Con la stessa intensità con cui per settimane in Vaticano ci si è scagliati contro “corvi”, calunniatori, vigliacchi traditori del Papa e della Chiesa, addirittura strumenti della volontà di seminare zizzania del “Maligno” (così il cardinale Bertone a Famiglia cristiana) giungono ora segnali dalla Curia di una sostituzione del Segretario di Stato dopo la ripresa estiva e di un fantomatico “governo tecnico”, che dovrebbe riportare la pace nel governo centrale della cattolicità.
Il vento è cambiato d’improvviso. Ma la tentazione di pilotare l’informazione, dimostrando che in alto loco si provvede sempre bene, permane intatta. Non è dato ancora di sapere se e quando il cardinale Bertone cederà il campo. La partita non è chiusa.
La lista dei successori immaginati o desiderati dalle varie cordate è lunga: si va dai cardinali Piacenza e Sandri all’attuale ministro degli Esteri vaticano mons. Mamberti, ad alcuni nunzi di nunzi di grande esperienza. Ma la crisi, ancora nel suo pieno svolgimento, dimostra già alcune cose. I dissidenti, che hanno deciso di manovrare la raccolta di documenti segreti e di lanciarli nell’arena mediatica, hanno visto giusto nel-l’adottare una strategia che uscisse dal chiuso delle felpate manovre di palazzo. Oggi la questione della gestione della Curia è finalmente in agenda.
QUELLO CHE con silenziose pressioni su Benedetto XVI, anche da parte di alti prelati, non si era riuscito a ottenere, è stato raggiunto attraverso la pianificata e metodica pubblicazione di rivelazioni – tutte autentiche – sul Fatto Quotidiano e nel libro di Gianluigi Nuzzi. Dunque il “mistero” come strumento di governo non paga più. Anche la Santa Sede dovrà rendersi conto che nel XXI secolo ogni autorità, anche la più antica, deve rispondere all’opinione pubblica delle sue azioni, omissioni e colpe. Gli anglosassoni la chiamano “accountability”. Da lì non si sfugge. Cullarsi ancora nell’illusione che le critiche siano veleno proveniente da presunti nemici della Chiesa si rivela solo una perdita di tempo.
Mentre Benedetto XVI procedeva ad un consulto straordinario con un piccolo comitato di crisi composto da cinque autorevoli cardinali, il Vaticano ha annunciato la nomina di un “consigliere” per la strategia comunicativa, inserito nello staff della Segreteria di Stato. L’americano Greg Burke, ex corrispondente di Fox News e Time, affiliato all’Opus Dei, è un provato professionista, ma ancora una volta in Vaticano si confonde una crisi nata da problemi di sostanza – finanze e potere – con presunti “errori di comunicazione”. I numerosi incidenti di percorso di questo pontificato sono stati prima negati e poi derubricati a sbagli nel comunicare. Non di questo si tratta. Dall’incidente di Regensburg, che infiammò l’Islam, all’affare Williamson (il vescovo negazionista lefebvriano liberato dalla scomunica), fino alle polemiche sugli insabbiamenti dei casi di pedofilia, sono sempre state in gioco scelte sostanziali del pontefice e del Vaticano. E comunque né il Papa né il Segretario di Stato hanno mai voluto “consigli” su come comportarsi.
Padre Lombardi, il direttore della Sala Stampa vaticana costretto a difendere continuamente trincee indifendibili, sarebbe stato – ed è – pienamente in grado per la sua esperienza di suggerire al pontefice quali effetti certe decisioni o dichiarazioni hanno sull’opinione pubblica. Non gli è stato mai chiesto di esercitare un ruolo di cooperatore della strategia mediatica papale come avveniva con Navarro ai tempi di Giovanni Paolo II. Anche perché una strategia questo pontificato non ce l’ha. È stato lo stesso segretario papale Gaenswein a ribadire recentemente che Benedetto XVI “non è un politico” e il suo pontificato “non è un progetto”. Il problema è esattamente questo: la guida di un organismo di un miliardo e duecento milioni di fedeli, qual è la Chiesa cattolica, richiede un programma di governo. Una vittoria degli avversari di Bertone non risolverà questa carenza di fondo. Perché nel sistema di monarchia assoluta, com’è il governo della Chiesa cattolica, lo stato maggiore alla fine riflette le direttive o le incertezze del comandante supremo.
PAPA RATZINGER, come ciclicamente si è ripetuto nel suo pontificato, sta intervenendo con ritardo e quando i danni maggiori sono già stati provocati. Il momento di prendere in mano la situazione era precisamente quando il cardinale Nicora e l’allora presidente dello Ior Gotti Tedeschi sollevarono la questione della trasparenza della banca vaticana. Aver lasciato passare mesi è segno di una debolezza di leadership, difficile da immaginare superata.
Ad ogni modo i veri nodi attendono tuttora di essere affrontati. Perché l’opinione pubblica poco si cura di “nuove strategie di comunicazione”. Vuole invece sapere cosa ne sarà della banca vaticana, che in passato si è drammaticamente mostrata poco concentrata sulle opere di carità. Marco Lillo su queste colonne ha anticipato il parere negativo degli ispettori di Moneyval sulla incapacità dello Ior di rispondere – su una serie di punti – ai requisiti di trasparenza richiesti dal sistema finanziario internazionale.
Se lo Ior, come tutto lascia prevedere, non sarà accolto nella “white list” delle banche mondiali, il danno per la credibilità della Santa Sede sarà grande e a poco varranno un consigliere di comunicazione e neanche un cambio di Segretario di Stato.
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