mercoledì 27 luglio 2011

IL MISTERO DI QUELL’ ATTENTATO A GIOVANNI PAOLO II


Dopo trent’anni dallo sparo del 13 maggio 1981 i mandanti non sono mai stati individuati. Un nuovo libro ricostruisce la vicenda e indica negli ambienti del fanatismo turco, tra islam e servizi segreti, i possibili ispiratori.

Sono passati trent’anni, ma quell’ attentato rimane un mistero. Il 13 maggio 1981, alle 17.17, venne Giovanni Paolo II venne colpito in piazza San Pietro dai colpi sparati dalla Browning del terrorista turco Mehemet Alì Agca. Papa Wojtyla, che stava per iniziare la tradizionale udienza del mercoledì e quel giorno avrebbe annunciato l’istituzione del Pontificio consiglio per la famiglia, rischiò di morire e arrivò al Gemelli in fin di vita.
Le inchieste, soprattutto quella sulla cosiddetta «pista bulgara», che attribuiva ai servizi segreti di Sofia: – in combutta con Mosca – l’ attentato contro il Papa polacco diventato una minaccia, non hanno portato a nulla di fatto. Non si sono individuati i mandanti, non ha un nome chi ideò l’uccisione del Pontefice venuto dall’Est.
È da qualche settimana in libreria un libro accurato e convincente, scritto dal vaticanista di «Repubblica» Marco Ansaldo e dalla corrispondente a Roma del quotidiano turco «Sabah», Yasemin Taskin. S’intitola Uccidere il Papa. La verità sull’attentato a Giovanni Paolo II (Rizzoli). È un libro documentatissimo, dove ogni particolare viene vagliato e dove si trovano raccolti e sistematizzati materiali interessantissimi. Ansaldo e Taskin non sono partiti da una tesi precostituita, non sono mossi dal desiderio di incolpare qualcuno o di scagionare qualcun altro. Passano al setaccio ogni possibile pista, in modo impeccabile. Dimostrano, ad esempio, come la pista bulgara non sia provata ma sia stata piuttosto intenzionalmente gonfiata.
È vero che molti pensano che l’attentato al Papa sia stato ordito a Mosca. È peraltro innegabile che Wojtyla desse fastidio ai sovietici, come pure è fuori dubbio che i sovietici, in quel momento non certo governati da una squadra di mammolette, fossero preoccupati perché avevano cominciato a vedere che cosa il Papa polacco stesse significando per il suo Paese, la Polonia. Convinti della matrice sovietica dell’ attentato (seppure ordito attraverso la manovalanza dei bulgari) erano collaboratori stretti di Giovanni Paolo II, come il cardinale Agostino Casaroli e l’allora monsignor Achille Silvestrini, oggi cardinale. Convinto dell’ esistenza di mandanti a Mosca era anche il segretario del Papa, Stanislaw Dziwisz.

E il Papa che cosa pensava? Nel libro Memoria e identità, l’ ultimo pubblicato da Giovanni Paolo II alla vigilia della sua morte ma basato su conversazioni registrate nei primi anni Novanta, anch’egli sembra in qualche modo avallare questa ipotesi. Anche se non si sono trovate le prove, anche se dagli archivi non è emerso nulla che attesti l’ordine di Mosca ai bulgari o l’ordine dei bulgari ad Agca, Wojtyla riteneva che l’attentato subito fosse «una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza, scatenatesi nel XX secolo» e nate «dal fascismo e dal nazismo, così come dal comunismo». Questa convinzione è peraltro confermata anche dalle parole che il 13 maggio 2000, a Fatima, vennero pronunciate dall’allora Segretario di Stato Angelo Sodano, mentre svelava per sommi capi il contenuto del famoso Terzo segreto. «La visione di Fatima – disse – riguarda soprattutto la lotta dei sistemi atei contro la Chiesa e i cristiani e descrive l’immane sofferenza dei testimoni della fede dell’ultimo secolo del secondo millennio. È una interminabile Via Crucis guidata dai Papi del ventesimo secolo».

A sostenere apertamente la pista dell’ Est, contestando la tesi del libro di Ansaldo e Taskin, è stato tra i primi il direttore de «L’ Osservatore Romano», Gian Maria Vian, che ha ricordato «l’innegabile presenza di questi estremisti (i Lupi Grigi, la formazione a cui apparteneva Agca, ndr) in Bulgaria, un Paese di stretta obbedienza sovietica». Il quotidiano vaticano è tornato sull’ argomento nei giorni successivi, con l’articolo di una delle firme più autorevoli, la storica Lucetta Scaraffia, la quale ha inquadrato l’attentato nella storia recente della Chiesa. La studiosa, anche se meno esplicitamente di quanto aveva fatto Vian, ha riproposto la pista comunista, ricordando che lo stesso Pontefice polacco aveva scritto nel suo testamento che la soluzione «era comunque sotto gli occhi di tutti», e ha anche definito «evidente» l’intervento «di tipo miracoloso» che ha deviato la traiettoria del proiettile sparato da Agca salvando la vita al Pontefice.

Gli autori del libro sostengono invece che l’attentato sia maturato nell’ambiente dei Lupi Grigi, di quel fanatismo dove si mescolavano accenti islamisti e contatti con i servizi segreti. Da quegli stessi ambienti, per venire alla cronaca più vicina ai nostri giorni, che hanno ordinato la morte di don Andrea Santoro e del vescovo Padovese. Quella di Ansaldo e Taskin non è affatto una tesi precostituita. Entrambi i giornalisti conoscono profondamente la realtà turca, conoscono da molto tempo lo stesso Alì Agca che hanno più volte incontrato e intervistato.

C’è da chiedersi perché, anche dopo la caduta del Muro di Berlino e il successivo dissolversi dell’Unione Sovietica, dagli archivi non fossero mai emerse prove convincenti e consistenti del coinvolgimento sovietico nel tentato assassinio di Giovanni Paolo II. Nulla è emerso neanche dopo la morte di Papa Wojtyla. Quell’attentato, trent’anni dopo, è consegnato alla storia, eppure rimane ancora avvolto nel mistero perché l’unico uomo che conosce la verità, l’intelligentissimo Alì Agca, ha raccontato un’infinità di versioni diverse, finendo per confondere tutto e tutti. È arrivato ad accusare il Casaroli di essere il vero mandante e con le sue farneticanti dichiarazioni hanno reso ormai impossibile distinguere le tracce di verità nel mare di menzogne.

Il libro di Ansaldo e Taskin è la migliore ricostruzione fino ad oggi realizzata di quel tragico evento, destinato a segnare non poco il pontificato. E risulta interessante e convincente anche la tesi proposta. Dal volume, grazie a un biglietto manoscritto trovato nelle tasche dell’attentatore turco, si apprende come la scelta del giorno 13 per compiere l’attentato sarebbe stata da parte di Agca del tutto casuale (aveva altri giorni ipotizzati, ad esempio il 20 maggio). È ovvio che a nessuno – e tantomeno a un Papa molto mariano qual era Wojtyla – sarebbe sfuggita la coincidenza della data, e per questo Giovanni Paolo II ha creduto di riconoscersi nel vescovo vestito di bianco che viene ucciso nella visione di Fatima. Ma da parte di chi ha tentato di uccidere il Papa – secondo la ricostruzione degli autori - quella della data non sarebbe stata una scelta consapevole.

Nel suo articolo pubblicato da «L’Osservatore Romano», Lucetta Scaraffia oltre a quello di Wojtyla, cita un altro storico attentato, quello del novembre 1963 a Dallas dove trovò la morte John Fitzgerald Kennedy. Anche in quel caso le inchieste (dal rapporto Warren alle ipotesi formulate dal giudice Jim Garrison) non sono approdate a nulla. E nonostante tanti, tantissimi ritengano che dietro quell’omicidio vi fossero la mafia, oppure i petrolieri, oppure i signori della guerra o persino ambienti politici, nulla di tutto ciò è stato dimostrato, come nulla dell’ipotesi di complotto ordito all’Est è stata dimostrata nelle indagini della magistratura italiana per l’attentato al Papa.
E se la soluzione fosse più semplice, molto più semplice? Il segreto di Fatima non sarebbe toccato (il Papa fu comunque colpito il 13 maggio), la gravità del fatto rimarrebbe ovviamente tutta, con un Pontefice, oggi beato, che versa il suo sangue nel luogo del martirio di Pietro, e che soffre offrendo le sue sofferenze per la Chiesa. Un vescovo raccontò che un giorno, mentre si trovava a tavola con il Papa, dopo aver ascoltato varie ipotesi sui mandanti dell’attentato, Wojtyla tagliò corto e disse: «È stato Satana!», inquadrando l’episodio nell’abisso del mysterium iniquitatis.

Se la tesi di Ansaldo e Taskin fosse quella giusta, ci sarebbe, certo, una differenza: il KGB con la volontà di assassinare il Papa non esiste più. Certi ambienti dell’estremismo turco, al contrario, mostrano di essere ancora ben attivi, come si è visto in occasione delle recenti uccisioni di preti e vescovi in Turchia.

FONTE
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