Oltre all’esenzione dalle imposte locali al centro delle polemiche da diversi giorni, in Regione la chiesa cattolica gode di altri vantaggi economici sotto diverse forme. Tra i versamenti più consistenti compare quello dedicato all’edilizia ecclesiastica. Nonostante un patrimonio che solo a Bologna conta circa 1200 immobili appartenenti alla Curia, per legge i Comuni hanno la possibilità (ma non l’obbligo) di destinare tra il 7% e il 9% degli oneri di urbanizzazione secondaria incassati ogni anno, all’edilizia religiosa. Secondo i calcoli del circolo bolognese dell’Uaar, l’Unione atei e agnostici razionalisti, dal 2000 al 2009 per la costruzione e il mantenimento di edifici di culto, il Comune di Bologna ha speso in tutto circa 6 milioni di euro. A Ravenna solo nell’ultimo anno sono stati versati oltre 255mila euro, a Rimini più di 95mila, mentre a Reggio Emilia il Comune ha deciso di alzare la quota spettante alle chiese e agli altri edifici per servizi religiosi, portandola all’8%. E se il denaro non è riservato alla Chiesa cattolica è vero anche che questa si mangia gran parte della fetta. Nel 2004, sempre a Bologna, della cifra record pari a 799mila euro, ben 680mila euro sono stati assegnati alla Curia Arcivescovile .
E mentre gli enti locali si preparano a scendere in piazza contro la manovra regalando ai giornali nefaste previsioni sul futuro dei servizi, anche quest’anno l’Azienda sanitaria regionale spenderà circa 2milioni di euro per pagare gli stipendi ai cappellani che si occupano dell’assistenza religiosa negli ospedali. I numeri li fornisce l’assessore regionale alla sanità Carlo Lusenti, rispondendo a un’interrogazione del consigliere regionale Gabriella Meo. Dove precisa che “proprio per la natura religiosa dei compiti svolti la presenza di personale religioso non inficia in alcun modo le assunzioni del personale sanitario”. In Emilia Romagna l’ingaggio dei cappellani, ai quali viene garantito uno stipendio simile a quello degli infermieri laureati, funziona in questo modo: in virtù di una legge regionale, ciascuna azienda sanitaria stipula una convenzione annuale con la Diocesi competente, la quale a sua volta ha il compito di scegliere gli assistenti religiosi in modo tale da averne uno ogni 200 posti letto.
Dall’edilizia alla sanità, passando per l’istruzione la musica è la stessa. A Bologna, poco dopo la bocciatura del referendum sui fondi comunali alle scuole private, Palazzo d’Accursio ha deciso di prorogare il finanziamento di 1.055.000 euro a vantaggio delle scuole dell’infanzia private, in maggioranza cattoliche. Cifra che fa il paio con i 6,4 milioni di trasferimenti statali piovuti da Roma sulle scuole paritarie di tutta l’Emilia Romagna.
Insomma, sembra che la fede di alcuni comporti un conto salato per tutti. L’ex-vescovo ausiliare di Bologna, monsignor Ernesto Vecchi, si limita a liquidare la questione dei privilegi come “una polemica ridicola, tirata fuori da chi non è ben informato”, dato che la Chiesa “è esentata solo quando offre servizi alla povera gente, così come lo sono le Onlus e gli altri enti che si occupano di sociale”.
Intanto però, sotto la spinta delle proteste divampate sui social network, anche parte della politica sta pensando di rivedere le regole imposte alla Chiesa. A Palazzo d’Accursio il sindaco di Bologna Virginio Merola si è detto disponibile a “far pagare le tasse agli immobili ad uso commerciale”. Mentre in Provicia il consigliere dell’Italia dei Valori Paolo Nanni ha promesso di “sottoporre alla giunta la questione dell’esenzione dal Cosap”, ossia il canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche. All’inizio dell’anno, infatti, Palazzo Malvezzi ha reintrodrotto l’obbligo della tassa sui passi carrai, escludendo però dal pagamento la Chiesa.
Insomma, le vie del signore, direbbe qualcuno, sono infinite. E quelle dei soldi anche. Specialmente quando finiscono dritti nelle casse della Chiesa Cattolica.
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