giovedì 23 dicembre 2010

La morte di Paul Marcinkus «banchiere diDio» in esilio Aveva 84 anni, viveva in Arizona.

Lo Ior e i rapporti con Calvi e Sindona

Il coinvolgimento nel crac del Banco Ambrosiano. Dalla fine di papa Luciani al rapimento di Emanuela Orlandi, tutti i misteri d’Italia sui quali non ha mai voluto parlare



NEW YORK — «Non si governa la Chiesa con un'Ave Maria».
L'americano più potente della storia della Chiesa cattolica, l'uomo che è stato per 17 anni (dal 1971 all'89) il padrone assoluto delle finanze vaticane e che è stato accusato di crimini terribili, non ha mai voluto raccontare la «sua verità» né ai magistrati italiani che hanno tentato invano di arrestarlo per il crac del Banco Ambrosiano né alla stampa. Paul Casimir Marcinkus è morto ieri mattina (a 84 anni) nell'umile casa di Sun City, una cittadina nel deserto dell'Arizona, nella quale si era ritirato da molto tempo. Si lascia dietro una scia di misteri e questa frase, raccolta vent'anni fa dall'Observer, che ha finito per giustificare molti sospetti e ha favorito il proliferare delle ricostruzioni più romanzesche del ruolo avuto dal vescovo, figlio di un lavavetri lituano trapiantato a Chicago, nelle vicende finanziarie e nei rapporti politici della Chiesa. Le stesse circostanze della morte — ufficialmente ignote, anche se probabilmente si è trattato di un arresto cardiaco — contribuiscono ad alimentare cortine fumogene e illazioni che hanno accompagnato per decenni la parabola di monsignor Marcinkus.
Pesantemente coinvolto, in Italia, negli scandali politicofinanziari degli anni 70 e 80, alleato di personaggi come Michele Sindona e Roberto Calvi, il presidente dell'Istituto Opere di religione — la banca del Vaticano al centro del crac del Banco Ambrosiano — non ha mai risposto all'accusa di aver «svuotato» le casse dell'Istituto. Fondi che sarebbero serviti per finanziare, tra l'altro, la resistenza di Solidarnosc contro il regime comunista polacco e la lotta dei «contras» nel Nicaragua finito nelle mani dei rivoluzionari sandinisti. Questo sacerdote rude e spregiudicato che entrò nella Curia romana nel '69 e fu nominato vescovo nel 1981, è stato però sempre protetto da Giovanni Paolo II.
Il crollo dell'Ambrosiano e l'assassinio di Roberto Calvi risalgono all'estate del 1982. Emerse subito che gran parte dei 1.800 miliardi di lire sottratti alle finanze della banca erano finiti direttamente o indirettamente allo Ior o a organizzazioni indicate dalla banca vaticana. In un memorabile intervento alla Camera l'allora ministro del Tesoro Nino Andreatta chiese alla Chiesa e allo stesso Pontefice di riconoscere le colpe dello Ior e di correre ai ripari. Il cattolico Andreatta pagò questo atto di lealtà agli interessi della Repubblica con una lunga emarginazione: per molti anni la Democrazia cristiana gli negò ruoli di partito e di governo. La Chiesa non ammise mai le responsabilità dello Ior (anche se, dopo dispute infinite, restituì 250 milioni di dollari, una piccola parte delle cifre uscite dalle casse dell'Ambrosiano) e continuò a difendere Marcinkus anche quando, a metà degli anni 80, la magistratura italiana ne chiese l'arresto.
Protetto dalle mura del Vaticano e da un passaporto diplomatico, Marcinkus venne lasciato dal Papa alla guida dello Ior per ben sette anni dopo lo scandalo dell'Ambrosiano. Il «banchiere di Dio» — definizione alternativamente riservata a lui e a Calvi — uscì di scena solo nel 1989, mentre a Berlino cadeva il Muro.
La Chiesa ha fatto pagare a suo modo al vescovo-banchiere gli eccessi di quegli anni negandogli la porpora cardinalizia ed esiliandolo nel deserto del Nevada. Marcinkus, uomo di potere abituato a muoversi come un ministro o il capo di una grande «corporation», ha accettato senza battere ciglio il suo destino: non una parola e un impegno quotidiano nella piccola parrocchia di San Clemente. Unico brandello sopravvissuto del suo vecchio stile di vita, le partite a golf, sport per il quale aveva una grande passione. Ma anche quelle si erano rarefatte negli ultimi anni, dopo un intervento chirurgico alle anche.
In Italia il nome di Marcinkus resta legato alla stagione più torbida della storia politica del Dopoguerra: il tentativo della loggia massonica P2 e di alcuni ambienti finanziari di occupare varie istituzioni del nostro Paese. Una stagione macchiata dal sangue di molti delitti di mafia intrecciati con queste vicende politico-finanziarie, segnata dalle gesta della Banda della Magliana e sulla quale non si è mai riusciti a fare pienamente luce: molti dei protagonisti, a partire proprio da Calvi e Sindona, sono stati infatti «eliminati», mentre chi conosceva pezzi della realtà ha preferito tacere, lasciando campo libero alle accuse formulate (ma mai verificate) da «faccendieri» come Francesco Pazienza e Flavio Carboni.
La figura di Marcinkus ha continuato così a galleggiare per anni in un mare di accuse mai provate: non solo quelle della magistratura, prevalentemente a sfondo finanziario, ma anche le ricostruzioni di saggisti che lo hanno dipinto addirittura come il mandante dell'assassinio di papa Luciani. Il pontificato di Giovanni Paolo I durò appena 33 giorni: fu trovato morto all'alba del 29 settembre del 1978. Infarto, dissero i medici, ma alcuni libri pubblicati negli ultimi anni hanno puntato il dito su Marcinkus e sul cardinale Villot, allora segretario di Stato, accusati di aver architettato l'eliminazione di un pontefice «scomodo» che intendeva decapitare la Curia e riformare a fondo le finanze vaticane.
Di recente quei giorni e alcuni di quei personaggi sono tornati a galla, in una puntata della trasmissione Chi l'ha visto, nell'ambito della vicenda della scomparsa di Emanuela Orlandi. Il rapimento della giovane figlia di un dipendente del Vaticano sarebbe stato architettato, negli anni 80, per cercare di ottenere il rilascio di Ali Agca, il protagonista dell'attentato contro papa Wojtyla. Storie non supportate da alcun impianto probatorio i cui segreti — se ce ne sono — sono sepolti dietro i cancelli del Vaticano.
L'immagine di Giovanni Paolo II, il «Papa polacco che ha trionfato sul comunismo», non ha di certo risentito di queste vicende, anche se l'unico (piccolo) gruppo di teologi che si oppone alla sua immediata santificazione fa riferimento proprio alla libertà d'azione garantita a Marcinkus anche dopo lo scandalo dell'Ambrosiano.
Per l'Italia quello fu un passaggio difficilissimo: usando l'Ambrosiano come suo braccio finanziario, la loggia massonica clandestina P2 guidata da Licio Gelli tentò di infiltrarsi nei gangli vitali degli organi dello Stato e di conquistare perfino il Corriere della Sera (controllato allora dalla famiglia Rizzoli che teneva in piedi l'azienda coi finanziamenti di Calvi). Il 1982 fu l'anno terribile del crac della banca, della morte di Calvi, trovato impiccato a Londra, in una macabra messa in scena sulle rive del Tamigi, vicino al ponte dei Frati Neri. Seguì una vigorosa azione di salvataggio della banca, confluita nel Nuovo Banco Ambrosiano: la revisione della situazione contabile fece emergere con tutta evidenza che lo Ior aveva svolto un ruolo centrale nella gestione dell'Ambrosiano e nella «dispersione» delle sue risorse, finite soprattutto in America Latina.
Ne sono seguite battaglie giudiziarie infinite. Quella per l'Ambrosiano Overseas, conclusa di recente, è durata oltre vent'anni. I magistrati hanno ascoltato decine di testimoni e imputati in tutto il mondo. Salvo uno: Marcinkus.

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