domenica 5 dicembre 2010

Chi è Sepe, l'impresario di Dio

Ambiziosissimo e molto politico, il cardinale al centro dell'inchiesta sul G8 deve la sua carriera alle sue capacità di usare i media. Il ritratto di un grande vaticanista

In Vaticano il cardinale prefetto della congregazione De Propaganda Fide lo chiamano il papa rosso. Per dire quanto è potente. Ma Crescenzio Sepe, che lo è diventato nell'aprile del 2001, non si è mai accontentato.

Sepe è nato nel 1943 a Carinaro, in diocesi di Aversa. Entrò presto in diplomazia e fece tirocinio nelle nunziature dell'America latina e dell'Asia. In curia il suo cardinale protettore era l'argentino Umberto Mozzoni e questi lo piazzò in segreteria di Stato, all'ufficio informazioni. Bel trampolino. Perché con un papa come Giovanni Paolo II i media contano. E Sepe fece le mosse giuste.

Nel 1984 scovò e mise in pista come press agent di papa Wojtyla l'intraprendente Joaquín Navarro-Valls, spagnolo, numerario dell'Opus Dei. E a direttore dell'"Osservatore Romano" collocò un suo amico irpino, Mario Agnes, l'ascetico fratello di Biagio, allora supermanager della Rai.

Giovanni Paolo II se ne compiacque. E Sepe salì di grado. Tre anni dopo, nel 1987, fu promosso assessore della segreteria di Stato, numero tre del supremo organo di governo vaticano.

Altri tre anni, e corse voce che lui già pretendeva di diventar sostituto, una carica ancora più su, con accesso diretto e quotidiano al papa. Una lettera collettiva firmata da nunzi e diplomatici gli sbarrò la strada. Ma solo lì. Nel 1992, Sepe fu promosso dal papa arcivescovo e segretario della congregazione per il clero.

Dove rivelò un'altra sua dote, quella di impresario di spettacoli. Non c'era ricorrenza papale che non venisse salutata da cantautori, rockband, soubrette. Con dirette in mondovisione.

Così, quando si trattò di organizzare il grandioso giubileo dell'anno 2000, Giovanni Paolo II non ebbe dubbi, mise tutto in mano a Sepe. Il quale progettò e realizzò un programma monstre, fatto di decine di giubilei di categoria, uno più spettacolare dell'altro. Con riverberi politici non da poco. Sia il governo italiano che il sindaco di Roma, quando avevano a che fare col Vaticano, era dal plenipotenziario Sepe che dovevano bussare.

Il premio arriva puntuale nel 2001. Il papa fa cardinale Sepe e lo insedia a Propaganda Fide. Tempo pochi mesi e anche l'agenzia di questo dicastero, "Fides", cambia faccia e suona la tromba per il nuovo papa rosso.

(...) Sette anni fa il direttore dell'Osservatore Romano Mario Agnes dirige "L'Osservatore Romano" rischiò il licenziamento. Per un incidente che ha per epicentro Sepe e Cuba.

L'8 marzo 2003 infatti "L'Osservatore" diede la stura a una serie di servizi dall'isola, sette pagine in quattro giorni, con tre protagonisti assoluti: Fidel Castro, il cardinale Crescenzio Sepe e una suora badessa di nome Tekla Famiglietti. Nella foto clou i tre comparivano stretti in un abbraccio gioioso, con sullo sfondo la gigantografia di un altro abbraccio di cinque anni prima tra Castro e Giovanni Paolo II in visita all'isola.

Sepe e suor Tekla sono conterranei di Agnes, che è irpino, e si conoscono da una vita. Ma la loro prossimità non è solo geografica. Se Agnes è diventato direttore dell'"Osservatore Romano", lo deve proprio a Sepe, oggi cardinale prefetto della congregazione "De Propaganda Fide", ma all'epoca titolare dell'ufficio informazioni della segreteria di Stato vaticana.

Ebbene, cosa andò a fare a Cuba il cardinale? A inaugurare all'Avana un convento di suore brigidine, donato da Castro proprio a suor Tekla, che delle brigidine è la badessa mondiale. Agnes inviò sul posto un suo giornalista di punta, Giampaolo Mattei, il quale diede conto nei suoi reportage di un crescendo di affetti tra la suora, il cardinale Sepe e il barbuto dittatore: con la suora e Fidel che "camminano mano nella mano", con la prima che conferisce al secondo "l'onorificenza Santa Brigida", con il cardinale che dice a Castro la gratitudine sua e del papa per "la generosa apertura e il fraterno aiuto".

Ma alla cerimonia c'era un grande assente: l'arcivescovo dell'Avana, cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino. Il quale aveva tutti i motivi per mancare. Sapeva che Castro, mentre incantava i suoi ospiti venuti da Roma e faceva trasmettere in diretta televisiva i suoi abbracci, aveva già pronte le manette per l'ottantina di oppositori, in buona parte cattolici, che farà arrestare di lì a pochi giorni, e che in aprile farà condannare a un totale di oltre 1.500 anni di carcere.

E il Vaticano ne era stato informato, ma non aveva fatto nulla per frenare Sepe, Agnes e suor Tekla: quanto bastava per mandare su tutte le furie il cardinale Ortega e gli altri vescovi cubani, che protestarono l'11 marzo con una dichiarazione collettiva contro «gli eccessi, nelle parole e nei gesti, di cui siamo stati testimoni in queste circostanze, da parte di alcune personalità della Chiesa».

Dopo di che Ortega volò a Roma. Fece una sfuriata col cardinale segretario di Stato, Angelo Sodano. Il 21 marzo andò dal papa. E anche dal cardinale Camillo Ruini, per dirgli che gli aiuti della conferenza episcopale italiana se li giocava il regime, al quale incautamente erano dati in consegna.

Il risultato è che il cardinale Sodano rimproverò Agnes e gli adombrò la revoca della fiducia.

E Sepe? Si fece scudo del papa e il 29 aprile fece dire dal suo portavoce Luca De Mata: «Speravamo che 'El Máximo' avrebbe avuto il coraggio di aprire Cuba alla democrazia, ma abbiamo sbagliato...». Come dire che Giovanni Paolo II aveva sbagliato per primo, ad assoluzione di tutti.

FONTE


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