mercoledì 4 maggio 2011

"Woytila Segreto": le ragioni contro la beatificazione


La copertina del libro inchiesta«Santo subito»: una beatificazione a tempo record.E il 14 gennaio 2011. Il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, dirama la notizia. L’ invocazione della folla che il giorno  dei funerali in piazza San Pietro gridava ≪santo subito≫ e stata ascoltata: il primo maggio 2011 Giovanni Paolo II sara beatificato.
Sono passati appena sei anni dalla sua morte. Benedetto XVI, suo successore al soglio di Pietro, non ha perso tempo. Il 18 maggio 2005, un mese e mezzo dopo la scomparsa di Wojtyla, il vicario per la diocesi di Roma, cardinale Camillo Ruini, promulgava l’editto con cui invitava i fedeli a comunicare ≪tutte quelle notizie dalle quali si possano in qualche modo arguire elementi favorevoli o contrari alla fama di santità del servo di Dio≫.
Il 28 giugno seguente veniva avviata a Roma l’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità di papa Wojtyla. Nei mesi successivi venivano aperti altri due processi per la raccolta di documenti e testimonianze a Cracovia e a New York. La fase di verifica delle prove e dei documenti si e svolta in meno di due anni; il 13 maggio 2009 si e riunita per la prima volta a Roma presso la Congregazione per le cause dei santi la consulta degli otto periti teologi chiamati a esaminare tutte le testimonianze e gli atti del processo. Un tempo record.
Durante il processo di beatificazione sono state ascoltate 114 persone: 35 cardinali, 20 arcivescovi e vescovi, 11 sacerdoti, 5 religiosi, 3 suore, 36 laici cattolici, 3 non cattolici e un ebreo.
Il consenso e stato ampio ma non sono certo mancate le polemiche, sorte anche tra le mura della curia romana. Molte, infatti, sono state le voci critiche interne al Vaticano. In particolare colpiscono gli interventi di alcuni uomini chiave dello stesso pontificato di Wojtyla, nomi di spicco le cui dichiarazioni e posizioni assunte in merito alla beatificazione lasciano quanto meno il sospetto di una verità scomoda che ragioni di diplomatica opportunità suggeriscono di continuare a tenere nascosta.
Ricordiamo in primo luogo le esternazioni del cardinale Angelo Sodano, per più di dieci anni vicinissimo a papa Wojtyla come segretario di Stato, a tutti gli effetti ministro degli Esteri del Vaticano; e del cardinale Leonardo Sandri, sostituto per gli Affari generali alla Segreteria di Stato negli ultimi cinque anni del pontificato di Wojtyla. In particolare, Sodano non e mai stato interrogato dai giudici del tribunale canonico che hanno lavorato alla causa di beatificazione ma, nel giugno 2008, ha precisato in una lettera riservata, poi resa pubblica dalla stampa, che pur non nutrendo riserve sulla santità del pontefice, dubitava ≪dell’opportunità di dare la precedenza a tale causa, scavalcando quelle già in corso dei Servi di Dio Pio xII [conclusasi poi il 19 dicembre 2009, nda] e Paolo VI≫.
Dubbi sui tempi e sui modi di svolgimento del processo sono arrivati dal cardinale Godfried Danneels, ex arcivescovo di Malines-Bruxelles e primate del Belgio: ≪Questo processo sta procedendo troppo in fretta. La santità non ha bisogno di corsie preferenziali. E inaccettabile che si possa diventare santi o beati per acclamazione. […] Il processo si deve prendere tutto il tempo che serve senza fare eccezioni≫.
Il problema principale sembra essere l’eccezionale rapidità della causa. Cosi rapida da scavalcare perfino altre pratiche di elevazione che attendono da tempo, come la canonizzazione di Giovanni XXIII, il papa delle riforme e di quel Concilio Vaticano II cosi poco tenuto in considerazione dal pontefice polacco.

Appelli inascoltati
Fin dall’inizio i dubbi sollevati sulla beatificazione non hanno riguardato solo questioni procedurali. Il teologo e padre conciliare Giovanni Franzoni ha affrontato in modo sistematico i punti ritenuti ≪dubbi≫ del pontificato di Wojtyla, alcuni dei quali si sovrappongono alle obiezioni sollevate da altre figure eminenti, come quella dell’ex arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini. Quest’ultimo aveva evidenziato come l’eccessiva esposizione mediatica di Wojtyla, e in particolare i suoi numerosi viaggi internazionali, avessero ≪mortificato le Chiese locali≫. Franzoni e stato convocato a portare la sua testimonianza nella causa di beatificazione agli inizi del 2007 e ha rilasciato la sua deposizione giurata il 7 marzo dello stesso anno. Ma già nel 2005 il teologo era stato tra gli animatori di un ≪appello alla chiarezza≫ sulla ≪beatificazione subito≫ del pontefice polacco. [1]
I punti sollevati da Franzoni sono sette e riguardano altrettante tappe del lungo pontificato di Wojtyla. In primo luogo – osserva Franzoni – la dura repressione esercitata su teologi e religiosi attraverso gli interventi della Congregazione per la dottrina della fede diretta dal suo attuale successore, l’allora cardinale Joseph Ratzinger.
≪Il pontificato di Giovanni Paolo II – sottolinea il teologo – e costellato di decisioni sue, o di organi ufficiali della curia romana (in particolare della Congregazione per la dottrina della fede), che hanno in vario modo punito la liberta di ricerca teologica≫. I religiosi non ≪in linea≫ sono stati richiamati all’ordine o allontanati. I provvedimenti punitivi non hanno dato agli imputati il modo di difendersi adeguatamente. ≪Wojtyla non volle mai ricevere pubblicamente in udienza i “dissenzienti”≫ aggiunge Franzoni. ≪Quale che sia stato l’intimo convincimento della persona Wojtyla, e un fatto che le scelte del papa hanno mostrato alla Chiesa un comportamento che indicava come nemici”quanti e quante avessero opinioni teologiche diverse dalle sue.≫
Il caso di Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador, e sicuramente la punta dell’iceberg di una politica vaticana molto dura nei confronti di teologi e religiosi fortemente impegnati in cause sociali, specie in Sudamerica. Romero, che beato non lo e ancora diventato a causa del pollice verso di parecchi cardinali, continua a essere inviso alle alte gerarchie vaticane pure da morto.
E' sufficiente ricordare il caso del vescovo brasiliano Pedro Casaldaliga, redarguito dalla Santa sede nel 1983 per il solo fatto di avere esposto il ritratto del vescovo di San Salvador all’ingresso della sua chiesa a Sao Felix do Araguaia, in Brasile. La causa a carico di Casaldaliga fu intentata dalla Congregazione per la dottrina della fede, al vertice della quale sedeva all’epoca l’attuale successore di Wojtyla, cardinale Joseph Ratzinger. Tutto si tiene, in una forte continuita. Ma chi e Oscar Romero?
Il vescovo dei poveri
Il 24 marzo 1980 le minacce che da anni piombano addosso a monsignor Oscar Romero divengono realtà. L’arcivescovo e colpito da un cecchino proprio mentre celebra la messa, insieme al suo popolo e davanti a Dio. Muore solo, abbandonato dal Vaticano fra le mura stesse di quella chiesa che aveva eletto ad avamposto del cambiamento per il suo paese, El Salvador. Il monito lanciato appena un anno prima da papa Wojtyla, del resto, era stato perentorio: ≪Guai ai sacerdoti che fanno politica nella Chiesa!≫. Non c’era bisogno di fare nomi. Chi doveva capire aveva già capito.
Pur senza l’appoggio dell’istituzione che aveva scelto di innalzare a proprio vessillo, Romero era andato avanti. ≪Non obbedite agli ordini di chi vi chiede di uccidere quei fratelli colpevoli di pretendere il pane per le famiglie affamate.≫ Parlava cosi nelle sue omelie, voce ferma e frasi coraggiose. La battaglia quotidiana contro la giunta militare che stava affamando il suo popolo e facendo piazza pulita degli oppositori era l’unica strada da seguire. La strada che lo porterà alla morte. Alla fine degli anni Settanta in Salvador e in atto una vera carneficina. Migliaia di persone scomparse solo nei due anni che precedono il feroce omicidio dell’arcivescovo. Centinaia le vittime tra gli oppositori del regime. ≪Sto diventando pastore di un paese di cadaveri≫ soleva ripetere Romero. Ma il suo allarme resta inascoltato.
Il caso del vescovo Oscar Romero e certamente un momento buio nel lungo pontificato di Wojtyla. ≪Nel febbraio 1989 – ricorda il teologo Franzoni – ho incontrato a Managua una religiosa, suor Vigil, che lavorava presso il Centro ecumenico Valdivieso. Mi confermo di aver incontrato a Madrid monsignor Romero di ritorno da Roma (siamo nella primavera del 1979) e di averlo trovato “costernato” per la freddezza con cui il papa, durante l’udienza, aveva valutato l’ampia documentazione, da lui stesso fatta pervenire in Vaticano, circa la violazione dei diritti umani e della vita di quanti si erano opposti, anche fra i suoi diretti collaboratori, all’oppressione esercitata dal governo salvadoregno sulla popolazione. Oscar Romero avrebbe ricevuto dal papa una secca esortazione ad andar “più d’accordo” con il governo. A commento di quell’udienza, mi riferì ancora suor Vigil, Romero disse alla religiosa: “Non mi sono mai sentito cosi solo come a Roma”≫.
Recentemente in molti all’interno del Vaticano si sono spesi in una campagna pubblica per far passare come idilliaci i rapporti tra l’arcivescovo di San Salvador e Karol Wojtyla. Ma Franzoni non ci sta: la sua testimonianza al processo di beatificazione riporta che ≪tale descrizione non corrisponde alla realta, al contrario, essa sottende il forte desiderio di proporre, sulla vicenda, un Wojtyla “comprensivo” che non e esistito. Wojtyla non fece gesti pubblici e inequivocabili per mostrare di essere dalla parte di Romero, e di sostenerlo. Del resto, se avesse voluto dire al mondo, con un gesto riconoscibile anche dai più umili, di essere dalla parte di Romero Wojtyla lo avrebbe potuto creare cardinale nel suo primo concistoro (giugno 1979). Il che non fece≫.
Romero non e un’eccezione. In oltre venticinque anni di pontificato Giovanni Paolo II ha mostrato ostilità nei confronti di numerosi religiosi, preti, vescovi che, ispirandosi principalmente alla ≪Teologia della liberazione≫, vedevano nella fede cristiana una via d’uscita dall’oppressione. Una teologia rispetto alla quale all’inizio lo stesso Romero riteneva di non essere in sintonia, e della quale poi fini per incarnarne in modo esemplare lo spirito. Nessun vescovo dell’America Latina apertamente schierato con la Teologià della liberazione e stato eletto cardinale da Wojtyla. Non solo: il papa ha portato nella curia romana prelati latinoamericani accaniti avversari della Teologià della liberazione e, spesso, pure non troppo coperti amici di dittatori.
Torbide manovre finanziarieEppure di politica Giovanni Paolo II ne ha fatta. Ha contribuito a finanziare un sindacato polacco, Solidarność, nato nel settembre 1980 in seguito agli scioperi nei cantieri navali di Danzica e diretto da Lech Wałęsa. Solidarność si imporra negli anni come il movimento di matrice cattolica e anticomunista fortemente avverso al governo centrale polacco. La battaglia contro il regime comunista era perfettamente in sintonia con la tenace campagna di Wojtyla in difesa del cristianesimo. Una battaglia per la quale ogni mezzo e lecito, anche il più spregiudicato.
La vicenda Solidarność apre un’altra zona d’ombra del pontificato.Chi finanziava il movimento? Tra i principali sponsor c’era lo Ior, la banca vaticana diretta all’epoca da un vescovo americano spregiudicato: Paul Casimir Marcinkus. Incrociare Marcinkus e come avviare un film che racconta un pezzo importante di storia criminale d’Italia. Con tutti i suoi protagonisti. Sindona, Calvi, Licio Gelli e la P2, Umberto Ortolani, la mafia e Pippo Calo, Flavio Carboni, cardinali senza scrupoli, esponenti di spicco dell’Opus Dei e lotte di potere interne al Vaticano. Sul pontificato di Giovanni Paolo II incombe un’ombra nera. I giudici italiani che si occupavano del processo per il crac del Banco ambrosiano di Roberto Calvi, trovato morto a Londra sotto il ponte dei Frati neri il 18 giugno 1982, erano giunti alla conclusione che monsignor Marcinkus come presidente dello Ior aveva gravissime responsabilità nella vicenda. Per questa ragione dalla Città del Vaticano doveva essere estradato in Italia per essere interrogato.
La richiesta ufficiale fu inviata alla Città del Vaticano. Marcinkus, presentandosi davanti ai giudici, poteva dimostrare limpidamente la sua innocenza e l’infondatezza delle accuse addebitategli. Ma la linea difensiva della Santa sede fu un’altra. Non si interesso di accertare se le accuse a Marcinkus fossero fondate, ma respinse, semplicemente perche contrarie ai Patti lateranensi, le richieste della magistratura italiana, poiche queste avrebbero interferito in un ambito, e all’interno di uno Stato, in cui l’Italia non poteva entrare. Il Vaticano si fa scudo della sua extraterritorialita. La domanda che resta non e tanto quella relativa alle responsabilità giudiziarie. Piùttosto e un’altra: Giovanni Paolo II favori l’accertamento della verità sul caso Ior? Secondo Franzoni, ≪la risposta e negativa≫.
Per comprendere appieno le responsabilità del Vaticano nella vicenda del Banco ambrosiano e utile ricordare una lettera drammatica scritta dal banchiere Roberto Calvi il 5 giugno 1982 e indirizzata proprio a Giovanni Paolo II. La lettera e stata pubblicata da uno degli autori di questo libro [2] su indicazione del figlio di Calvi, che dopo anni di dure battaglie legali ha deciso di rendere pubbliche le sue verita, tutte basate su documenti e missive del padre.
Queste le parole che scriveva Roberto Calvi a meno di due settimane dalla sua morte: ≪Santità, sono stato io ad addossarmi il pesante fardello degli errori nonche delle colpe commesse dagli attuali e precedenti rappresentanti dello Ior; sono stato io che su preciso incarico di suoi autorevoli rappresentanti, ho disposto cospicui finanziamenti in favore di molti paesi e associazioni politico-religiose dell’Est e dell’Ovest; sono stato io che di concerto con autorità vaticane, ho coordinato in tutto il Centro e Sudamerica la creazione di numerose entità bancarie, soprattutto allo scopo di contrastare la penetrazione e l’espandersi di ideologie filomarxiste, e sono io infine che oggi vengo tradito e abbandonato proprio da queste stesse autorità a cui ho rivolto sempre il massimo rispetto e obbedienza≫.
La lettera prosegue con questi toni; all’interno del libro e presentata la versione integrale insieme alla scansione del documento originale proposta in appendice. Una causa di beatificazione non puo certo dimenticarsi di accertare e discutere questi aspetti tutt’altro che secondari del pontificato di Giovanni Paolo II. A meno che altri interessi e giochi di potere non invitino a centrare l’obiettivo solo sullo straordinario carisma di Wojtyla, il papa delle piazze e della gente.
Lo scandalo pedofilia
≪Nulla io so della sua vita precedente in Polonia, e su di essa nessun giudizio posso esprimere. Parlo, dunque, del pontefice eletto il 16 ottobre 1978 e deceduto il 2 aprile 2005. Credo che lasciare Wojtyla nella sua complessità, e come tale affidarlo alla storia oltre che alla memoria della Chiesa, sarebbe la scelta migliore per onorarlo nella sua sfaccettata verità. L’insistenza e l’ansia con cui molti ambienti lavorano per la beatificazione a me pare un atteggiamento che poco sa di evangelico e molto di voglia di esaltare il pontificato romano come istituzione.≫
Il teologo Franzoni invita ancora una volta ad assumere una visuale oggettiva, che dia conto della razionalità storica prima che dell’esaltazione religiosa. E in uno dei punti cruciali dell’appello di cui abbiamo riportato alcuni passaggi centrali affronta il ≪punto oscuro≫ dell’etica sessuale. Giovanni Paolo II ha difeso con forza, e senza nulla concedere, la disciplina del celibato ecclesiastico obbligatorio nella Chiesa, ignorando il diffondersi del concubinato fra il clero e contribuendo a nascondere la devastante piaga degli abusi perpetrati da alcuni ecclesiastici sui minori. Almeno fin quando questa non e si e manifestata pubblicamente, facendo esplodere lo scandalo pedofilia che oggi imbarazza il Vaticano.
Già nel giorno dell’annuncio della beatificazione, molti sono stati coloro che hanno criticato la scelta denunciando le responsabilità di Wojtyla nel coprire religiosi colpevoli di abusi. ≪E una delusione per noi, in quanto vittime di sevizie da parte dei preti, sapere che non sono state analizzate tutte le prove che testimoniano come Karol Wojtyla era al corrente di questi crimini≫ denuncia Joaquin Aguilar Mendez, portavoce della ≪Rete dei sopravvissuti alle sevizie sessuali≫ inflitte da alcuni preti. Alla base della protesta c’e la convinzione che Giovanni Paolo II fosse al corrente delle sevizie ma abbia chiuso gli occhi per non sporcare l’onore della Chiesa romana. Secondo Mendez, che da bambino e stato vittima di un prete pedofilo, la beatificazione di Wojtyla indica che la Chiesa cattolica ≪vuole lavarsi le mani al più presto dello scandalo della pedofilia≫.
≪Non è possibile che Wojtyla non sia stato al corrente del caso di padre Marcial Maciel, uomo di primo piano durante il suo pontificato≫ ha aggiunto Mendez. Maciel, il fondatore dell’ordine dei Legionari di Cristo morto nel 2008, all’età di ottantasette anni, ha avuto una figlia da una relazione clandestina ed e stato accusato di aver compiuto sevizie sessuali su otto ex seminaristi. Nel 2006 e stato sottoposto dal Vaticano a restrizioni al suo ministero religioso. Ma non risultano mai arrivate denunce alla magistratura, dunque la Chiesa ha ritenuto l’abuso sessuale su minori un fatto interno e non un reato da denunciare pubblicamente.
La Santa sede ha reagito alle accuse secondo le quali Wojtyla avrebbe coperto gli scandali. Secondo il portavoce Joaquin Navarro-Valls, ≪e un’opinione che non tiene conto dei fatti. Per il caso Maciel, ad esempio, la procedura penale canonica e cominciata nel pontificato di Giovanni Paolo II. Ed e finita nel primo anno del pontificato di Benedetto XVI: sono stato io ad annunciare pubblicamente la decisione presa nei suoi riguardi. Una decisione presa sulla scorta di un’inchiesta accurata e approfondita iniziata durante il pontificato di Wojtyla nonostante nel sito web della sua congregazione fosse stata pubblicata in precedenza una lettera autografa di Maciel che negava davanti a Dio questi addebiti≫. Purtroppo non era cosi, Maciel, come in seguito sara accertato, stava mentendo.
≪Quanto al caso del cardinale [Hans Herman] Groer di Vienna – prosegue Navarro-Valls – proprio Giovanni Paolo II nomino nel 1995 un coadiutore, e la sua scelta cadde sull’allora vescovo ausiliare [Christoph] Schonborn, che promosse sei mesi dopo arcivescovo di Vienna e che certamente non ha mai insabbiato nulla riguardo alle accuse mosse al predecessore.≫ Pero alcune inchieste, lo denunciano anche diversi cardinali, sono iniziate in ritardo e sono state troppo lunghe.
Navarro-Valls, lasciata la sala stampa della Santa sede, e tornato alla sua antica professione di medico psichiatra all’Università Campus Biomedico di Roma, della quale e anche presidente. Sul fenomeno degli abusi sessuali commessi da sacerdoti e religiosi ha una sua teoria: ≪Con i casi dei sacerdoti stiamo parlando della punta di un iceberg. E non c’e dubbio che la dimensione del problema e vastissima nella società. Questo non e togliere la responsabilità a sacerdoti e religiosi. Ma cercare davvero di aiutare tutte le vittime. Andando a Fatima il papa ha detto che il peccato e anche nella Chiesa, ma secondo me sarebbe da ipocriti pensare che con questo e tutto risolto, e cioè che altrove il male non c’e, come se bastasse non mandare i bambini negli oratori perche siano davvero al sicuro≫.
Il male degli abusi c’e anche fuori dalla Chiesa, e certamente riguarda tutti la battaglia in difesa dei più deboli. Ma resta comunque il dubbio che quanto fatto e detto da Giovanni Paolo II in materia di etica sessuale abbia creato all’interno della Chiesa, tra sacerdoti e religiosi, un clima da caccia alle streghe. Non si può certo dire che questo abbia indotto molti all’abuso, certo e pero che non ha aiutato a evitarlo. Navarro-Valls non ritiene che ci sia un ≪complotto mediatico≫ contro la Chiesa: ≪I fatti purtroppo sono accaduti, ma attenzione: accendere i riflettori solo su quelli che riguardano alcuni ecclesiastici puo diventare un modo per non mettere in discussione altri ambienti≫.
Questo libro è diviso in tre parti. Nella prima parte si racconta la genesi dell’uomo e del papa Giovanni Paolo II. Una storia indispensabile per capire cosa e stato il suo pontificato. Siamo riusciti a reperire e visionare documenti fino a pochi anni fa ancora top secret e oggi disponibili solo in polacco. Carte importanti che testimoniano il lungo duello tra Karol Wojtyla e i servizi segreti polacchi. Le storie di preti infiltrati, di cimici e pedinamenti per indebolire un uomo di fede che risultava scomodo al regime già prima di diventare papa. Questa parte, che arriva fino al 1978, sara fondamentale per capire le ragioni che portarono nei primi anni Ottanta Giovanni Paolo II ha finanziare Solidarność con soldi dello Ior, probabilmente frutto anche di riciclaggio di denaro sporco, soldi della mafia.
La seconda parte e dedicata proprio alla Banca vaticana all’epoca di Wojtyla e in particolare alla spregiudicata gestione di Marcinkus. Attraverso interviste e nuove ricostruzioni abbiamo cercato di fotografare la Chiesa di Wojtyla dal punto di vista dell’impegno politico e dello sforzo finanziario, e il quadro che ne emerge non lascia in primo piano l’aspetto della fede. Un fiume di soldi, spesso di provenienza misteriosa, attraversano paradisi fiscali e finiscono quasi per magia a finanziare gruppi come Soldarność e altri movimenti di resistenza al comunismo.
Nella terza parte diamo spazio al racconto della campagna distruttiva praticata da Giovanni Paolo II e dalla curia romana contro il cristianesimo del dissenso, contro i teologi della liberazione, contro la fede vista anche come impegno civile. Decine di attacchi contro singoli religiosi e contro movimenti cristiani duramente ostacolati e repressi in nome di un conservatorismo che invece ha portato al conferimento della prelatura personale all’Opus Dei di Josemaria Escriva de Balaguer. Riconoscimento che e arrivato proprio grazie a Giovanni Paolo II.
Questo non vuole essere un libro di denuncia. Non vogliamo costruire una campagna contro Wojtyla. Non ne mettiamo in discussione lo straordinario carisma e le qualità di autentico trascinatore di folle. Vorremmo pero che quella della beatificazione lampo di Giovanni Paolo II non fosse ancora una decisione politica. Soprattutto perche l’urlo dei milioni di fedeli arrivati a Roma per partecipare al funerale del pontefice, quell’urlo stampato su striscioni che riportavano la scritta ≪Santo subito!≫, era del tutto estraneo a qualsiasi manovra di potere. Era una richiesta di cuore. La Chiesa da parte sua dovrebbe rispondere con la semplice, pulita verità dei fatti. Quei fatti che nelle pagine che seguono abbiamo tentato di ricostruire.
NOTE
[1] Insieme a Franzoni, hanno firmato il manifesto altri tredici esponenti del dissenso cattolico, fra teologi e scrittori. Oltre a Franzoni e all’ex docente salesiano Giulio Girardi, tra i firmatari figurano: Jaume Botey, Casimir Marti e Ramon Maria Nogues (Barcellona), Jose Maria Castillo (San Salvador), Rosa Cursach (Palma de Mallorca), Casiano Floristan (Salamanca), Filippo Gentiloni (collaboratore de ≪il manifesto≫) e Jose Ramos Regidor (Roma), Martha Heizer (Innsbruck), Juan Jose Tamayo (Madrid), Adriana Valerio (Napoli).
[2] Cfr. Ferruccio Pinotti, Poteri forti, Bur, Milano 2005.
Estratto dal libro appena uscito per Chiarelettere "Wojtyla Segreto. La prima controinchiesta su Giovanni Paolo II", scritto dal vaticanista de “La Stampa” Giacomo Galeazzi e dal giornalista d’inchiesta Ferruccio Pinotti (collaboratore anche di MicroMega), che ricostruisce la storia di Karol Wojtyla e si propone come un appello documentato contro la beatificazione.

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1 commento:

  1. Da Centro Documentazione - sidernopressoffice@tin.it

    LA FALSA LETTERA DI CALVI AL PAPA (GIA' PUBBLICATA DA "REPUBBLICA" NEL 1992) ADESSO RICICLATA IN UN LIBRO
    Dopo aver letto su "Dagospia" il lancio del libro "Wojtyla Segreto» (edito da Chiarelettere), in cui è pubblicata come inedita una lettera del banchiere Roberto Calvi al Papa, in realtà un apocrifo già pubblicato da "Repubblica" nell'aprile del 1992, il giornalista Francesco D. Caridi ha scritto a Roberto D'Agostino quanto segue:
    Caro D’Agostino, guardi che quella lettera di Calvi a Papa Giovanni Paolo II, riciclata adesso in un libro, non è stata mai scritta da Roberto Calvi, ma fu una iniziativa di qualcuno del suo entourage per cercare di dargli maldestramente una mano, con l’utilizzazione di fogli bianchi firmati in precedenza dal banchiere, ormai senza più bussola. Seppi da una fonte attendibilissima che quella lettera era stata scritta a macchina occasionalmente in un ufficio nei pressi di Piazza Rondanini a Roma e quindi affidata al vescovo Pavel Hnilika («Pro Fratribus», Via dell’Anima, dove si trovava anche l’ufficio di Flavio Carboni) per la consegna al cardinale Casaroli, forse tramite monsignor Marcinkus. Se si facesse una comparazione con alcune lettere autentiche di Calvi, si vedrebbero tra l’altro le differenze lessicali. Il resto è ridicolo.
    Il giorno di Pasqua del 1992, "la Repubblica" pubblicò lo stesso apocrifo, che circolava da tempo tra i giornalisti (anch’io mi ero occupato di una inchiesta sul caso Calvi-IOR a metà degli anni Ottanta, per il settimanale “il Borghese”). Con Costantino Belluscio, il compianto vicepresidente dei deputati socialdemocratici col quale avevo una consuetudine di amicizia oltre che rapporti professionali, ci facemmo quattro risate, leggendo il finale della lettera col «bacio del Sacro Anello». M’incaricai di comunicare all’Ansa quello che sapevamo, con una mia dichiarazione pubblicata da alcuni quotidiani. In particolare, il “Corriere della Sera” del 21 aprile («Quella lettera non fu scritta da Calvi») diede ampio spazio al mio comunicato.
    Francesco D. Caridi, giornalista

    http://archiviostorico.corriere.it/1992/aprile/21/quella_lettera_non_scritta_Calvi_co_0_9204213623.shtml

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