cosciente e più marginale, indirizzandoli verso una protesta sociale e politica destabilizzante. Fu appunto questo il caso della rivolta in Vandea, dove - come disse il vescovo costituzionale Grégoire - "preti scellerati in nome del cielo predicano il massacro".
Scoppiata nel marzo 1793, prendendo a pretesto il rifiuto della coscrizione obbligatoria per fronteggiare l'offensiva austro-prussiana, questa insurrezione, in cui vennero coinvolti popolani dalla mentalità rozza e primitiva ma con esigenze reali di democratizzazione, e che trovò un certo seguito in altre regioni occidentali della Francia, dimostrò assai chiaramente come provvedimenti giusti, privi di consenso popolare sufficientemente vasto, possono ben presto trasformarsi in azioni sbagliate e controproducenti. [...]
Una settimana dopo lo scoppio di questa rivolta integralista e filomonarchica, il governo girondino aveva decretato che i refrattari rimasti in patria sarebbero stati giudicati da un tribunale militare e condannati a morte nel giro di 24 ore.[...]
La scristianizzazione fu determinata non solo dalle profonde radici anticlericali sottese alla politica religiosa che il governo rivoluzionario aveva manifestato sin dallo scisma della chiesa costituzionale, ma anche dal desiderio dei sanculotti di por fine una volta per sempre (con metodi senza dubbio discutibili ma temporaneamente efficaci) alle mire controrivoluzionarie dei refrattari e allo schieramento moderato di molti costituzionali favorevoli alla Gironda e al federalismo. [...]
Se almeno su un aspetto borghesia rivoluzionaria e avanguardia popolare andavano d'accordo era senz'altro questo: la declericalizzazione della vita quotidiana. Forse anzi si può dire che buona parte dei rivoluzionari (incluso Robespierre) si illuse di poter risolvere i molti problemi sociali di quel tempo cercando una convergenza ideale fra borghesia e sanculotti sul terreno dell'anticlericalismo
La scristianizzazione vera e propria si affermò all'inizio nei dipartimenti, sotto la spinta di alcuni rappresentanti della Convenzione, mandati in missione speciale nelle province in rivolta, ma la Convenzione non fece nulla per impedirla o circoscriverla. [...] Sulla base di una proposta di Robespierre la Convenzione decretò nuovamente il 6 dicembre 1793 la libertà dei culti, riservandosi il diritto di colpire "tutti coloro che tentassero di abusare del pretesto della religione per compromettere la causa della libertà". Ma pochi giorni dopo essa affermò di non voler porre rimedio alle misure prese in precedenza, per cui la scristianizzazione continuerà almeno sino al 7 maggio 1794, allorché la Convenzione deciderà di adottare il culto dell'Essere Supremo. La libertà dei culti, questa volta, verrà affermata solennemente, con la riserva, legittima, che "ogni riunione contraria all'ordine pubblico sarà repressa".
        Continuando oltre e riassumendo ancora Galavotti:
        Il 27 luglio del 1794 vi fu un colpo di stato controrivoluzionario (termidoriano). Robespierre e Saint Just furono condannati a morte senza processo. Era la fine della Rivoluzione. Eliminato il governo rivoluzionario, i termidoriani, che esprimevano gli interessi della borghesia più ricca, diedero inizio al terrore "bianco", smantellando progressivamente molte leggi e istituzioni favorevoli al popolo. Sul piano religioso la Convenzione riuscì ad ottenere ciò che i governi precedenti non avevano mai osato rischiare: la completa laicizzazione dello Stato, ovvero l'effettiva uguaglianza di tutte le religioni. E così, poche settimane dopo la caduta di Robespierre, in numerosi punti della Francia si ricominciò a celebrare la messa, si riaprirono i vecchi oratori, si videro affluire nelle province di frontiera dei preti emigrati. Tuttavia in molte altre province e soprattutto a Parigi si continuava a ghigliottinare, benché le amministrazioni non mettessero più lo zelo di prima nell'applicare i provvedimenti di scristianizzazione.
        Paradossalmente, mentre al tempo della dittatura giacobina si negava la libertà di culto per difendere gli ideali rivoluzionari, ora invece i termidoriani concedono, seppur limitatamente, questa libertà, ma solo per difendere degli ideali reazionari. La borghesia infatti non voleva rinunciare alla propria ideologia anticlericale, né voleva perdere il suo potere politico sulla chiesa, ma allo stesso tempo non voleva lasciarsi coinvolgere in una guerra di religione; anzi, se possibile, voleva cercare di riguadagnarsi la fiducia del clero cattolico, da utilizzarsi, eventualmente, contro gli interessi sociali e materiali delle masse. Questa esigenza diventava tanto più forte quanto più cresceva l'opposizione popolare al nuovo regime.
        Furono i termidoriani che ereditarono i risultati dell'immenso lavoro del governo giacobino. La Convenzione termidoriana seppe anche impedire la restaurazione del feudalesimo e della monarchia. Promulgò una Costituzione assai conservatrice, ma imperniata sul rafforzamento delle istituzioni repubblicane. Sul piano dei rapporti fra Stato e chiesa faticava alquanto a farsi strada una separazione rigorosa, a livello ideologico, della politica dalla religione. Con la nuova Costituzione, entrata in vigore nel novembre 1795, il potere esecutivo passò nelle mani del Direttorio, permettendo alla borghesia piena libertà economica con la garanzia di enormi profitti ai ceti più agiati. Vi fu una forte ribellione popolare e la Congiura degli eguali, capeggiata da Babeuf, si pose come obiettivo fondamentale, per la prima volta nella storia della Francia, l'abolizione della proprietà privata. Il pericolo fu talmente grande che il Direttorio cercò sostegni politici a destra e a sinistra. Inevitabilmente mutò anche il suo rapporto nei confronti dei cattolici: in primo luogo con i refrattari, ai quali volle garantire l'abrogazione della legge sulla deportazione e promettere il ritorno ad un regime di piena libertà religiosa. L'uso strumentale della religione per fini controrivoluzionari era evidente. Lo stesso papato si piegava facilmente a tale necessità: lo testimonia il breve Sollicitudo (8 giugno 1796), con cui si esortavano i cattolici francesi a una docile sottomissione al governo. Ma altrettanto evidente era la debolezza del Direttorio, che alla fine del '96 si vide costretto ad abrogare tutta la legislazione contro i preti refrattari e a realizzare un colpo di Stato militare (fruttidoro 1797). Tra i cattolici, i refrattari incitavano alla diserzione i figli dei loro seguaci, a non pagare le tasse, a cacciare i preti costituzionali, a disobbedire al giuramento di sottomissione alle leggi della repubblica. In materia di religione, i provvedimenti del nuovo Direttorio furono molto severi: ripristinata la legge sulla deportazione, si pretese da tutto il clero un giuramento di "odio alla monarchia". Per diverse ragioni comunque il Direttorio aveva urgenza di giungere ad un accordo con la Santa sede. Approfittando delle vittorie di Napoleone in Italia, esso aveva chiesto a Pio VI di annullare tutti gli atti di condanna della politica ecclesiastica dei governi succedutisi dall'inizio della rivoluzione in poi. Ma il Papa non ne volle sapere. L'unico risultato raggiunto fu la pace di Tolentino nel febbraio 1797, in cui si regolarono solo gli aspetti territoriali e finanziari pendenti fra i due Stati. A ciò seguì la deportazione di Pio VI in Francia, dopo l'occupazione francese di Roma, e la morte di quest'ultimo il 29 agosto 1799. Una ulteriore e vera svolta si ebbe con un altro colpo di Stato militare, quello del 18 brumaio del 1799 di Napoleone Bonaparte che instaurò il passaggio dalla Repubblica all'Impero. Ma di questo parlerò oltre.

PIO VI, PIO VII, RIVOLUZIONE, NAPOLEONE

        Nel parlare di come la Rivoluzione Francese affrontò i problemi religiosi ed i rapporti con la Chiesa cattolica abbiamo accennato qua e là a Pio VI. Vediamo ora questa drammatica vicenda dal punto di vista della Chiesa di Roma.
        Dopo le vicende del giuseppinismo, ora, in Francia, venivano aboliti i privilegi del clero, nazionalizzati i beni della Chiesa, introdotta la libertà di culto, redatta una Costituzione del clero, riportati i vescovi ed i parroci ad un'elezione popolare, ... e tutto ciò senza consultare minimamente il Papa. Tutto diventava un brutto incubo. Pio VI scrisse subito un breve di condanna delle leggi approvate dall'Assemblea Costituente che inviò a Parigi. Nel maggio del 1791 questo documento fu bruciato pubblicamente tra gli applausi dei rivoluzionari.
        Ma dalla Francia arrivano anche dei rivoluzionari a sollevare la piazza contro il Papa. Tra questi Nicolas Jean Hugon de Basseville italianizzato in Ugo di Basseville che, dal Regno delle due Sicilie in cui era ambasciatore della Repubblica, si recò a Roma nel 1792. Personaggio sgradevole non aveva nulla di diplomatico e fu totalmente irriverente verso ogni simbolo religioso (tra le altre sue emerite cafonate, bestemmiava ad alta voce nelle funzioni religiose e chiamava Pio VI Oca porpora del Campidoglio). Fece indignare tutti ed i romani, passati attraverso diverse rivolte poi finite con repressioni violente, non provarono simpatia per ilo personaggio tanto che aggredirono a sassate la sua carrozza, lo tirarono fuori tagliandogli la gola con un rasoio. Questo episodio comunque additò ai francesi Pio VI come nemico della Francia rivoluzionaria che meritava di essere punito (ci penserà Napoleone).
        Intanto Napoleone avanzava occupando gran parte d'Italia ed imponendo pesanti condizioni di pace: ritiro del breve di condanna della Costituzione del clero francese e pagamento di sanzioni per l'assassinio di Basseville. Il tutto si formalizzerà con la Pace di Tolentino del 19 febbraio 1797 in cui le condizioni furono ancora più pesanti perché molti territori della Chiesa passarono direttamente alla Francia con, sullo sfondo, il Direttorio che voleva eliminare lo Stato Pontificio.
        Nel dicembre del 1797 Napoleone incaricò il generale dell'ambasciata francese a Roma Mathurin-Léonard Duphot di creare una sollevazione popolare contro il governo della Chiesa. Mentre Duphot arringava la popolazione una pallottola di un soldato del Papa lo uccise (28 dicembre 1797). Era ilo pretesto cercato per l'invasione dello Stato Pontificio. Fu il generale Berthier che occupò la città senza incontrare resistenza. Il 15 febbraio 1798 Bethier, in nome del Direttorio, dichiarò decaduto il potere temporale di Pio VI e proclamò la Repubblica Romana sul modello di quella francese (e già che c'era depredò molte opere d'arte in Vaticano e nella città, subito spedite in Francia). Pio VI venne arrestato ed il 20 febbraio iniziò la sua deportazione in Francia (attraverso Siena, Firenze, Parma, ancora Siena, Torino, Briançon, Grenoble, Valence). A Valence era arrivato in lettiga ed in questa città morì il 28 marzo 1799.
        Intanto il 20 marzo, dopo una sommossa contro i francesi del 25 febbraio duramente repressa, fu promulgata la Costituzione della Repubblica che prevedeva l'elezione di un Tribunato e di un Senato (potere legislativo) che avrebbero eletto 5 Consoli (potere esecutivo). La cosa non destò entusiasmi per il rancore dei saccheggi e per le nuove tasse imposte dai francesi. Dopo diverse vicende che videro Ferdinando IV, Re di Napoli, invadere Roma per restaurare il papato e la sua immediata cacciata da parte francese, finalmente vi fu una nuova occupazione napoletana che pose fine alla Repubblica Romana il 30 settembre 1799.
        Ma a marzo era morto il Papa ed occorreva sostituirlo pur in questo clima rivoluzionario e molto incerto (sicuramente pericoloso per le gerarchie ecclesiastiche) che si viveva a Roma. I cardinali erano tutti fuggiti a Venezia dove godevano della protezione di Giuseppe II d'Asburgo il quale era felicissimo di poter dominare a suo piacimento il conclave che si apprestava ad eleggere il nuovo Papa. Giuseppe indicò il cardinale Mattei ma il conclave, con la mediazione del segretario del conclave Consalvi e del cardinale spagnolo Despuig, scelse di eleggere il cardinale Barnaba Chiaramonti che assunse il nome di Papa Pio VII (1800-1823). La cosa fece arrabbiare Giuseppe II che vietò l'incoronazione in San Marco per farla fare in una chiesa di minor prestigio. Successivamente prevalse la politica e Giuseppe invitò Pio VII a stabilirsi a Vienna. Pio VII rifiutò anch'egli per ragioni politiche. Napoleone aveva già realizzato il suo colpo di Stato del 18 brumaio 1799 (18 novembre 1799 del calendario gregoriano) e da lui che tornava vittorioso dalla campagna d'Egitto, dipendevano le sorti dello Stato Pontificio e sue proprie. Non era opportuno irritarlo.
        Pio VII tornò a Roma nel luglio del 1800, nella città che era stata liberata dai francesi da parte del Re di Napoli, Ferdinando IV. Per tutti gli affari sia spirituali che temporali si affidò all'aiuto di Consalvi, che fece cardinale. Le speranze di avere un qualche successo erano comunque molto scarse perché di fronte si aveva Napoleone e non un qualunque dittatorello passeggero. Si raggiunse comunque un Concordato il 15 luglio 1801, promulgato a Parigi il 18 aprile 1802(4) con l'0aggiunta unilaterale francese di 77 articoli. Che la Chiesa cercasse l'accordo era comprensibile meno che lo cercasse Napoleone, ormai Primo Console. Quest'ultimo fu mosso da alcune considerazioni che nascevano dalla sua esperienza: la Francia rurale era troppo attaccata alla religione cattolica; in Italia aveva capito che religione e Chiesa erano un ottimo strumento per governare e per condizionare la vita politica dei sudditi; era in una condizione di forza avendo recentemente vinto a Marengo.
        Il Concordato vide Consalvi come rappresentante pontificio ed egli riuscì a strappare molto ben sapendo che i desiderata delle Chiesa non sarebbero stati tutti accettati. In definitiva gli articoli principali di questo Concordato erano:
la religione cattolica è riconosciuta come la religione della maggioranza dei francesi ma non si afferma che sia la religione di Stato;
da parte sua la S. Sede riconosce la Repubblica come forma legittima di governo;
si garantisce il libero esercizio della religione e del culto cattolico (art. 1);
il Papa può destituire tutti i vescovi francesi (art. 3);
la Chiesa, di concerto con il Governo, può ristrutturare le circoscrizioni ecclesiastiche (art. 2): le sedi vescovili francesi si ridurranno a 60 (coincideranno con i dipartimenti, istituiti da Napoleone), e le parrocchie a 3000 (prima erano più di trentamila);
spetta al Primo Console nominare i vescovi; segue l’istituzione canonica del Papa (art. 4);
i vescovi prestano giuramento di fedeltà alla Repubblica e alla sua Costituzione (art. 6);
i parroci sono nominati direttamente dai vescovi (art. 10);
i beni ecclesiastici venduti rimangono nelle mani dei nuovi proprietari (art. 13);
lo Stato provvede al sostentamento economico del clero (art. 14).
        Le condizioni per la Chiesa erano pesanti, anche se si miglioravano i rapporti della Santa Sede con la Francia, e Consalvi spiegò a Pio VII ed a coloro che erano indignati che sarebbe stato inutile insistere per ottenere di più. Il problema della firma era anche di Napoleone che aveva timore di strumentalizzazioni dell'opposizione. Decise allora di promulgare il Concordato come Decreto con l'aggiunta dei 77 articoli cui accennavo che, in definitiva, erano l'affermazione della peculiarità della Chiesa Francese, Chiesa per questo chiamata Gallicana (all'elaborazione di questi nuovi articoli collaborò, tentando di salvare il salvabile, il cardinale Giovanni Battista Caprara). Le principali norme contenute negli articoli aggiunti al Concordato sono:
ogni decisione del governo della Chiesa doveva sottostare al benestare del Governo francese;
si dovevano insegnare i quattro articoli gallicani del 1681 e 1682(5) nei seminari;
era ristabilito il ricorso alle autorità civili contro le decisioni di un tribunale ecclesiastico;
l’ordinazione dei sacerdoti era sottoposta a controlli da parte del governo francese;
era permesso un solo catechismo per tutta la Francia;
si affermava la precedenza obbligatoria del matrimonio civile su quello religioso.
        Quando Pio VII lesse il Decreto del 18 aprile 1802 protestò vivacemente ma senza che si ottenesse alcuna modifica. Poi stette zitto perché capì che andando oltre rischiava tutto.
        Napoleone elaborò un uguale Concordato per la Repubblica Italiana nata per sua iniziativa dalla Repubblica Cisalpina e della quale fu Presidente dal 1802 al 1805 (per poi passare ad essere Re d'Italia dal 1805 al 1814, dopo essersi nominato Imperatore dei francesi nel 1804). Questo Concordato, che divenne legge nel 1803, era più blando di quello francese perché: ammetteva la cattolica come religione di Stato, prevedeva la restituzione dei beni ecclesiastici non alienati e la possibilità di ricevere dotazioni a capitoli e seminari, riconosceva al clero la giurisdizione sul matrimonio. Anche con questi cedimenti si può dire che il giuseppinismo stava diventando il riferimento per i governi europei.
        Ormai Napoleone si credeva onnipotente e pretese che Pio VII lo andasse ad incoronare Imperatore a Parigi. Il Papa si arrabbiò a tal punto che si ammalò. Quel Napoleone era un figlio di una Rivoluzione anticlericale che aveva ghigliottinato il Re cattolico Luigi XVI, a che titolo chiedeva al Papa di essere incoronato se, oltretutto, già vi era già Giuseppe II come Imperatore del Sacro Romano Impero ? Nonostante tutto ciò Pio VII si recò a Parigi per procedere all'incoronazione con la speranza di ottenere un qualche ammorbidimento negli articoli aggiunti nel Decreto del 1802.
        Il 2 dicembre 1804 Napoleone, in una farsa che ha fatto storia, s'incoronò da solo alla presenza del Papa che benedì la cerimonia. In compenso Pio VII fu ospitato (o meglio: regalmente recluso) in un palazzetto alle Tuileries per tutto l'inverno. Alle continue richieste di partire venivano continui rifiuti tanto che il Papa temette di fare la fine di Pio VI. Poi nell'aprile 1805 poté tornare a Roma dove ricevette fastosi regali da Napoleone.
        Napoleone comunque non aveva norme o trattati che lo fermassero e così, dopo aver conquistato Vienna nel maggio 1809, decretò che il potere temporale della Chiesa era finito e lo Stato Pontificio diventava parte dell'Impero francese (anche qui Napoleone si era appigliato ad un piccolo episodio, l'ingresso di alcune navi inglesi nel porto di Civitavecchia). Il Papa aveva il permesso di risiedere a Roma solo come capo spirituale della Chiesa. Avrebbe avuto uno stipendio annuo e l'immunità delle sedi apostoliche. Roma fu occupata dal generale Miollis e Pio VII scomunicò Napoleone il quale reagì ordinando l'arresto del Papa. Fu il generale Radet che eseguì l'ordine nella notte tra il 5 ed il 6 luglio (per evitare disordini che anche Pio VII non voleva). Su una carrozza Pio VII e il cardinale Pacca furono trasportati fino a Grenoble da dove furono separati, con il Papa trasportato a Savona e poi trasferito a Fontainebleau. Lo scopo di Napoleone era che il Papa trasferisse la sede a Parigi ma Pio VII non ci pensava neppure. Napoleone era infuriato e convocò un Concilio nazionale per decidere in proposito ma tutti i partecipanti gli dissero che in nessun caso avrebbero potuto decidere una cosa del genere. Ma questo problema passò in secondo piano perché le vicende dell'invasione della Russia premevano. Ritornato dal disastro russo, Napoleone andò a trovare il Papa (19 gennaio 1813) che nulla sapeva di quanto accaduto. Napoleone lo abbracciò e baciò chiedendo perdono, tanto che Pio VII firmò un nuovo concordato che riabilitava Napoleone agli occhi del mondo. Ma lo stesso Pio VII, due mesi dopo, scrisse una lettera a Napoleone rinnegando quel Concordato. Ma Napoleone aveva anche ora altro a cui pensare perché molte potenze europee gli erano addosso. Pio VII fu liberato nel gennaio del 1814, il 4 maggio Napoleone fu inviato all'Isola d'Elba ed il 24 maggio il Papa tornava a Roma. Vi furono ancora altri avvenimenti (i cento giorni) che costrinsero Pio VII a scappare a Genova ma ormai Napoleone era finito e Pio VII poté tornare definitivamente a Roma (7 giugno 1815) riprendendo possesso di tutti i territori della Chiesa in Italia.
        Si inaugurava la stagione della Restaurazione alla quale la Chiesa partecipò con entusiasmo a cominciare dal ripristino fatto dal papa dell'Ordine dei Gesuiti (con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum del 30 luglio 1814) e dall'assolutismo che impose in politica (cancellando praticamente tutto ciò che era stato costruito in epoca rivoluzionaria e napoleonica e divenendo nemico di ogni movimento innovativo che, peggio, avesse in sé qualche minima impronta culturale). Durante la Restaurazione iniziava ad operare in Italia la Carboneria contro la quale Pio VII scrisse una Bolla di condanna il 21 settembre 1821.
        Niente di più su questo Papa il cui pontificato si svolse tutto all'ombra di Napoleone. E poco da dire sui successivi due che emersero per il loro fervore antipatriottico con esecuzioni di carbonari che sostituirono quelle per eresia.
        Già il conclave dopo la morte di Pio VII si era aperto con uno spirito non tanto di rivalsa quanto di becera vendetta condita da odio per ogni istanza riformatrice. Fu eletto un conservatore indipendente che faceva parte degli zelanti, il cardinale Annibale della Genga che assunse il nome di Papa  Leone XII (1823-1829). Ilo nuovo Papa ambiva essere amato dal popolo e fin dalla sua intronizzazione fece continue operazioni populiste: fece amnistie, si dedicò a fare concessioni, distribuì un paolo (moneta corrispondente a 10 baiocchi cioè ad un decimo di scudo) a tutti i poveri che si presentarono nel cortile del Belvedere, sorteggiò cento doti di 30 scudi per ogni zitella da marito, distribuì buoni per il pane e la carne a coloro che non avevano occupazione, svincolò tutte le cose depositate al Banco dei Pegni. Dopo questa sinfonia di elemosine che non intaccavano i fasti dei ricchi e dei gerarchi, passò alle sue manie. Proibì la vendita di vino dentro le taverne perché lì si bestemmiava e impose di chiudere le medesime con dei cancelli di modo che la distribuzione del vino avvenisse attraverso le inferriate.
        Più in generale attuò una politica rigidamente reazionaria operando senza distinzioni tra delinquenti e carbonari(6). In Romagna Leone XIIdette incarico al cardinale Agostino Rivarola di porre fine alla delinquenza carbonara. Si eseguirono arresti in massa con condanne esemplari (molto spesso a morte poi commutate nella galera a vita). Mentre si facevano processi e si eseguivano condanne, Leone ebbe il tempo per il Giubileo del 1825 che fu comunque sotto controllo poliziesco per il terrore che dei carbonari potessero infiltrarsi tra i pellegrini e provocare incidenti. Negli anni giubilari i pontefici amano far vedere che sono i vicari di Gesù in terra e quindi sono solleciti ad ammazzare i malcapitati. Fu il caso dei due patrioti Targhini e Montanari.
        A questo Papa ne seguì uno scialbo. In un conclave che andò come erano sempre andati, fu eletto il cardinale Francesco Saverio Castiglioni che assunse il nome di Papa Pio VIII (1829-1830). Era persona con limiti evidenti di cui era conscio tanto che affidò tutti gli affari politici al cardinale Giuseppe Albani. Morì presto non lasciando traccia.
        Il conclave successivo si svolse in un clima di grande tensione in città per un tentativo di insurrezione messo su da Carlo Luigi Napoleone, il futuro Napoleone III, che, approfittando della sede vacante, voleva rifondare un Regno d'Italia. Il tentativo maldestro fu scoperto e Carlo Luigi Napoleone fu cacciato dalla città. Nel conclave però si era coscienti della necessità di avere subito un Papa di polso per porre freno al dilagare delle forze rivoluzionarie e patriottiche in Italia che avevano lo Stato Pontificio, insieme all'Austria, tra i bersagli preferito. L'Austria, tramite il cardinale Albani, tentò di manovrare il conclave per avere una persona rigida contro i rivoluzionari che attaccavano continuamente il potere e le guarnigioni austriache in Italia. Fu invece eletto il cardinale Mauro Cappellari che, invece, aveva fama di essere un simpatizzante liberale. Assunse il nome di Papa Gregorio XVI (1831-1846) e dovette subito vedersela con i moti rivoluzionari del 1831. Dal 4 al 9 febbraio vi fu lo scoppio di vari moti rivoluzionari in Romagna, in Umbria e nelle Marche. I simboli pontifici venivano abbattuti e si sostituivano con il tricolore. I bonapartisti erano tra i promotori dei moti. Luigi Napoleone approfittò per scrivere al Papa chiedendogli le dimissioni. Intanto si tentò un moto a Roma in occasione del Carnevale che fu subito represso anche perché trovò estranea la popolazione.
        Anche l'Austria era preoccupata e non credeva nella volontà di Gregorio di fermare i rivoluzionari. Avanzò quindi verso Sud occupando territori della Romagna governati da rivoluzionari pacifici al fine di tenere meglio sotto controllo la situazione. Con l'Austria vi fu un diluvio di condanne a morte e a vita poi commutate nell'esilio. Gregorio era Papa da un mese e, come nella tradizione di inizio papato, non poteva infierire e quindi fu magnanimo. Il fatto è che la magnanimità non risolveva i problemi ormai incancreniti che chiedevano soluzioni realizzabili solo con riforme strutturali. Della cosa erano coscienti vari governanti europei (Russia, Austria, Francia, Inghilterra, Prussia) che scrissero al Papa un Memorandum in cui consigliavano riforme e concessioni (21 maggio 1831). Gregorio alzò le spalle con sufficienza perché era convinto che i rivoluzionari erano solo pochi esaltati. Sappiamo che ciò era vero e che le idee rivoluzionarie erano solo di pochi illuminati ma sappiamo anche che alla lunga, in un Paese che iniziava con la Rivoluzione Industriale, si sarebbe rischiata la paralisi dell'economia, a partire dall'agricoltura fino ad arrivare all'industria attraverso il commercio. Non a caso il deficit dello Stato Pontificio crebbe proprio a partire dal 1831 ed il governo di quello Stato fece ricorso, e come no ?, ad un aumento delle tasse, dei dazi e del debito pubblico con prestiti dalla Banca Rothschild di Parigi. Come è comprensibile questi erano pannicelli caldi per una situazione sempre più esplosiva. Ad una ripresa dei moti nel 1832 il Papa, smentendo la sua fama di liberale, richiese direttamente l'intervento dell'esercito austriaco che ammazzò a volontà reprimendo con estrema durezza ogni manifestazione ed ogni dissenso. A questo punto la Francia si rese conto che l'Austria stava conquistando il predominio sullo Stato Pontifico ed allora intervenne di sua iniziativa con il suo esercitò che fece stazionare ad Ancona fino al 1838. Il Papa protestò ma furono parole al vento. Tra l'altro ancora un esercito straniero in Italia incitava altri cittadini alla rivolta. Ma il Papa non volle essere da meno nella condanna dei rivoluzionari. Nell'agosto 1832 scrisse un'enciclica, Mirari vos, in cui condannava tutto il condannabile: veniva condannata la tesi secondo cui la Chiesa necessitava un rinnovamento; veniva riaffermata l'indissolubilità del matrimonio e quella del celibato ecclesiastico; veniva condannato l'indifferentismo religioso secondo il quale a Dio sarebbe indifferente il credo in qualunque religione; uguale condanna era estesa alla libertà di coscienza; condanna anche della libertà di pensiero e di stampa; si riaffermava il dovere di sottomettersi ai sovrani legittimi; si condannava la separazione tra Stato e Chiesa; veniva fatta la richiesta ai governi di aiuti alla Chiesa. La gran parte delle proibizioni era diretta contro i frutti di una scienza spudorata. Insomma un potere assoluto in un'epoca in cui si richiedeva almeno una monarchia costituzionale. Ma la presunzione dei Papi è senza limiti. Solo su questo si sentono rappresentanti di Dio in terra.
        Altri moti si ebbero nel 1836, tutti repressi nel sangue dall'esercito austriaco. Ma il movimento rivoluzionario cresceva ed anche a Roma iniziavano a crearsi nuclei di militanti della Giovine Italia (tra i quali ci erano anche dei frati agostiniani). Ed insieme al movimento e la repressione, che vide la sostituzione da parte della Chiesa del cardinale Bernetti con il cardinale Lambruschini, ci si mise anche il colera. Tutto questo disastro che andava aumentando non impedì all'ignobile Gregorio di arricchire sé ed i suoi parenti con un felice ritorno del nepotismo sfrenato che non poteva non coesistere con una amante (la moglie Clementina Verdesi di Gaetanino Moroni, il cameriere del Papa, come raccontava in una lettera privata Stendhal e che Belli aveva battezzato la puttana santissima) e con la vocazione di fare sempre il suo porco comodo (Rendina). E Gegorio dette un grande contributo al discredito dello Stato Pontificio come fecero ben rilevare, a partire dal 1845, i moderati Massimo d'Azeglio (in Degli ultimi casi di Romagna) e Carlo Farini (in Manifesto di Rimini). Insomma, occorrevano subito delle riforme che non era proprio cosa di chi amava fare il suo porco comodo. e soprattuto si rendeva evidente che la gestione dello Stato moderno non è cosa da sacerdoti (Aurelio Saffi).
        Seguirono nuovi moti, nuove rivolte e nuove repressioni con i corollari di esecuzioni e morti. Neanche i cattolici moderati (Lamennais, de Maistre, Gioberti) erano presi in considerazione da questo ottuso che andava morendo in un Paese in cui i moti rivoluzionari si estendevano a macchia d'olio.ù
        Lo storico Giordani disse che Gregorio morì abbandonato da tutti nel letto pieno di merda ma in santità, come chiosò Castiglioni. Ed ancora doveva venire il metro cubo di letame come lo descrisse Garibaldi nelle sue Memorie ed il Papa Porco come lo chiamarono i romani, Pio IX.

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