Con l’arrivo degli uomini di fiducia del cardinale Tarcisio Bertone, a don Verzé è rimasto solo il ruolo di presidente senza deleghe operative. Ma paradossalmente il sacerdote e i suoi fedelissimi riuniti nell’ Associazione Monte Tabor mantengono tuttora il potere di nomina e di revoca del consiglio di amministrazione della Fondazione. Un potere di cui il prete manager, nella sua lettera, è ben consapevole: «Vi ricordo che l’ organismo che per statuto ha competenza alla nomina dei componenti del consiglio di amministrazione della Fondazione ha proceduto alla vostra designazione».
E, perché nessuno si creda insostituibile, nel suo scritto non manca un’esplicita allusione ad altri possibili finanziatori del San Raffaele: «Dopo che l’avvocato Vincenzo Mariconda (il legale di fiducia del sacerdote, ndr) aveva instaurato un’utile trattativa per concludere un accordo di ristrutturazione con un primario operatore del settore ospedaliero, il professor Giuseppe Rotelli, l’ho pregato di interrompere la trattativa e di riservare i propri sforzi ulteriori alla salvaguardia della Fondazione, con l’intervento, in luogo del menzionato imprenditore, del Vaticano che meglio ci garantisce gli scopi statutari della Fondazione e, quindi, dell’ospedale e della ricerca ». In pratica, don Verzé ricorda ai nuovi consiglieri del cda, primo fra tutti il vicepresidente operativo Giuseppe Profiti (Bambin Gesù di Roma), che la soluzione Santa Sede è stata privilegiata rispetto ad altre, «nella presupposizione che si potesse così salvare la Fondazione ed evitare che il suo patrimonio venisse trasferito ad altre nuove entità».
Ed ecco la richiesta esplicita:
«Poter contare su un apporto professionale che si faccia carico, oltre che della soluzione dei problemi squisitamente economici, anche della cura degli scopi ideali della Fondazione e del mantenimento in capo ad essa delle strutture e delle attività indispensabili ai fini del raggiungimento di detti scopi». È una pretesa che incombe sulla riunione del cda fissata per lunedì. Sarà una coincidenza, ma all’ordine del giorno spicca la presentazione della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della Fondazione Monte Tabor stilata del superconsulente Enrico Bondi (il risanatore di Parmalat) e degli esperti finanziari della Deloitte. È il dossier nel quale rischiano di finire sotto accusa le decisioni prese nel corso degli anni da don Verzé e dai suoi fedelissimi, soprattutto sugli investimenti all’estero (come le coltivazioni di mango e meloni in Brasile). Il piano di salvataggio dev’essere presentato entro il 15 settembre, altrimenti la Procura chiederà il fallimento. La strada scelta per evitare il crac sembra essere, in prima battuta, l’accordo in tribunale con i fornitori. Nella seduta di lunedì è prevista, infatti, la nomina del consulente che si occuperà della stesura del concordato preventivo (in base all’articolo 161 della legge fallimentare). Mario Gerevini
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