martedì 6 settembre 2011

SAN RAFFAELE, L’ INCOGNITA DEI COSTI DEL SALVATAGGIO

Ospedale San Raffaele
Oggi il cda. Dubbi nel mondo cattolico sull’ operazione. Voragine di debiti, forse un miliardo e mezzo. Solo per le urgenze servono fra i 250 e i 400 milioni.
L’ emergere della voragine di un miliardo e mezzo di debiti del San Raffaele, l’ ospedale fondato da don Luigi Verzè che la Santa Sede cerca di salvare dal fallimento, sta facendo crescere una diffusa inquietudine nella Chiesa italiana e anche nei palazzi d’ Oltretevere. Don Verzè all’ inizio dell’ estate aveva preferito coinvolgere la Santa Sede invece di affidarsi alla cordata dell’imprenditore della sanità lombarda Giuseppe Rotelli. La gestione (fallimentare, economicamente parlando) del San Raffaele è ora in carico da diverse settimane alla squadra messa insieme dal cardinale Segretario di Stato, Tarcisio Bertone.
Il cda, che si riunisce nuovamente oggi, è composto da personalità di primo piano dalle comprovate capacità, come il presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi; il manager della sanità Giuseppe Profiti; l’ex Guardasigilli prodiano Giovanni Maria Flick; l’imprenditore genovese Vittorio Malacalza. I quali hanno affidato a Enrico Bondi l’incarico di fare chiarezza sui conti entro il 15 settembre.

Non è stato ancora comunicato a quanto ammonterà l’impegno della banca vaticana: si parla di una cifra che va dai 250 ai 400 milioni di euro, con l’obiettivo anche di coprire i debiti più urgenti con le case farmaceutiche. Somma davvero considerevole, se confermata, tanto più in questo momento di crisi economica mondiale che vede in difficoltà anche le finanze della Santa Sede. Dietro l’iniziativa del cardinale Bertone ci sarebbe il progetto di creare un grande polo sanitario d’eccellenza, che riunisca il San Raffaele all’ospedale Bambin Gesù di Roma e alla Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo (gli ultimi due già gestiti dal Vaticano). Ma il polo comprenderebbe anche il Policlinico Gemelli, che appartiene dell’Università Cattolica, ateneo sul quale il Segretario di Stato ha lanciato un’Opa per controllarne quanto prima la «cassaforte», l’Istituto Toniolo, anche a costo di cambiarne gli statuti. E c’è chi ha detto che il grande network potrebbe includere gli ospedali genovesi Galliera e Gaslini, presieduti dall’arcivescovo di Genova.

In molti si chiedono se sia davvero un compito specifico della Santa Sede quello di creare, gestire e controllare poli sanitari d’eccellenza. Non ci troviamo di fronte a un investimento per far fruttare fondi da destinare ad altre finalità: la sanità è un settore solitamente in perdita. Non è evidente, al momento, una motivazione etica, quale sarebbe stata salvare un ospedale malandato in Africa, o costruire nuovi presidi sanitari nelle zone dimenticate del Terzo mondo dove si muore per la mancanza delle cure più elementari. Iniziative che peraltro lo Ior, Istituto per le opere di religione, già sostiene. Perché la Santa Sede si impegna in un’iniziativa così rischiosa e sembra pronta a impiegare centinaia di milioni di euro del patrimonio della Chiesa che ha finalità «di culto, evangelizzazione e carità»?
C’è un secondo problema che inquieta molti, e riguarda i contenuti dell’insegnamento e della sperimentazione al San Raffaele, che non è mai stato un ospedale «cattolico», cioè in linea con l’insegnamento della Chiesa in materia bioetica. Nel momento in cui sarà formalizzato il passaggio definitivo della gestione nelle mani vaticane, i nuovi amministratori saranno costretti a tenerne conto, mentre i docenti ospedale e dell’ateneo fondato da don Verzè hanno già fatto sapere di considerare «non negoziabile» la loro libertà di insegnamento e di ricerca. Anche su questo terreno, la strada appare tutta in salita.

Bisognerà attendere le prossime settimane per conoscere le risposte che verranno date a queste domande come pure, se ci sarà, la reazione di alcuni importanti episcopati del mondo, che garantiscono le entrate più consistenti alla Santa Sede.

FONTE
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