Arrivati a questo punto e potendo continuare all' infinito, ci si deve chiedere e si deve poter rispondere con sincerità, almeno con se stessi, che cos'è la superstizione. Il gatto nero che ci attraversa la strada ? o tutte quelle sciocchezze alle quali diciamo che non sono vere ma ... non costano niente. Oppure questo è il modo per sviare l' attenzione sulla grande superstizione che ci sovrasta e non ci rende liberi ? Non serve che dica quale. Le persone accorte e, per fortuna ve ne sono molte con mente eccellenti, sanno bene di cosa parlo.
Un cenno almeno, a questo punto, lo meritano i miracoli e le reliquie. Fanno parte del patrimonio della fede. Le due cose non sono mai completamente ammesse (il culto delle reliquie, derivante dalle onoranze per i defunti, è oggi raccomandato ma non imposto dalla Chiesa. Il Concilio di Trento nella sua venticinquesima sessione lo emendò dagli eccessi e il Concilio Vaticano II così si espresse: La Chiesa, secondo la sua tradizione, venera i Santi, le loro reliquie autentiche e le loro immagini)
ma restano nel sottofondo fantastico e misterioso che è il vero fondamento della Chiesa. Prima di accennare ai miracoli riporto un elenco di reliquie che di per sé dovrebbero spiegare bene cosa è superstizione.
In Svizzera, a Sciaffusa, è conservato il fiato di San Giuseppe rilasciato sul guanto di Nicodemo.
San Biagio ha, come reliquie, sei braccia, mentre San Vincenzo e Santa Tecla ne hanno nove ciascuno. Sta meglio San Filippo che ne ha diciassette anche se è superato da San Giacomo che ne ha diciotto. Sant'Agata ha sei mammelle mentre San Giovanni venti mascelle. San Bartolomeo ha nove mani con tutte le dita.
Gesù è ben rappresentato in sette chiese, ciascuna delle quali conserva un suo prepuzio (sarebbe facile ironizzare ma abbiamo rispetto per i credenti). Il suo sangue è conservato in ampolle a La Rochelle, a Mantova, a Roma, ... Dovunque, in Europa, si trovano altre reliquie di Gesù, alcune delle quali ripetute: il panno che lo avvolgeva, la camicetta da neonato, la mangiatoia in cui giacque, l'intero altare su cui fu posto quando fu presentato al tempio, il ramoscello d'ulivo che agitava quando entrò in Gerusalemme, la sua barba, l'ombelico, , le lacrime versate alla morte di Lazzaro, un poco di terra che calpestò quando resuscitò Lazzaro. Grande importanza riveste la reliquia di una pietra con l'impronta del piede di Gesù lasciata quando prese lo slancio (principio di azione e reazione) per elevarsi al Cielo lasciando evidentemente l'impronta dell'atto. I vasi delle nozze di Cana sono dappertutto ma c'è chi ha anche alcuni pani moltiplicati in quella occasione. Si ha il tavolo su cui Gesù ed Apostoli fecero l'Ultima Cena, un pezzo di pane avanzato, il coltello con cui Gesù tagliò l'agnello pasquale ed un piatto in cui fu mangiato. Un cervello di S. Giovanni è nell'abbazia di Tiron, un altro a Nogent-le Rotrou. Un orecchio sta a Parigi, un altro a Saint Flour e un altro ancora a Praga. Si ricordano inoltre una quarantina di altre teste che non possiamo indicare esattamente con sicurezza. Papa Urbano VI fece mozzare la testa di Santa Caterina nel 1381 per portarla a Roma come reliquia (ma della santa esistono vari pezzi di corpo in giro per l'Italia). Anche di Sant'Agata fu mozzata la testa per farne una reliquia (su questa santa vi è anche la contesa tra due città, Gallipoli e Galatina, di una mammella che fu trovata dal vescovo di Gallipoli nella bocca di un bambino !). Roma dispone della colonna che servì d'appoggio a Gesù quando sferzò i mercanti nel tempio. Pezzi di legno provenienti dalla croce sulla quale Gesù morì sono in quantità industriale, come i chiodi che crocifissero Gesù del resto. Si ha anche la finestrella di marmo attraverso la quale entrò l'Arcangelo Gabriele ad annunciare la lieta novella a Maria(21).
Su questa vicenda delle reliquie vi sono alcune cose da dire.
Nel XIV secolo, quando era all'opera il terribile inquisitore Bernard Gui, le reliquie erano normali amuleti ufficialmente ammessi dalla Chiesa. La stessa Chiesa confezionava pezzi di corpo di un qualche santo dentro un gioiello e lo vendeva ai potenti. La reliquia serviva a tenere lontane malattie ed ingiustizie. Una tibia di San Pietro come una zampa di coniglio. Ma le reliquie erano portate con sé dai monaci e dai preti guaritori. Venivano tirate fuori e mostrate nel segno della croce a persone sofferenti per curarle. Sui risultati, a parte un qualche effetto dovuto alla suggestione, non si hanno riscontri (che invece si hanno sui miracoli di Lourdes come dirò più oltre). Le reliquie erano comunque una sorta di lasciapassare salvifico rispetto ad ogni calamità. Più erano grandi più sarebbero risultate efficaci. Allo stesso modo l'efficacia era proporzionata all'importanza del santo.
Si può immaginare che ai primordi del Cristianesimo qualche cristiano prendesse qualche oggetto appartenuto ai maestri venerabili, Gesù e qualche apostolo di rilievo. Certamente abiti ed altri oggetti di qualche martire (debbo dire che i martiri furono molto pochi e contabili. Lo testimonia uno dei Padri della Chiesa, Origene che non fu fatto santo per aver svelato questo segreto. Origine scrisse che il numero dei martiri fu piccolo e facilmente contabile. Drews in un ampio ed approfonditissimo studio ha calcolato che il numero complessivo dei martiri durante tutti gli anni delle persecuzioni non supera il numero di 1500 in tutto). Questi oggetti erano poi rimasti come importanti documenti di carattere familiare e nessuno avrebbe pensato a venderli. Il vero e proprio commercio di reliquie iniziò con le manie di quella donna nota come Sant'Elena, madre di Costantino il Grande. Per quel poco che si sa ed è raccontato da Sant'Ambrogio (340-397), questa donna era la stabularia (stalliera o locandiera o baldracca che intratteneva i viandanti) di una taverna della Bitinia (attuale Turchia). Il generale romano Costanzo Cloro, al seguito dell'Imperatore Aureliano, giacque con lei e se la portò dietro per poi sposarsi con altra donna. Dal concubinaggio di Costanzo con Elena, nacque Costantino (272) che fu proclamato imperatore nel 306. Elena, convertitasi al cristianesimo (versione eretica, cioè ariana), fece un pellegrinaggio in Terra Santa nel 327 e 328. Da tale viaggio tornò piena di reliquie dei personaggi più famosi dell'inizio della Cristianità (era accompagnata dal cristiano del luogo Macario e, si racconta che, scavando sul Golgota, trovò tre pezzi di legno della Santa Croce, un chiodo, due spine della Corona e l' intero braccio della corona del Buon Ladrone). Per capire cosa ciò significhi, si pensi ad una ricca madre di imperatore che, 300 (TRECENTO !) anni dopo lo svolgersi dei fatti, si reca in quei luoghi per raccogliere ciò che fosse possibile. Viene da pensare che fu bellamente ed astutamente truffata (pensate che trasse come reliquie delle gocce di latte di Maria cadute mentre allattava Gesù!) e che riportò a Roma (dove poco dopo morì) pacchi di cianfrusaglie. Poiché questi oggetti furono portati dalla madre dell'imperatore furono subito accreditati e conservati. Ma, dato il clamore dell'episodio, si capì che poteva iniziare un commercio di reliquie (inizialmente) tra Terra Santa ed Europa. La cosa si estese enormemente con le Crociate quando ogni povero soldato riportava qualche cosa da poter spacciare e rivendere come reliquia. Dalla stessa Costantinopoli arrivarono quantità industriali di reliquie. Lo stesso Re Baldovino II di Costantinopoli ripianò il grave deficit dello Stato vendendo al Re Luigi IX di Francia molte reliquie. Nel frattempo iniziarono ad essere raccolte le reliquie dei santi martiri, dei santi e così via, fino a farne vere e proprie montagne. Si pensi solo che di Santa Teresa d'Avila esistono oltre trecento reliquie del corpo: ciò vuol solo dire che, se sono vere, il povero cadavere deve essere passato ad una dissezione in macelleria!. Il Vescovo Vitricio di Rouen affermò che non vi era nessun male a suddividere le reliquie in pezzi sempre più piccoli in modo che tutti potessero usufruirne visto che in ogni minimo pezzo risiede la stessa forza che nell'unità intera. Per far fronte alla scarsità di reliquie si iniziarono ad individuare frati in odore di santità ed a "promuoverli" come tali per depredare poi tutti i loro averi e farne commercio. Naturalmente la prima cosa che era sottratta era il cadavere medesimo. Questo cadavere veniva poi suddiviso in tanti pezzi per accontentare tutti i vari postulanti. Vi erano poi furti e commerci illeciti. Anche la corruzione intervenne ai massimi livelli per fare santi strani ed oscuri personaggi. Un "cacciatore" famoso di reliquie fu Sant'Ambrogio (IV secolo), anticipando il carattere commerciale ed imprenditoriale della città di Milano. E tutto questo fino a quando non si autorizzò da parte del Papa la "replica" delle reliquie, la costruzione cioè di copie che dovevano però prima essere messe in contatto con l'originale per avere la loro efficacia.
Il conte Rodolfo di Pfullendorf (XII secolo) aveva fatto raccolta di reliquie dei patriarchi biblici e sosteneva che gli avevano portato pace, stabilità economica, tempo buono e fertilità. Tra le reliquie si considerava anche qual cosa che può sembrare estraneo: la cera prelevata sulla tomba di San Martino di Tours se spalmata su un albero vicino alla vigna, la proteggeva dalla grandine. Non c'era cosa migliore che una reliquia portata in battaglia contro gli infedeli per vincerla. In pratica un pezzo del corpo o di qualcosa appartenuto ad un santo intercedeva presso il santo vero che si trovava in cielo per una certa causa. Le reliquie quindi non dovevano essere considerate come un qualcosa che avesse un potere in sé. Ma questa osservazione, importante, non distingue le reliquie dai talismani di Marsilio Ficino. Secondo la magia ermetica, dalle stelle provengono sulla Terra degli influssi che sono in grado di condizionare fatti ed avvenimenti, se si è capaci di indirizzare tali influssi in modo opportuno si può modificare la propria fortuna ed il proprio destino. Quei pochi che erano in grado di farlo erano i maghi che pian piano divennero ricercatissimi (e ne è riprova l'elevato numero di edizioni di opere magiche e di loro riedizioni che si ebbero durante il Rinascimento e fin molto dentro l'età Barocca). Come si poteva "comunicare" con i cieli ? Si erano costruite delle corrispondenze tra pianeti (o cieli) e pietre, metalli, animali, piante. Con questi strumenti si aveva una prima chiave di comunicazione. Occorreva poi conoscere il modo migliore per rappresentare qui in Terra quel dato cielo (o pianeta): se si doveva fare un talismano che rappresentava il dato pianeta occorreva farlo di quel materiale e non di un altro ed inoltre vi erano epoche dell'anno astrologicamente propizie alla costruzione di un tale oggetto ed altre no. La trasmittente ed il ricettore erano quindi a punto. Nel momento astrologicamente propizio quel talismano catturava l'effluvio delle stelle e lo tratteneva. Tale "conserva" veniva poi utilizzata dove e come si voleva. In definitiva un qualcosa di meno orrendo di tibie e teschi (necrofilia ?).
Ficino era medico di famiglia di medici. Ciò va sottolineato in modo speciale perché la medicina, la cura delle malattie, era il momento di maggiore contatto dell'uomo con la divinità. Quando la medicina, che curava il corpo fisico e spirituale, era affidata a Galeno, ad effluvi e influenze esterne al corpo, quando lo stesso corpo condizionava il suo essere a situazioni astrali, la magia, l'astrologia e, per quel che abbiamo detto, l'alchimia erano strettamente connesse con la medicina. Il mago, con Hermes, colui che ha la capacità di evocare le potenze celesti per indirizzarle al fine di curare spirito e corpo di una persona. Nei suoi scritti vi è una strenua difesa della magia che non può in alcun caso essere intesa come buona o cattiva, bianca o nera, ma solo come ricerca di conoscenza e verità, la magia è del sapiens, del sacerdos. Nonostante ciò (o forse proprio per ciò) Ficino crede nei talismani che possono raccogliere dentro di loro gli effluvi del cielo, effluvi che il mago-medico saprà indirizzare verso la cura del suo paziente. Questi talismani dovranno essere costruiti solo dai conoscitori dei misteri del mondo, dagli iniziati ad essi da coloro che sapranno trasferire al malato l'anima mundi. Il talismano acquista qui il senso del dare vita alle statue che era degli egiziani, l'infondere un'anima divina a della materia bruta che deve però avere caratteristiche che la colleghino al cielo appropriato. È una evocazione dei daemon che dovrebbero porsi in contatto con l'uomo, daemon che, nella versione originale, sono angeli che possono essere chiamati dall'uomo in cerimonie che Ficino assimila a quelle cristiane, come quelle della messa.
Finalmente, nel XVI secolo, grazie anche all'interesse suscitato da S. Filippo Neri, negli antichi cimiteri cristiani vennero riprese le ricerche di reliquie. Si riesumarono "corpi santi", "martiri inventi" che venivano trasferiti nelle chiese della città. Il ritrovamento nei loculi di semplici balsamari o d'epitaffi recanti simboli di fede erano sufficienti, per la metodica dell'epoca, come prova dell'avvenuto martirio.
Oltre a ciò, sappiamo che la stessa Roma, a partire dall'VIII secolo, divenne una vera e propria fabbrica di reliquie da vendere ai pellegrini.. Sappiamo di un diacono, Deusdona, che andava in giro per tutti i cimiteri a raccogliere braccia, gambe, piedi, crani, mascelle e fors'anche prepuzi per poi venderli a peso d'oro come reliquie di santi magari venerate in una chiesa del Nord o del Sud d'Italia. Deusdona truffò anche il biografo di Carlo Magno, Eginardo, vendendogli le reliquie di San Pietro e San Marcello.
Tra le reliquie ve ne è una mitica, mai trovata: il Santo Graal (la coppa in cui bevve Gesù nell'Ultima Cena). Ve ne è un'altra, una comprovata bufala, che viene venerata a Torino: la Sacra Sindone (il sudario di Gesù).
Assimilabili alle reliquie sono le immagini dei santi, vero ritorno all'idolatria. Per comprendere l'uso di tali immagini, simile a quello delle reliquie, sono utili dei racconti di Jacopo da Varazze o Varagine (1228-1298) nella sua Legenda aurea (che contiene circa 150 vite di santi) della seconda metà del XIII secolo. In esso compaiono le vicende di due statue, una di San Nicola e l'altra della Vergine e così lo riassume Schmitt:
Un ebreo fa scolpire una statua di san Nicola, a cui affida la custodia dei suoi beni; ma, mentre lui è assente, i ladri gli portano via tutto ciò che ha, a eccezione della statua. Su tutte le furie, l'ebreo copre il santo di rimproveri, e alla statua vibra una gragnuola di colpi violenti. Ma, nel momento in cui i ladri si dividono il bottino, vedono apparire san Nicola che, mostrando le tracce dei colpi ricevuti, li persuade a rendere il bottino stesso.
Nel secondo racconto, una donna il cui figlio è stato catturato da nemici, rimprovera alla Vergine, rivolgendosi alla sua statua, di non averlo protetto nonostante la devozione che essa le tributa. Decide pertanto di prendere in ostaggio il bambino Gesù: «Fattasi più vicina e portandosi via la statua del bambino che la Vergine teneva in grembo, se ne andò a casa, ravvolse l'immagine del bimbetto in un candido pannolino e lo nascose in un armadio che chiuse accuratamente a chiave, contenta di avere, al posto del figlio, un buon ostaggio».
La Vergine, costretta ad agire (sic !), la notte dopo, appare al figlio prigioniero e gli apre la porta della prigione dicendogli: «Figlio mio, dirai a tua madre di rendermi mio Figlio, poiché io le ho reso il suo». Avendo ottenuto ciò che voleva, la donna restituì il bambino Gesù alla statua della Vergine.
Questo racconto di sostituzione di bambini non manca di richiamare alla mente la credenza e i riti relativi agli «changelins», di cui testimoniano per l'epoca i predicatori Giacomo di Vitry e Stefano di Bourbon: per spiegare la malattia di un bambino, accadeva ai contadini di sospettare gli spiriti della foresta di aver sostituito un bambino gracile e abitato dai demoni [changelin] a un bambino sano. Un rito doveva costringere questi spiriti a riprendere il bambino gracile e a restituire il bambino rubato. Vedremo come i chierici abbiano creduto di scorgere in questo rito tutti i segni di un culto diabolico.
Nel caso della statua della Vergine col bambino, Jacopo da Varazze, al contrario, non pensa nemmeno per un momento che si tratti di «superstizione». Il genere agiografico e il suo elemento prodigioso spiegano quest'apparente tolleranza sia pure in coincidenza col fatto che l' «umiliazione dei santi» e delle loro immagini, anche nelle chiese, non era più ammessa. Nel 1274 il Concilio ecumenico II di Lione condannava come «abuso e orribile mancanza di devozione» la consuetudine di deporre sul suolo e coprire di spine la croce e le immagini o le statue della Vergine o degli altri santi.
Visto l'abbondare delle agiografie la stessa Chiesa si pose il problema cercando, senza successo, di arginarlo. In proposito scrive ancora Schmitt:
La selezione draconiana a cui la Chiesa sottopose i candidati alla santità si precisa all'inizio del i secolo XII nel Trattato delle reliquie del monaco. Guiberto di Nogent che si dedica a una serrata critica delle tradizioni agiografiche. Non risparmia i monaci che, per ignoranza o per avidità, pretendono di conservare delle reliquie del Cristo: quelli di Saint-Médard di Soissons affermano di possederne una, un dente di latte; altri dicono di possedere del pane masticato dal Signore ... Ma la vera, la sola reliquia del Cristo non è di questa natura: secondo l'espressione dello stesso Gesù, ricordata da Guiberto, essa è di natura relativa al sacramento dell'eucaristia, è l'ostia consacrata. Anche i laici sono pronti a riconoscere santi da ogni parte: essendo morto due giorni prima di Pasqua, il figlio di un cavaliere fu venerato come santo dai contadini dei dintorni, che cominciarono a tributargli un culto, a edificare una tomba, a portarvi i malati. .. Tutti, nota Guiberto, e in particolare le donne d'età, vogliono un santo patrono da venerare: e il clero, quando non cade nell'inganno, sta zitto!. ..
Ma questa sete confusionaria di santità non dimostra forse che l'opera di cristianizzazione è riuscita? Gli uomini più «superstiziosi» sono dei cristiani patentati; non è più l'epoca della conversione dei pagani. Invece, ciò che ora la gerarchia teme di più, talvolta presso certi chierici, ma soprattutto nel gregge dei fedeli quando è abbandonato a se stesso, è l'oggetto sbagliato della devozione e l'assenza di garanzia, di segni di autenticazione del culto. Fino alla fine del Medioevo, e anche molto dopo, l'autorità ecclesiastica scoprirà con stupefazione, in occasione di una visita pastorale o di un'inquisizione, casi di culti «selvaggi» per santi locali di cui era proprio la sola a scandalizzarsi.
Si dirà che vi è una grande differenza tra il credere che un caprone, un gatto o un bruco siano segni di sventura e l'essere convinti che la testa di Santa Caterina porti bene. Resta il fatto che si tratta esattamente dello stesso fenomeno.
Riguardo ai miracoli, poiché siamo in ambito sfuggente, è possibile solo parlare di qualcosa che si è studiato, come i miracoli della Madonna di Lourdes.
Intanto si può ritornare alle origini del Cristianesimo per capire come, all'epoca, era considerato il miracolo. Ebbene, la pratica dei miracoli era estremamente diffusa. Moltissimi saggi, profeti e maghi, convincevano della bontà delle loro prediche con una trafila di miracoli, veri e propri giochi di prestigio. I primi cristiani lo sapevano bene e non tentarono la concorrenza sul piano dei prodigi ma su un piano differente: mentre la magia è opera del demonio, i miracoli sono opera di Dio. Dietro questa innocua ed apparentemente sciocca affermazione vi è molta teologia: da una parte vi è la verità del cristiano che, solo lui, è in grado di giudicare cosa è miracolo e cosa magia e dall'altra parte vi è la condanna di chi non è cristiano che venera dei falsi.
I miracoli dei quali la Chiesa si fa sommo vanto sono pratiche conosciute in tutte le religioni. Solo per un fatto semantico assumono un nome diverso da magia. I demoni erano potentissimi, sapevano moltissime cose, realizzavano prodigi impressionanti. A loro si rivolgeva la credulità popolare come affermazione della loro esistenza. I prodigi della cristianità dovevano risultare ben maggiori ed in qualità ed in quantità. Per essi servivano anche le mediazioni dei santi e, perché no, dei martiri. Tutto per maggior gloria di una divinità superiore a tutte le altre. Questa posizione cristiana, che sarà soprattutto di Agostino, è un poco l'origine di una Chiesa che opera contro le attività razionali dell'uomo, contro quella scienza che era stata sviluppata dal mondo precristiano e quindi al di fuori del mondo salvato dal dio fattosi uomo e che veniva associata alla magia.
In linea di principio quindi la cristianità rifiuta la magia ma ne afferma un'altra, più potente, quella del suo dio. E per portare miracoli a suo sostegno ricorre abbondantemente a tutta la tradizione miracolistica precristiana. prelevata dalle più varie religioni. Non vi è un solo miracolo di Gesù nei Vangeli che non sia già descritto in altre religioni precristiane. Buddha cammina sulle acque 500 anni prima di Cristo. Il placare le tempeste era di Asclepio e Serapide. A Babilonia vi era la professione di resuscitatore di morti. Anche Asclepio era famoso per questa sua attività. In India si moltiplicava il cibo. Anche il risorgere dopo tre giorni era di varie divinità (Osiride, Attis,...). L'intera storia di Gesù è storia di molteplici salvatori dell'umanità che nascono poveri in una mangiatoia figli di una vergine, fino all'adolescenza vivono in silenzio, poi intorno ai trent'anni iniziano a fare miracoli ed a predicare, sono tentati dal demonio, moriranno tra le sofferenze per salvare l'umanità. In tutto l'arco di una vita ripetuta ci si sofferma su quegli aspetti magici di cui si diceva. Senza di essi resterebbe una persona che in nessun caso sarebbe stata presa sul serio.
Quando però si parla di miracoli non ci si sofferma su molti di essi. Il cane che parla, il cammello che più volte viene fatto passare attraverso la cruna di un ago, il tonno secco che viene rimesso in mare e nuota vispo e felice. Ma anche su cose più gravi si costruisce un qualcosa che nessun dio oggi oserebbe proporre: San Lorenzo che sulla graticola parla tranquillo di filosofia, martiri dal cui sangue prendono il volo delle rondini, San Romano che mezzo bruciato declama 260 versi contro il paganesimo (aggiungendone cento dopo che gli hanno strappato la lingua), San Ponziano che cammina tranquillo sui carboni ardenti, viene torturato senza effetto, viene cosparso di piombo bollente da cui esce illeso ma che, per colmo di sfortuna, si fa trafiggere da una spada ...
Perché questi riferimenti a miracoli ? Perché essi rappresentano fatti magici, magari classificabili nella magia bianca, quella che non crea danni agli altri, ma certamente di magia si tratta. E qui siamo nello stesso caso delle reliquie. In linea di principio queste cose vengono rifiutate quando sono "gli altri" a farsene portatori, ma poi, vista "la richiesta" di tali cose da parte dei fedeli, cambiando semplicemente dei nomi si praticano le stesse cose. Il filatterio, capsula di cuoio contenente la reliquia che si appendeva al collo sostituisce perfettamente l'amuleto che era di uso comune portare appeso al collo.
Già abbiamo accennato all'origine prima dell'attecchire di tali credenze, magie e superstizioni. La vita dell'uomo era estremamente precaria. Due fattori la mettevano a rischio quotidianamente, la fame e le malattie. La fame era conseguenza di quelle carestie che spesso dipendevano da fattori climatici (da qui l'intersezione della magia con l'astrologia pubblica che doveva in qualche modo prevedere i tempi ed i momenti propizi a determinate pratiche agricole). La scarsezza di alimenti, insieme alla povertà che portava a carenze igieniche, era poi alla base della fragilità dell'uomo rispetto alle malattie, alle epidemie, alle pestilenze (spesso accompagnate da guerre). In tale situazione il sogno comune erano luoghi dove vi fosse abbondanza di cibo e dove fosse inesistente la malattia E coloro che promettevano mondi siffatti erano quelli che parlavano di vita eterna, di paradisi, di Eden dispensando di tanto in tanto qualche miracolo che alleviava momentaneamente la condizione di vita materiale di qualcuno su questa Terra.
La risposta a queste calamità da parte del "governo" civile era inesistente. Il più delle volte si tentava di occultare strane morti per evitare che dilagasse il panico. La risposta delle autorità religiose era quella che conosciamo ancora oggi: fare penitenza, andare a messa, pregare, implorare il perdono divino, digiunare, fare processioni.
Vi erano poi i santi specializzati in varie malattie. San Rocco, con l'aiuto di Maria e San Sebastiano, contro la peste (poiché la peste era rappresentata da un nugolo di frecce che cadevano dal cielo l'associazione a San Sebastiano era immediata). Santa Apollonia si dedicava ai denti. Santa Lucia agli occhi. Sant'Anna al parto. San Acario alla pazzia. San Amatore di Auxerre all'epilessia. San Briaco al male di testa. San Egidio agli storpi. San Giovanni al cuore. San Vito ai morsi dei cani e alla rabbia oltreché a quanto già detto. I riti con cui venivano invocati i santi a fare da intermediari erano dello stesso tipo di quelli delle invocazioni magiche. Il motivo delle carestie o delle malattie era sempre da ricercarsi nella collera divina. Occorreva quindi penitenza e pentimento da realizzarsi con una terapeutica di questo tipo: in primo luogo digiuno e preghiera, quindi prendere un quarto del pentimento di Ninive, mescolavi due prese piene di fede nel sangue di Cristo con la speranza e la carità che si sia capaci di mettere il tutto nel recipiente di una coscienza purificata. Quindi farlo bollire nel fuoco dell'amore finché la nera schiuma delle passioni umane imputridisca nello stomaco. La qual cosa si giudicherà con gli occhi della fede (una delle "cure" del pastore anglicano T. Vicary, 1613).
A questo tipo di cure facevano concorrenza le streghe (circa un 85% delle vittime furono donne), inviate sulla Terra da Satana in persona per corrompere e conquistare anime. Ho già parlato dei martiri della Chiesa che secondo diverse stime vanno da un minimo di 1500 ad un massimo di 3500. Qui (essenzialmente in epoca rinascimentale e barocca) arriviamo invece da un minimo di 40000 ad un massimo di 50000.
E veniamo allo studio fatto dal chirurgo Maurizio Magnani in Spiegare i miracoli (Dedalo 2005): A Lourdes in questi anni sono andati circa 300 milioni di pellegrini. Di questi circa 20 milioni erano malati gravi. La Chiesa ha accertato esattamente 66 miracoli avvenuti(22). L’incidenza è di circa 1 su 300.000. L’incidenza di remissione spontanea dal cancro è di circa 1 su 10.000. E' 30 volte più difficile guarire visitando Lourdes che rimanendo a casa. Occorre infatti dire che non tutto ciò che ci viene offerto dai fatti naturali è spiegabile ed è falso ammettere che ciò che non è spiegabile è miracoloso. Non sono un indovino e non ambisco al ruolo ma dando tempo all'uomo molte cose che oggi non si spiegano e sono ritenute miracolose saranno spiegate e molti miracoli entreranno nel mondo del ridicolo.
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