Niente cattedra nelle scuole cattoliche per i divorziati risposati. E chi nella sua vita privata non ha una posizione canonicamente regolare non può aspirare a diventare preside di un istituto gestito da congregazioni religiose. A disporre il «giro di vite» sui docenti di religione e i direttori delle scuole cattoliche è il primate del Belgio, André-Joseph Léonard. Il capo di una delle Chiese nazionali più «liberal», dunque, inverte la consueta linea progressista dell’episcopato belga e codifica quanto di fatto accade nel resto d’Europa, dove difficilmente le persone divorziate accedono all’insegnamento della religione nelle scuole cattoliche e tanto meno alla presidenza degli istituti religiosi. Del resto è per questo che Benedetto XVI ha portato Léonard alla guida della chiesa del Belgio. Per traghettare su strade più vicine alla tradizione di sempre una delle chiese che maggiormente ha interpretato il vento di novità seguito al Concilio Vaticano II interpretato in chiave liberal. Nel paese che varò un suo catechismo in antagonismo alla dottrina romana, Léonard nella mente del Papa deve cercare di condurre i fedeli su approdi sicuri e conosciuti.
Il problema dei divorziati risposati, in questo senso, è un banco di prova importante. È una questione controversa che interpella da tempo gli episcopati locali. Nel 1993 tre vescovi tedeschi (Lehmann, Kasper e Saier) si dissero favorevoli alla possibilità di ammetterli all’Eucaristia se essi, dopo un incontro con un prete, avessero ritenuto in coscienza di esservi autorizzati. Il Vaticano criticò però questa posizione. Quella del divorzio è anche una questione di rilevanza ecumenica, nel senso che divide la Chiesa cattolica dalle Chiese ortodosse e protestanti. La tradizione orientale, rifacendosi al principio della «oikonomia» (la prevalenza della misericordia sulla rigida applicazione della legge), ammette la possibilità di una benedizione di seconde e terze nozze. Le Chiese della Riforma, dal canto loro, sostengono in linea di principio l’indissolubilità del matrimonio, ma rispettano la coscienza dei fedeli, consentendo ai divorziati di risposarsi in chiesa e di accostarsi all’Eucaristia.
In tutto il mondo i divorziati risposati non possono fare i catechisti in parrocchia o gli insegnanti di religione nelle scuole cattoliche. In occasione dell’annuale Giorno del docente, monsignor Carmine Brienza, direttore dell’Ufficio Scuola Cattolica del Vicariato di Roma, ha tracciato i contorni della figura del docente della scuola cattolica all’Highlands Institute, diretto dalle consacrate del movimento Regnum Christi. «Qual è il ruolo del docente della scuola cattolica? E chi può essere docente nella scuola cattolica? Esiste un modo cattolico d’insegnare? Qual è il limite della proposta cattolica?- si interroga monsignor Brienza-. Non un santo, non necessariamente un “arrivato” nella fede, ma una persona in cammino, nella fede, capace di interrogarsi sul contributo che può dare alla scuola, alla scuola cattolica, al progetto della scuola in cui si trova a lavorare, con la propria professionalità e cercando di conciliare il proprio stile di vita con quello che tale piano educativo propone». Il docente della scuola cattolica è un professionista dell’educazione: deve avere le “carte in regola”, competenze provate con i documenti e dimostrate nei fatti. «È un professionista dell’educazione cristiana- spiega monsignor Brienza-.È uno che accetta la visione antropologica che emerge dal cristianesimo, e in quest’ottica guarda il bambino e guida il suo sviluppo. Il docente di una scuola cattolica è una persona impegnata in un cammino di fede, di crescita cristiana. Perché nessuno può dare ciò che non ha».
La scuola, la parrocchia, la famiglia sono esempi, modelli di comunità che ci permettono di vivere all’interno della Chiesa. Quindi, «la Chiesa è Madre, non respinge nessuno, anzi accoglie tutti i suoi figli ma chiede a ciascuno d’interrogarsi, di mettersi in cammino, di cercare di accogliere il dono della fede calandolo, ciascuno, nella concretezza della propria vita, segnata a volte dal lutto, dalla malattia, dalla sofferenza, dalle conseguenze di errori commessi». La Chiesa nel rispetto della libertà di ciascuno, non può fare a meno di proporre «la sequela di Cristo, come cammino di felicità, come strada di salvezza, per vie diverse e a volte traverse, come le parrocchie, i movimenti, i gruppi e le scuole cattoliche, comunità in cui crescere umanamente, seguendo l’uomo-Dio Gesù Cristo».
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