venerdì 14 ottobre 2011

HONDURAS,MONSIGNOR SANTOS VILLEDA SI CANDIDA ALLE ELEZIONI POLITICHE.VATICANO PREOCCUPATO.

Atteso un pronunciamento del Vaticano allarmato dalla decisione di monsignor Luis Santos Villeda che ha accettato la candidatura del Partito liberal progressista.
Due anni fa la conferenza episcopale si dichiarò "super partes". Ora invece in Honduras il «vescovo rosso» Luis Santos Villeda si candida alle elezioni perché «la politica trascura i poveri» e in Vaticano scatta l' allarme. Il capo della diocesi di Santa Rosa de Copan, ha infatti annunciato ufficialmente la sua discesa in campo per la presidenza della nazione centro-americana. Il presule ha chiesto l’ autorizzazione a Benedetto XVI ed è in attesa di una risposta formale da Roma.
A novembre il vescovo raggiungerà i 75 anni di età ed è intenzionato a presentare subito le proprie dimissioni alla Santa Sede come richiesto dal codice di diritto canonico.
Alla lettera, spiega monsignor Luis Santos Villeda, unirà la richiesta di «immediata accettazione» in modo da non avere più la responsabilità di vescovo quando sarà designato come candidato dall’ala progressista del Partito Liberale, il cui ultimo presidente, Manuel Zelaya, è stato deposto nel 2009. «La candidatura politica di un esponente della gerarchia ecclesiastica costituisce un rischio e un errore, come dimostrano le vicende in Nicaragua e altri casi precedenti in America Latina - commenta il cardinale Achille Silvestrini, ex ministro degli Esteri della Santa Sede e diplomatico pontificio di lungo corsohttp://corso-.il/. Il Concilio Vaticano II ha opportunamente stabilito la separazione tra sfera temporale e spirituale. Schierarsi toglie libertà alla Chiesa e la priva del necessario carattere “super partes” che le consente di rivolgersi a ogni settore della società senza caratterizzazioni e scelte di campo pregiudiziali».

La posizione giusta rispetto a quella «rischiosa» di monsignor Luis Santos Villeda è stata assunta fin dal 2009 dal cardinale salesiano Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga:«Nella crisi istituzionale che vive l’Honduras, la Chiesa non sta dalla parte di nessuno». Quindi l’arcivescovo di Tegucigalpa ha tradotto in pratica l’appello lanciato due anni fa da Benedetto XVI al dialogo e alla riconciliazione come mezzo per superare il conflitto, che ha portato all'espulsione dal Paese del presidente Manuel Zelaya. «Tra i seguaci del regime precedente ci sono anche molti cattolici che agiscono con buona coscienza, perché non hanno tutte le informazioni- sostiene il porporato-.La Chiesa non può schierarsi da nessuna parte. La Chiesa cerca la riconciliazione, la pace, e cerca soprattutto l’intesa attraverso il dialogo». In linea con quanto raccomandato dalla Santa Sede, il cardinale invita a seguire il Vangelo che «ci dice chiaramente che chi esercita la violenza perirà nella violenza e che un regno diviso non può andare avanti: dobbiamo cercare l’unità in ciò che è essenziale». Putualizza l’ex presidente dei vescovi sudamericani, Maradiaga, molto stimato in Segreteria di Stato vaticana per la sua prudenza e lungimiranza. «I partiti politici possono essere legittimi, possono avere un diverso modo di pensare, però questo non giustifica affatto la violazione della legge», sottolinea il cardinale.

Ad ogni modo, lamenta, «volendo tornare indietro scopriremmo che nessuna legge è stata rispettata anche perché per primo l’ha violata la massima autorità: credo che sia molto importante che si torni a Dio, che si esamini il nostro cuore, per svuotarlo dall’odio e dalla violenza, e che come fratelli honduregni cerchiamo delle vie migliori per il futuro di questo Paese, servono le preghiere di tutti gli amici degli honduregni, perché nel momento in cui le cose sembrano impossibili, Dio le rende possibili».
Di certo c’è un fatto. Nel continente dove è nata e si è diffusa la teologia della liberazione come tentativo do esponenti della chiesa cattolica di dare una risposta alla povertà dilagante di diversi ceti della popolazione, ci son ancora vescovi e preti che intendono abbracciare l’impegno politico, incuranti dei rischi che ciò comporta: il Vaticano oggi è sempre pronto a bacchettare posizioni troppo smaccatamente politicizzate.

Nel luglio 2009 la Conferenza Episcopale dell'Honduras ha scelto la via del dialogo come soluzione per superare la grave crisi politica in cui è precipitato il Paese. In un messaggio letto in televisione, il 4 luglio 2009, il presidente della conferenza episcopale del Paese Maradiaga ha condannato sia l’attentato contro la Costituzione del presidente deposto, Manuel Zelaya, sia la sua espulsione dal Paese. La nota dei presuli è stato redatta dopo una consultazione con le istanze competenti dello Stato (la Corte Suprema di Giustizia, il Congresso Nazionale, il Ministero Pubblico, il Potere Esecutivo, il Tribunale Supremo Elettorale) e molte organizzazioni della società civile.

«Tutti i documenti di cui siamo entrati in possesso dimostrano che le istituzioni dello Stato democratico honduregno sono in vigore e che le loro azioni in materia giuridico-legale sono in conformità con il diritto”, afferma il documento. «I tre poteri dello Stato, esecutivo, legislativo e giudiziario, agiscono in senso legale e democratico in accordo con la Costituzione della Repubblica dell'Honduras», continua la dichiarazione letta dal cardinale Rodríguez Maradiaga. Il comunicato spiegava poi come la posizione di Zelaya sia stata compromessa irrimediabilmente dalla sua intenzione di imporre al Congresso un referendum popolare sulla creazione di un’assemblea costituente con il compito di redigere modifiche alla Costituzione e di permettergli la possibilità di ripresentarsi e di essere rieletto. «In conformità con quanto stabilito nell'articolo 239 della Costituzione della Repubblica “Colui che propone la riforma” di questo articolo “cessa immediatamente di ricoprire la sua carica e per dieci anni non può esercitare alcuna funzione pubblica», puntualizza il documento.

Pertanto, Zelaya, «quando è stato catturato, già non era più Presidente della Repubblica”. I vescovi chiedevano, inoltre, spiegazioni sulle dinamiche che hanno portato all'espulsione di Zelaya da parte di un commando dell'esercito, poiché secondo l'articolo 102 della Costituzione della Repubblica, «nessun honduregno potrà essere espatriato né consegnato a uno Stato straniero». Due anni fa i Vescovi si dicevano quindi intenzionati «ad ascoltare le opinioni altrui, in modo da poter intavolare un vero dialogo tra tutti i settori della società, affinché si possa giungere a soluzioni costruttive: è fondamentale rispettare il calendario del Tribunale Supremo Elettorale che garantisce le elezioni per il prossimo mese di novembre».

Nel suo intervento televisivo, il cardinale incitò il suo “amico” Zelaya a non far ritorno nel Paese per evitare un bagno di sangue. «So che lei ama la vita», aveva detto il porporato, «so che lei rispetta la vita», e «il suo ritorno nel Paese in questo momento potrebbe sfociare in un bagno di sangue. Per favore, ci pensi. Perché dopo sarà troppo tardi». La posizione indipendente e in favore della Costituzione dell'episcopato ha spinto alcune isituzioni internazionali a chiedere al cardinale Rodríguez Madariaga di continuare nella sua opera di mediazione tra le diverse istanze del Paese affinché l'annunciato rientro di Zelaya non porti a degli scontri.

Dopo il golpe del giugno 2009 il presidente deposto, Manuel Zelaya, ha cercato più volte di tornare in aereo nel Paese, ma senza riuscirvi. I militari, su ordine del presidente ad interim Roberto Micheletti, hanno infatti impedito l'atterraggio del suo aereo all'aeroporto della capitale Tegucigalpa, dove alcuni manifestanti sono rimasti uccisi e almeno un centinaio feriti nei violenti scontri fra sostenitori dell’ex Presidente e forze di sicurezza. I vescovi si professarono “super parte» senza immaginare che proprio uno di loro due anni dopo avrebbe cercato di sostituire Zelaya. Proprio oggi Benedetto XVI ha «preso nota» del «rasserenamento delle relazioni internazionali dell’Honduras», cioè della situazione che gli è stata presentata nell’udienza odierna concessa al presidente honduregno Porfirio Lobo Sosa.

Una nota vaticana dà conto dunque dell’interesse con il quale il Pontefice segue la situazione seguita al golpe di Tegucigalpa ma non si sbilancia in incoraggiamenti. Lobo Sosa, che successivamente ha incontrato anche il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, e l’arcivescovo Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati, ha lodato da parte sua «il grande contributo che la Chiesa offre allo sviluppo del Paese, specialmente in campo educativo e sanitario» ed ha rilevato «l’importanza di continuare a favorire nel Paese la riconciliazione e la comprensione reciproca, la solidarietà e la pace, nella tenace ricerca del bene comune». Nel capitolo della conversazione sulle relazioni internazionali dell’Honduras, conclude infine la nota,«si sono trattati anche altri temi riguardanti la situazione mondiale».


http://vaticaninsider.lastampa.it/homepage/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/honduras-vaticano-vatican-vescovi-bishops-obispos-elezioni-election-elecciones-8969/
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