lunedì 13 giugno 2011

Wojtyla santo, pro e contro. Confronto tra Paolo Flores d’Arcais e Marco Politi

Karol Wojtyla curvo sul bastone, testimone della fragilità della condizione terrena. Un padre sofferente, vicino agli ultimi del mondo, ambasciatore di un forte sentimento di fede. Eppure, in un pontificato lunghissimo, fu anche un Capo di Stato le cui azioni furono oggetto di critiche e suscitarono polemiche. Nel processo di beatificazione, iniziato immediatamente al momento della scomparsa, il 2 aprile 2005, al grido di “Santo subito” qualcosa è stato dimenticato. Ne abbiamo discusso con Paolo Flores d’Arcais e Marco Politi alla vigilia di quel 1 maggio che lo vedrà beato.


Di Giovanni Paolo II è rimasta l’immagine di papa umano, vicino ai deboli, buono. Cosa è stato dimenticato?

MARCO POLITI: Il Papa buono resta Giovanni XXIII. Wojtyla è il primo papa geopolitico, che capisce la globalizzazione. Quei viaggi, che all’inizio sembravano una sorta di turismo frenetico, hanno rivitalizzato il senso di unità della Chiesa. E’ il primo pontefice a presentarsi nella sua fisicità anche di maschio, il primo che usa la parola “io”. Riesce a tenere insieme, come disse Bill Clinton, la capacità di parlare a tutti: ai musulmani, agli ebrei, agli agnostici. Un rapporto con il mondo che include anche polemiche, critiche. Ha unito il discorso religioso al richiamo ai diritti umani, la solidarietà economica, i diritti del Terzo mondo.
PAOLO FLORES D’ARCAIS: Le immagini popolari sono quelle del papa sofferente. “Santo subito” è il grido che nasce dopo mesi di esposizione mediatica di una sofferenza autentica, sempre più evidente e vissuta fino all’estremo. Questo colpisce il cuore di fedeli e non, anche perché Wojtyla era stato il papa “atleta della fede”. Ha affascinato anche i non credenti, secondo me del tutto a torto, per un equivoco di fondo. E cioè: Wojtyla è riuscito a presentarsi come pontefice pacifista. Politi parla di “diritti umani”. In realtà è l’opposto: è stato il nemico dei diritti umani in quanto prodotti della democrazia e della modernità, due secoli e mezzo di lotte dall’Illuminismo a oggi. E’ il papa che mette al centro dei diritti umani la “vita” come la intende lui (e anche Ratzinger, più che mai): dal concepimento alla morte, l’uomo non ha nessun diritto all’autodeterminazione. Da qui la violenta crociata di Wojtyla contro l’aborto, che ha definito “il genocidio dei nostri tempi”. Se non ricordo male usa quest'espressione in una delle tante visite in Polonia, di ritorno da Auschwitz. Quindi è evidente il cortocircuito simbolico che vuole esprimere: è l'olocausto dei nostri tempi. Stabilisce un'equazione tra il responsabile di un aborto e le Ss responsabili dei forni crematori. Questo è l'impatto che vuole creare. Anche sul piano degli aspetti sociali, la sua critica del capitalismo non è che la critica della pretesa dell'uomo di decidere su se stesso, di cui la dismisura del profitto come unico Dio è solo una delle espressioni. Ma questa denuncia non impedisce al papa di avallare, per esempio, in maniera plateale il regime di Pinochet, presentandosi al balcone insieme al dittatore. E i gesti simbolici per un pontefice mediatico come lui sono cruciali.

Non c'è stato solo l'episodio di Pinochet, ma anche l'opposizione alla Teologia della liberazione in America latina e la volontà di isolare il vescovo Romero, ucciso poi barbaramente mentre diceva Messa. Un giudizio sul Capo di Stato che tanto ha fatto contro i regimi dell'ex blocco sovietico.

POLITI: E’ stato un grande leader politico. Ma anche una personalità complessa, un mistico. In realtà non voleva nemmeno fare il prete, voleva fare il monaco. Era un filosofo della storia: ecco perché dopo la caduta del comunismo non si inebria della vittoria della parte “capitalista”, ma pone il problema del capitalismo sfrenato. E dice espressamente a noi giornalisti durante un viaggio: “Non so se è un bene che sia rimasta una sola superpotenza”. Gli elementi negativi di un lungo pontificato sono fatti, che è giusto giudicare. Un leader, che lascia la sua traccia nella storia, non è un “santino”. Ne aggiungerei altri: la lotta spietata contro la Teologia della liberazione in America latina, la contraddizione tra l'essere sul piano politico-sociale il portavoce dei diritti dell'uomo e la repressione sistematica all'interno della Chiesa del dissenso dottrinale, grazie al suo braccio destro che era Joseph Ratzinger. Ha creato una leva di vescovi scelti più per l'obbedienza che per la capacità critica. Ha lasciato completamente solo Romero. Io ero nel Salvador con lui, quando andò per la prima volta sulla sua tomba e lo definì “zelante pastore”, come fosse un curato di campagna. Solo in un secondo viaggio, quando ormai era cambiata la situazione politica, ha cominciato a elogiare Romero. E comunque, con tante beati da lui proclamati, Romero non è ancora stato fatto santo. Però rimane la capacità di Wojtyla di aprire il dialogo con le altre religioni. Lui non voleva che, come il XX secolo era stato marcato dalla guerra fredda est-ovest, il XXI fosse segnato dallo scontro tra cristianesimo e islam. Ha lavorato perché le religioni condannassero insieme la manipolazione del nome di Dio usata dal terrorismo. È stato il primo papa a proclamare un grande mea culpa per errori ed orrori nella storia della Chiesa. Bastano solo questi fatti per considerarlo, laica-mente, una grande personaggio storico.

FLORES D’ARCAIS: la grandezza storica di un personaggio prescinde dalle valutazioni positive o negative. Io considero Karol Wojtyla il più grande oscurantista del XX secolo. Un grande oscurantista può innescare anche degli effetti positivi, dal punto di vista di un progressista come me. È certo che la caduta del Muro di Berlino non sarebbe avvenuta con le stesse modalità e negli stessi tempi senza il papa polacco. Ma è l'unico effetto collaterale positivo del grande oscurantsimo di Giovanni Paolo II. Il nemico è l'illuminismo: questo è il filo rosso di tutta la sua predicazione . La presunzione, mostruosa secondo lui, che l'uomo prenda in mano il proprio destino prescindendo dall'obbedienza a Dio. Non si può imputare questa impostazione estremamente ortodossa a un papa. Ma il Concilio Vaticano II aveva segnato un elemento di assoluta novità, di apertura alla critica del mondo. L'annientamento della Teologia della liberazione non è uno degli elementi di un percorso contraddittorio, ma è parte della coerenza del pontefice. Dom. Franzoni è l'unico padre conciliare che ha testimoniato contro la beatificazione di Wojtyla: sostiene che Romero avrebbe potuto essere fatto cardinale. E non sarebbe mai stato ammazzato. Non sappiamo se è vero, ma certo sarebbe stata una bella sfida contro un potere che lo voleva morto. Il mea culpa sugli errori della Chiesa riguarda “peccati” ormai lontanissimi. Riconoscere, tra mille distinguo, che si è sbagliato con Galileo quattro secoli dopo è acqua fresca, quando contemporaneamente si difendono fino all'ultimo Maciel e i Legionari di Cristo. Le prime denunce, molto circostanziate, contro i Legionari risalgono a qualche anno prima dell'elezione di Wojtyla. Per 26 anni il papa respinge qualsiasi richiesta di intervenire. Schönborn ha raccontato che Ratzinger pose il problema. E spiega: vinse la Curia. Vinse perché Wojtyla così aveva deciso. E che dire del vescovo di Boston Bernard Law, che aveva coperto il più grande scandalo di pedofilia nella sua arcidiocesi? Fu insignito del titolo di Arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma! Aggiungiamo la santificazione di padre Escriva, cioè dell'Opus Dei e lo spazio crescente che viene concesso a Comunione e liberazione. Non dimentichiamo la santificazione di Pio IX, che condannò a morte due patrioti italiani e fu protagonista del caso Mortara: il bimbo ebreo rapito perché ricevesse un’educazione cattolica coatta. Mettendo insieme tutti questi elementi non si può dire che il suo sia un papato contraddittorio. Anzi è lineare, all’insegna della contrapposizione tra obbedienza alla legge di Dio e quel vero e proprio Satana che è la pretesa umana all’autonomia. In questo quadro abbiamo, è vero, lo straordinario effetto collaterale, liberatorio, della caduta dei regimi comunisti.

POLITI: Responsabilità, colpe, meriti di Giovanni Paolo II sono agli atti. Nella memoria popolare, quei tre milioni di persone che si sono messe in fila per vedere il suo corpo (ed erano in massima parte non praticanti), non attecchisce l’idea del papa oscurantista. Ha aperto nuovi orizzonti al cattolicesimo. Il rapporto con gli ebrei: riconosce Israele e chiude il capitolo dell’antisemitismo, recandosi al muro di Gerusalemme e facendo atto di pentimento per l’antigiudaismo secolare della Chiesa. Ha posto con forza la questione dei diritti sindacali sul finire del secolo XX, specie dopo la caduta del comunismo. La sua attività geopolitica non si esaurisce con la caduta del comunismo. L’autocritica sugli errori del passato non si è limitata a Galileo. Ha riconosciuto per la prima volta che la Chiesa non è infallibile come si era sempre presentata, in un’apologetica continua. Ha riconosciuto le responsabilità nelle crociate, nelle guerre di religione, la distruzione di Costantinopoli per mano dei cattolici. A differenza di altri papi, che spesso hanno fatto dichiarazioni sulla pace semplicemente esortative, lui sull’avventura di Bush in Iraq ha esercitato un’azione diplomatica continua, sistematica, per otto mesi. L’effetto fu che nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite il Messico e il Cile, paesi chiave per decidere la maggioranza, votarono no a Bush. America e Inghilterra non riuscirono ad avere il timbro dell’Onu sull’operazione in Iraq. Anche in Italia, dove il governo Berlusconi approvava – pur non partecipando all’operazione – la politica di Bush, e in tutta Europa la maggioranza della popolazione è stata chiaramente contraria alla guerra. Qui si è sentito il ruolo di Wojtyla. Anche se poi l’invasione è avvenuta, lui – come autorità morale – ha indicato che l’operazione era fallimentare perché avrebbe alimentato il fondamentalismo. Questi sono atti che rimangono sul piano storico. Altre responsabilità, indubitabili, non cancellano il resto. Una puntualizzazione, peraltro: non è credibile e non ci sono prove che Wojtyla, sapendo della vita pedofila di Maciel, lo abbia coscientemente protetto. Esistono forti indizi, compreso l’intervento di Schönborn, che il suo entourage gli abbia nascosto i fatti.

Guardiamo per un attimo il nostro Paese: che papa è stato Wojtyla per l’Italia?

POLITI: il suo ruolo è stato molto negativo. Ha appaltato la politica italiana al cardinale Ruini, che ha sconfitto quella parte della Chiesa che avrebbe voluto concentrarsi sulla missione religiosa. La gestione Ruini ha significato un totale livellamento, il soffocamento di qualsiasi voce di dissenso e riflessione critica nelle organizzazioni sociali cattoliche: dall’Azione cattolica alle Acli. Hanno perso la voce, si è creato un clima che lo storico Pietro Scoppola chiamava l’afasia dei cattolici. Ruini ha schierato la Chiesa nelle operazioni politiche più dannose per la crescita della società civile: l’astensione al referendum sulla fecondazione artificiale, il sabotaggio del tentativo del governo Prodi di varare una legge sulle coppie di fatto, la lotta al testamento biologico che ancor oggi blocca una legge esistente in altri paesi, perché la maggioranza berlusconiana appoggia comunque il Vaticano per coprire i propri abusi.

FLORES D’ARCAIS: Sottoscrivo tutto quello che ha detto Marco. Per Wojtyla le cose che contano davvero sono – per usare le sue stesse parole – le “strutture del peccato” che hanno l’incubazione nell’illuminismo e danno luogo ai vari versanti del fenomeno modernità. A lui interessa molto di più la questione testamento biologico o ricerca sulle staminali da impedire, rispetto a tutto il resto . E dunque ecco perché rimodella l’intero episcopato italiano: le chiese hanno rapporti con i governi in cui si privilegiano questi aspetti. Poi se questi stessi governi fanno mascalzonate incredibili su altri piani, conta meno. E allora si può sostenere Berlusconi in tutti i modi come si sostiene Pinochet. E si è cercato di ridurre al silenzio tutti i fermenti delle varie Chiese locali attivati dal Concilio. Non riesco a vedere elementi di grandezza in senso positivo. Sull’apertura all’ebraismo ricordo nuovamente la beatificazione di Pio IX: per un papa che ha parlato per simboli fu uno schiaffo alla comunità ebraica. I diritti sindacali furono riaffermati ma senza trarne nessuna conseguenza pratica, visto che in America latina tutte le forze della Chiesa coinvolte nella difesa dei diritti dei lavoratori erano quelle che sostenevano la Teologia della Liberazione. Rimane lo scontro con Bush sull’Iraq: non è una cosa da poco, ma è in chiave di preoccupazione per i diritti delle religioni. Wojtyla è il papa che propone alle altre religioni qualcosa di più che un dialogo, una santa alleanza: tutte le religioni unite contro la modernità. Viene fuori nel caso Rushdie: non ci fu condanna per la fatwa contro lo scrittore. Anzi si disse, in numerose occasioni compresi articoli sull’Osservatore Romano, che Rushdie non si doveva permettere di insultare dei fedeli, anche se la condanna a morte viene criticata.

Il miracolo di papa Wojtyla è stato trovato: quello della suora guarita. Ma ce n’erano altri pronti. Si è detto che la beatificazione è stata un’operazione di marketing religioso. D’accordo?

FLORES D’ARCAIS: La questione della santità riguarda la Chiesa dei fedeli. Un ateo come me non ha titolo né voce in capitolo. Può semplicemente parlare del papa come presenza mondana nelle vicende storiche e quindi anche del suo governo della Chiesa, in relazione alla società. Posso solo riportare quello che alcuni fedeli sostengono contro la santità, come dom. Franzoni e Hans Küng, il più autorevole teologo cattolico anche se oggi messo in mora dalla Chiesa. Ci sono anche gruppi ecclesiali di base che sono contrari a quest’operazione. La santità deve basarsi sulla pratica delle famose sette virtù, cardinali e teologali, in forma eroica. Questi autorevolissimi fedeli, punto per punto, demoliscono la teoria della santità. Franzoni considera l’impunità garantita a Marcinkus e l’azione per impedire l’accertamento della verità sul crac dell’Ambrosiano un venir meno alle virtù della prudenza e della fortezza. E imputa a Wojtyla di non aver ascoltato la chiesa dei fedeli su due questioni fondamentali: la presenza delle donne e il celibato dei preti. Sull’umanità di Wojtyla poi io starei attento: penso al caso Romero.

POLITI: La questione tecnica della beatificazione mi appassiona poco. M’interessa capire perché nella memoria popolare, vasta e trasversale, Wojtyla rimane come figura affascinante. Trovo comprensibile, anche per un pubblico che non sia cattolico, il fatto che venga posto come personalità cruciale tra il XX e il XXI secolo. La Storia è complessa, non è una foto in bianco e nero. Si può benissimo dire che Wojtyla sognava l’alleanza delle religioni per bloccare il diritto all’aborto e al tempo stesso riconoscere che lavorava per una collaborazione tra le religioni ai fini della pace e di uno sviluppo economico globalmente sostenibile. Questo è interessante. La beatificazione riguarda solo la Chiesa. Non credo però si tratti di marketing religioso. Corrisponde a un sentimento popolare. Qualcosa che va oltre il fenomeno mediatico. Giovanni Paolo II ha testimoniato una fede fortemente sentita. Ricordo che durante il suo viaggio in Terrasanta una poliziotta israeliana, evidentemente critica per quanto accaduto durante la Seconda guerra mondiale, mi disse: “La Chiesa cattolica non m’interessa affatto. Però questo è un uomo di Dio”. Anche i diversamente credenti sono rimasti colpiti dall’intensità del suo sentimento religioso, unito a una carica di umanità assolutamente tangibile. La memoria popolare giustamente seleziona. E’ assolutamente vero che lui considerava gli ultimi quattro secoli come ispirati da un programma anti-cristiano. Ma tantissimi cattolici sono illuministi nel loro quotidiano e poi apprezzano la capacità di Wojtyla di intrecciare una fede autentica alla sensibilità sociale. In Italia, per esempio, ha difeso l’unità del paese. L’ultimo suo messaggio è stata la volontà di non nascondere la sofferenza, di portarla all’esterno. Un messaggio al contempo religioso: la volontà di identificarsi con la Passione di Cristo. E laico: la riaffermazione che l’uomo sofferente ha una dignità e un suo ruolo. Infine, i messaggi “caro papà… caro nonno” diffusi al funerale rivelano che ha impersonato una figura paterna, oggi in crisi.

http://temi.repubblica.it/micromega-online/wojtyla-santo-pro-e-contro-confronto-tra-paolo-flores-darcais-e-marco-politi/
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