mercoledì 15 giugno 2011

Toh, la Chiesa ha fatto crac



Una diocesi slovena ha creato un buco per un miliardo di euro. Che il Vaticano non sa come ripianare. Una storia incredibile di investimenti sbagliati che ha fatto infuriare 
Ratzinger
C'è una piccola diocesi che da qualche settimana ha tolto il sonno alle notti di Papa Benedetto XVI. Una chiesa che custodisce un segreto che potrebbe travolgere il Vaticano. Stavolta non si tratta della curia americana o di quella irlandese, implicate negli scandali dei preti pedofili. Né di ecclesiastici italiani, finiti nelle inchieste dei magistrati sulla "cricca" capitanata da Angelo Balducci e sul presunto riciclaggio dello Ior scoperta da Bankitalia. La basilica che angoscia Joseph Ratzinger e i suoi uomini di fiducia, Tarcisio Bertone su tutti, è quella di Maribor, cittadina nel nord Slovenia famosa per ospitare una gara di slalom della coppa del Mondo di sci.
La città rischia, ora, di diventare celebre anche per uno dei più gravi crac finanziari della storia della Chiesa: l'arcidiocesi, oltre a pascolare le anime di poco più di 100 mila fedeli, si è infatti lanciata negli ultimi anni in investimenti quantomeno spericolati. Sarà stata l'incompetenza del vescovo (rimosso da poco), sarà stata la crisi economica mondiale unita a qualche colpo di sfortuna, fatto sta che la chiesetta e le società da lei controllate sono riuscite ad accumulare la bellezza di oltre 800 milioni di euro di debiti. Un buco mostruoso che attualmente nessuno è in grado di coprire: il rosso è pari al 2 per cento dell'intero prodotto interno lordo sloveno e, per fare un raffronto, è tre volte superiore alle entrate registrate nell'ultimo bilancio del Vaticano.
Il default è dunque molto probabile, e avrebbe pochi precedenti nella storia della Santa Sede. Sono in molti a tremare, a Roma e a Lubiana: perché l'esposizione pesa su varie banche, compresa Unicredit, e su circa 30 mila risparmiatori sloveni.
Ma come è stato possibile che una minuscola arcidiocesi abbia accumulato in una ventina d'anni debiti degni di una multinazionale? "L'espresso" ha consultato documenti riservati e parlato con autorevoli fonti slovene, che definiscono la situazione semplicemente "catastrofica". Andiamo con ordine, partendo dalla fine. Da quando a San Pietro s'accorgono dell'enormità del bubbone causato dalle avventure finanziarie del vescovo Franc Kramberger. La scoperta avviene quasi per caso, quando a fine 2007 una tv controllata dalla Chiesa slovena si mette a trasmettere programmi pornografici. Sui giornali locali scoppia il pandemonio. A Roma sono preoccupati, anche perché negli stessi giorni il vescovo di Maribor manda al Vaticano una strana richiesta: vuole essere autorizzato ad aprire due mutui da 5 milioni di euro l'uno.
Le gerarchie competenti iniziano a sentire puzza di bruciato, chiedono lumi al nunzio apostolico in Slovenia. L'ambasciatore del papa intuisce che dietro ai filmini hard che la tv dei preti usa per sbaragliare la concorrenza c'è altro, qualcuno inizia a sussurrare di esposizioni milionarie e investimenti folli. Monsignor Mauro Piacenza, allora segretario della Congregazione per il clero, comincia così a chiedere alla diocesi informazioni più dettagliate.
Prima sulla società di comunicazione T-2, quella che controlla la tv, poi su tutti i conti e le varie holding controllate dalla diocesi. Le risposte arrivano dopo mesi, omissive e incomprensibili: Piacenza avverte così Bertone e il papa si decide di spedire a Maribor un ispettore di fiducia per studiare le carte da vicino. Gianluca Piredda, esperto di bilanci, arriva in Slovenia all'inizio del 2010 con il titolo di "visitatore apostolico". Ci mette poco a capire che il dissesto dell'arcidiocesi è di proporzioni bibliche. Le sue conclusioni vengono spedite in un rapporto a Roma lo scorso ottobre. "L'espresso" è in grado di rivelarne il contenuto.
La piccola chiesa ha fatto il passo più lungo della gamba, creando un grande impero economico che ora traballa. L'avventura parte all'inizio degli anni Novanta, quando la diocesi di Maribor costituisce la banca Krek (in dieci anni diventa il decimo istituto del Paese, nel 2002 viene venduto) e una società commerciale (la Gospodarstvo Rast). Passa qualche anno, e nascono due holding per investimenti e business assortiti, la Zvon 1 e la Zvon 2, controllate a loro volta dalla Rast.
Le società comprano immobili, altre Spa, fanno ipoteche con le banche da cui si fanno prestare decine di milioni, decidono di investire non solo in finanziarie e aziende sicure, ma pure in settori tecnologici come le fibre ottiche e la telecomunicazione. Solo la holding Zvon 1 ha "investimenti a lungo termine pari a 416 milioni di euro" si legge nel rapporto conoscitivo "e debiti fuori bilancio pari a 524 milioni". Nulla è andato come previsto: "C'è la possibilità reale", conclude il dossier segreto "che tutte le società indicate vadano verso il fallimento. Le conseguenze sarebbero pesanti".
Tra i vari investimenti della chiesa slovena c'è di tutto: 94 milioni per le azioni della banca Abanka, 72 milioni per l'azienda Helios specializzata in materiali da costruzione, 13 milioni nella società di gestione Krek, 18,8 nella Petrol (energia, gas e petrolio), altri 22 nella misteriosa Cinkarna, il cui core business è la produzione e la distribuzione di "pigmenti di diossido di titanio". Ci sono anche aziende all'estero, in Croazia, come la Sole Orto, a cui sono stati girati 20 milioni di euro.
L'investimento "più critico", si legge, è proprio quello nella T-2 (120 milioni complessivi), una società che si definisce su Internet, senza modestia, "il Futuro". È controllata quasi al 100 per cento dalle due holding ecclesiastiche, e le sue attività si concentrano su servizi di telefonia, Internet e televisione veicolati ai clienti attraverso una rete in fibre ottiche costruita ad hoc.
"Il Futuro", però, non arriverà mai: tra passività finanziarie e per il completamento della rete servono ancora 200 milioni di euro, mentre i debiti a breve termine superano di nove volte le attività correnti. La società di consulenza Kpmg, che per conto del Vaticano ha fatto un'expertise, dà per perso oltre il 70 per cento del capitale investito: il valore stimato a giugno 2010 oscilla tra i 24,6 e i 28,6 milioni di euro. Un'inezia. "E in questo momento", spiega il tecnico del papa, "non c'è nessuno interessato all'acquisizione della T-2 che offrirebbe un importo più elevato".
Come in un domino, il crac potrebbe partire proprio da qui: a settembre 2010 la concorrente Telekom Slovenija ha presentato richiesta di fallimento della T-2, i conti bancari sono stati bloccati e il 2 gennaio 2011 il tribunale di Maribor ha accertato lo stato di insolvenza. L'azienda della Chiesa slovena ha ora 30 giorni per presentare un piano di ristrutturazione. Sarà difficile salvare la T-2, e a quel punto servirà un miracolo anche per salvare la Zvon 1. A catena, la sopravvivenza della sorella Zvon 2 (partecipata dal mercato per circa il 35 per cento, quota divisa tra circa 30 mila piccoli risparmiatori) è appesa a un filo: i debiti fuori bilancio, in questo caso, superano i 189 milioni di euro. Se fallissero le due holding, anche la capogruppo Gospodarstvo Rast non avrebbe scampo.

La situazione è drammatica e si è ingigantita negli anni, ma Ratzinger e la sua cerchia ne sarebbero al corrente - questo dicono fonti della Santa Sede - solo da pochi mesi. Piacenza e Bertone, dopo aver studiato il rapporto, sono saltati sulla sedia e hanno cercato di capire chi fossero i responsabili del mega dissesto. La prima testa a cadere è stata quella del vescovo, sostituito da monsignor Turnsek. L'altro co-autore del disastro è stato individuato nella figura del direttore dell'amministrazione economica della chiesa di Maribor, l'uomo d'affari Mirko Krasovec, economo della diocesi dal 1985.
"Credo fermamente che la nostra buona fede ci aiuterà a superare, nello spirito fraterno e con aiuto reciproco, anche questa prova", ha scritto Kravosec al Vaticano in una relazione prima di essere silurato. Non sappiamo se le preghiere serviranno a salvare la chiesa slovena, ma di certo la missiva descrive bene l'imperizia degli uomini del clero sloveno e dei loro collaboratori.
Per espandere "l'attività pastorale" e le "attività di carattere umanitario e caritatevole" e per aprire "nuovi istituti di istruzione" sono state fatte operazioni milionarie ingenue e poco prudenti. Affari andati avanti per lustri e lustri, senza mai che il Vaticano fosse avvertito: solo alla fine del 2007 fu richiesto il permesso per l'apertura dei due mutui. "Eppure la Santa Sede, per ogni operazione superiore al milione di euro, deve dare un'autorizzazione scritta", ragionano fonti vaticane.
L'economo, nella lettera, cade dalle nuvole: "Consideravo che l'approvazione non fosse necessaria... Si pensava che il limite era per i singoli prestiti, non per il debito cumulativo, e che tali limiti erano da considerarsi solo per la diocesi e non per le società di proprietà o collegate ad essa".
La linea difensiva del Vaticano, e di Bertone in particolare, si aggrapperà proprio al mancato rispetto delle regole: senza un via libera da Roma, tutte le operazioni della diocesi slovena - dice il Vaticano - sono da considerarsi irregolari dal punto di vista giuridico. In pratica i 30 mila risparmiatori, le banche e gli altri creditori non potranno rivalersi sullo Stato Pontificio: i contratti con la chiesa di Maribor verranno considerati carta straccia. Non sappiamo cosa decideranno i giudici fallimentari. Di sicuro chi ha investito nelle società del clero sloveno rischia di brutto. I piccoli investitori, in primis.
Ma anche istituti importanti: la Nova Ljubljanska Banka, prima banca della Slovenia con filiali anche in Italia, ha prestato per la creazione della televisione digitale coinvolta nello scandalo porno circa 85 milioni di euro, altre banche sono esposte per decine di milioni. Anche la chiesa di Maribor potrebbe perdere quasi tutte le sue proprietà e i beni dati in garanzia: se la Raiffeisen Banka per concedere tre prestiti ha ottenuto azioni, la cessazione di alcuni affitti di uffici di proprietà del clero, terreni e appartamenti, Unicredit ha prestato alla chiesetta 11,2 milioni, e come pegno ha avuto - oltre ad azioni della holding Zvon 1 - l'ipoteca sullo stupendo monastero di Studenice del XIII secolo e su un laboratorio di organi musicali. Chissà se dopo un simile crac il Vaticano deciderà di cambiare musica, con controlli più stringenti sui vescovi e preti che s'improvvisano finanzieri d'assalto. 

di Emiliano Fittipaldi – L’Espresso – 21 gennaio 2011
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