Il Patriarca di Venezia è gerarchicamente più importante dell’ arcivescovo di Milano. Da Venezia nello scorso secolo sono venuti tre Papi (da Milano due). Perché allora la “retrocessione” di Scola? Perché Benedetto XVI lo vuole assolutamente come suo successore sul soglio di Pietro.
di Paolo Flores d’Arcais, da Il Fatto Quotidiano.
La nomina del cardinale Angelo Scola come arcivescovo di Milano è incredibilmente irrituale ed esige dunque una spiegazione ragionevole. La carica di Patriarca di Venezia è una delle più prestigiose nell’ambito della Chiesa. Il passaggio a Milano costituisce anzi dal punto di vista protocollare una retrocessione, perché “Patriarca di Venezia” è titolo superiore a cardinale e arcivescovo. [...]
Insomma, non si “trasloca” da quella sede venerabile verso una’altra diocesi, per importante e grande che sia, a meno che non si tratti di Roma, per diventare Sommo Pontefice, cosa che nel XX secolo è avvenuto ben tre volte (Pio X, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I).
Non regge allora la spiegazione (ventilata ad esempio dal teologo Vito Mancuso) che Ratzinger volesse chiudere radicalmente e platealmente con l’ultimo ridotto del cattolicesimo democratico, la Milano di Martini e Tettamanzi, delle Acli e di don Colmegna, attraverso un gesto “brutale” di discontinuità. O meglio, l’ipotesi di Mancuso è del tutto plausibile, direi certa, ma per realizzarla il cardinale Scola non era l’unica personalità rilevante di cui Ratzinger disponesse. È vero che nella nomina di Scola vi è un elemento di “sfregio” verso il cattolicesimo ambrosiano che sarebbe mancato ad altri candidati (a Scola fu rifiutato il sacerdozio, al termine del seminario diocesano di Venegono, tanto che per farsi ordinare prete dovette trasferirsi a Teramo: ora torna da arcivescovo), ma è davvero improbabile che la volontà di Ratzinger di sottolineare come a Milano il vento debba cambiare avesse la necessità irrinunciabile di un ingrediente tanto “velenoso”.
Una scelta di sbandierata normalizzazione poteva perciò essere realizzata anche senza la novità inaudita dello spostamento di un porporato da Venezia a Milano. Se per Benedetto XVI Angelo Scola è risultato perciò “unico”, deve esserci una motivazione in più, una motivazione davvero eccezionale che giustifichi l’irritualità e l’insostituibilità della scelta. Una ragione di SUCCESSIONE. La nomina, altrimenti incomprensibile, di Ratzinger, ha il significato di una INVESTITURA: Benedetto XVI indica ai cardinali che come suo successore sulla cattedra di Pietro vuole Angelo Scola. Irritualità che spiega irritualità.
Del resto anche Karol Wojtyla aveva compiuto un gesto irrituale che indicava la sua propensione per Ratzinger quale successore, dedicando un libro “all’amico fidato”, e facendo risapere nei sacri palazzi l’assai insolito e iper-lusinghiero “titolo” (accompagnandolo poi con l’incarico – tutt’altro che irrituale, questo – di scrivere i testi per l’ultima solenne “via crucis”). Ogni Conclave, naturalmente, decide poi come preferisce, nella convinzione, anzi, che a scegliere sia lo Spirito Santo, “vento” di Dio che, come è noto, “soffia dove vuole”. Ma il senso profondo e perentorio di investitura e testamento, da parte di Benedetto XVI, della nomina di Scola sulla cattedra di Ambrogio, non è certo sfuggito a nessuno dei Porporati che compongono il sacro collegio. Perché, ripetiamolo, altra spiegazione non c’è, a meno di chiamare in causa categorie inammissibili per un Pontefice: capriccio e oltraggio.
Forse Ratzinger ha sentito il bisogno di rendere plateale l’investitura di Scola anche per l’handicap che attualmente – dopo secoli di situazione opposta – costituisce per ogni papabile l’essere italiano. Nel (quasi ex-) Patriarca di Venezia, Benedetto XVI vede la più sicura (e ai suoi occhi evidentemente ineguagliabile) garanzia di continuità con il proprio pontificato sotto almeno due profili: il rilievo crescente assicurato a movimenti “carismatici” come Comunione e Liberazione rispetto all’associazionismo tradizionale legato a diocesi e parrocchie, e il privilegio del dialogo con l’Oriente, nel duplice senso di cristianità ortodossa e di islam.
Se il primo tema è sottolineato da tutti gli osservatori, il secondo è talvolta trascurato benché perfino più influente. Il filo conduttore del papato di Ratzinger è infatti l’offerta agli altri monoteismi, e a quello di Maometto in modo speciale, di una Santa Alleanza contro la modernità atea e scettica. Questo era il senso dello sfortunato discorso di Ratisbona, che per una maldestra citazione accademica provocò invece risentimento e disordini. Dialogo con l’islam, ma nel segno del comune anatema contro il disincanto dell’illuminismo, del pensiero critico, della democrazia conseguente, in alternativa all’accoglienza verso “i diversi” del cattolicesimo democratico di stampo conciliare.
La fondazione e la rivista “Oasis”, volute a Venezia da Scola, sono da anni l’efficacissimo strumento di questa linea ideologico-pastorale dall’afflato “globale” ma dagli evidenti risvolti europei, vista la presenza dell’islam come seconda religione (in espansione demografica galoppante) in tutte le grandi metropoli del vecchio continente. Solo in un’ottica un “piccina” si può pensare che con l’investitura di Scola, seguace di don Giussani, Ratzinger paghi il debito di gratitudine verso CL, lobby trainante della sua elezione.
In realtà, Ratzinger vede in Scola il successore capace di proseguire con più coerenza e successo degli altri papabili la sfida oscurantista della rivincita di Dio sui lumi che caratterizza il suo pontificato: intransigenza dogmatica, “fronte integralista” con l’islam, presenza decisiva della fede cattolica nella legislazione civile, spregiudicatezza nel confronto pubblico con l’ateismo, accompagnati da un’affabilità pastorale superiore alla sua.
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