martedì 21 giugno 2011

Soldi e segreti, il caso Orlandi la pista della vendetta anti Ior


IL CASO LA BANDA DELLA MAGLIANA E IL RUOLO NEL SEQUESTRO DI «RENATINO» DE PEDIS, IL BOSS SEPOLTO NEI SOTTERRANEI DELLA BASILICA DI SANT' APOLLINARE

Il movente del rapimento nel racconto di due pentiti
ROMA - Quando arrivò in Italia dal Venezuela dove l' avevano arrestato, e poco dopo si venne a sapere che era diventato un pentito, qualcuno lo chiamò il «Buscetta della Magliana». All' anagrafe era Maurizio Abbatino, i compagni d' avventura lo chiamavano «Crispino» per via dei capelli ricci e increspati, ed era uno dei capi della gang criminale romana che si radunò intorna alla figura di Franco Giuseppucci detto «er negro», rapinatore con un occhio solo ma dal grande fascino, assassinato per un regolamento di conti in una piazza di Trastevere, nel settembre 1980. Accanto al nucleo originale della banda crebbe come figura e come ruolo Enrico «Renatino» De Pedis, a sua volta ucciso nel centro di Roma nel febbraio 1990, del quale Abbatino ha molto parlato nei suoi interrogatori.
Senza mai dire, prima del dicembre scorso, che aveva avuto un ruolo nel sequestro di Emanuela Orlandi. Solo tre mesi fa, quando l' hanno convocato i pubblici ministeri che hanno riaperto l' inchiesta sul rapimento della quindicenne cittadina del Vaticano, scomparsa il pomeriggio del 22 giugno 1983, ha svelato quel che aveva taciuto prima. Assieme alla sua fonte. «A organizzare il sequestro fu "Renatino" De Pedis, per come mi disse Claudio Sicilia», cioè un altro pentito della banda che rese decine di interrogatori fra l' 86 e l' 87, ma i giudici non ritennero che sulle sue dichiarazioni si potesse condannare qualcuno. Le assoluzioni non bastarono a salvargli la pelle e poco dopo che anche lui tornò libero, un killer lo tolse dalla circolazione con quattro colpi di pistola. Dunque Sicilia confidò ad Abbatino, secondo quello che «Crispino» racconta solo oggi, che De Pedis sequestrò Emanuela. Perché non lo disse nel 1992, quando avviò la sua collaborazione della giustizia? «Perché nessuno me l' ha chiesto», ha risposto Abbatino, aggiungendo di aver capito che su certi fatti (o presunti tali) sarebbe stato meglio per lui tacere; uno di questi erano gli agganci tra banditi della Magliana e alti prelati, un altro il caso di quella ragazzina rapita. Adesso invece ha parlato. Sicilia, chiamato «il vesuviano» per le sue origini campane, è una fonte importante. Fu il primo pentito a parlare dell' assassinio di Roberto Calvi, il presidente del Banco Ambrosiano trovato impiccato a Londra - sotto un ponte sul Tamigi, in un suicidio simulato - nel giugno 1982. Disse che era un delitto dove c' entrava la fazione della camorra più vicina alla Cosa Nostra siciliana, e aveva come movente un investimento di soldi mafiosi andato male. Ipotesi che ancora oggi - a 28 anni dall' omicidio - viene sostenuta dall' accusa in un processo d' appello, dopo le assoluzioni di primo grado. Nelle fluviali dichiarazioni di Sicilia, rese quando De Pedis era ancora vivo, non c' è traccia del sequestro Orlandi né dell' ipotetico ruolo di Renatino; se è vero quello che oggi narra Abbatino, anche lui deve aver pensato che era poco prudente parlare di questioni che riguardavano il Vaticano e le sue finanze. Perché il movente del sequestro, secondo Abbatino e secondo l' altro pentito Antonio Mancini chiamato «Accattone», è di tipo economico. Alcuni boss della Magliana come lo stesso De Pedis e Danilo Abbruciati, i cosiddetti «testaccini» della banda, avevano investito dei soldi nello Ior, la banca della Santa Sede. Nel 1983 li rivolevano indietro, ma evidentemente faticavano a incassare quanto gli era dovuto, e così s' inventarono quello strumento di pressione. «L' alternativa era fà ritrovà ' na berretta rossa o viola per terra», ha spiegato col suo linguaggio colorito Antonio Mancini, per dire che l' altra possibilità era l' omicidio di un vescovo o un cardinale, un po' troppo «rumorosa» anche per criminali con pochi scrupoli come quelli della Magliana. Così avrebbero ripiegato sul sequestro della ragazza. L' «accattone» dice di aver sentito parlare del ruolo di De Pedis in questa vicenda, ma senza indicare la provenienza precisa della voce. «Si diceva», e basta. Così come degli investimenti particolari dei «testaccini», che però hanno qualche riscontro in altri fatti di sangue. Due mesi prima dell' omicidio di Roberto Calvi - che pure trafficava con lo Ior, e alla vigilia della morte aveva scritto una lettera al papa polacco Giovanni Paolo II per cercare una via d' uscita ai suoi guai finanziari - fu ferito a Milano il vice-presidente dell' Ambrosiano, Roberto Rosone. L' agguato andò male, e uno dei sicari rimase fulminato dai colpi sparati da una guardia giurata: era Danilo Abbruciati, amico di «Renatino», in trasferta da Roma per sparare al banchiere. Un attentato su commissione, si disse all' epoca, ma che con le ultime testimonianze dei pentiti assume un' altra lettura. Anche quello era un modo per sollecitare chi aveva un gestione una parte dei loro soldi. In ogni caso, fu un episodio che sancì la rottura tra ciò che restava della componente originaria della banda della Magliana e il gruppo di De Pedis. «Considerammo non più affidabili i "testaccini" - spiegò Abbatino in un verbale degli anni Novanta - in quanto propensi a strumentalizzare per fini personali l' intera organizzazione, senza neppure rendere conto di iniziative che mettevano in pericolo la nostra attività. Conseguentemente adottammo la decisione di eliminarli quando se ne fosse data l' opportunità». È un ragionamento che potrebbe valere anche per il sequestro di Emanuela Orlandi, avvenuto un anno dopo, quando ormai la banda si stava disgregando e ognuno si muoveva per conto proprio; guardandosi le spalle per evitare di finire ammazzato. E muoversi intorno al luogo dove la ragazza andava a lezione di musica, l' edificio di Sant' Apollinare, non era un problema per gli uomini di De Pedis. Il rettore della basilica, don Piero Vergari, era un amico di «Renatino», conosciuto nel carcere di Regina Coeli dove il sacerdote si recava come volontario per aiutare il cappellano durante la detenzione del bandito. Da indagini e fonti confidenziali, sembra che alcuni giovani seminaristi che il prete accoglieva nei locali della basilica andassero a mangiare nelle cucine di un ristorante romano di De Pedis. Dopo l' omicidio di «Renatino», fu proprio don Vergari ad adoperarsi con il cardinale Poletti, vescovo vicario di Roma, per ottenere che la salma di De Pedis, assassinato mentre percorreva in motorino una strada vicino a Campo de' fiori, fosse tolta dal cimitero del Verano e sepolta nei sotterranei di Sant' Apollinare. La realizzazione di un antico desiderio espresso in vita da De Pedis, «grande benefattore dei poveri che frequentano la basilica», fu la giustificazione ufficiale messa per iscritto dal monsignore. I lavori di realizzazione della tomba costarono circa 37 milioni di lire, «e furono eseguiti da una ditta di fiducia del Vaticano», raccontò la vedova De Pedis agli investigatori. Oggi i magistrati che indagano sul sequestro di Emanuela Orlandi hanno ripreso gli accertamenti anche sulla vicenda di una sepoltura tanto nobile quanto inusuale per uno dei leader della banda della Magliana. Nell' ipotesi, considerata attendibile, che sia un capitolo della stessa storia in cui s' intrecciano preti, banditi, finanze vaticane e altri segreti ancora da svelare. Giovanni Bianconi (2-fine) RIPRODUZIONE RISERVATA La vicenda Il rapimento Emanuela Orlandi, figlia di un dipendente della Santa Sede, scompare a Roma il 22 giugno 1983 all' età di 15 anni. Non è mai stata ritrovata La confessione Sul sequestro c' è una «confessione» di Sergio Virtù, autista di Enrico De Pedis della banda della Magliana, artefice del rapimento. Virtù, al telefono con un' amica ungherese avrebbe detto: «L' ho fatto per soldi e non mi pento». L' uomo nega. Altri due gli indagati: Angelo Cassani, detto «Ciletto» e Gianfranco Cerboni, chiamato «Gigetto»
http://archiviostorico.corriere.it/2010/marzo/14/Soldi_segreti_caso_Orlandi_pista_co_8_100314040.shtml
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