I Sumeri e il Diluvio Universale
La descrizione della catastrofe è ricca di dettagli che riguardano anche le conseguenze delle perturbazioni gravitazionali avute suMarte in seguito al passaggio di Nibiru.
Di Roberto Boncristiano
I segni premonitori di una terribile catastrofe, in procinto di colpire la Terra e Marte, vengono colti e riportati dai Sumeri: “…Nei giorni di Lamech ( il padre di Ziusudra, che è assimilabile al biblico Noè )…gli stenti sulla Terra aumentavano sempre più… Lahmu ( Marte ) fu avvolto da aridità e polvere. Gli Anunnaki si consultarono…Osservarono bagliori sul sole, vi erano sconvolgimenti nella forza di attrazione delle reti della Terra e di Lahmu…le sofferenze sulla Terra aumentavano sempre più. I giorni si facevano sempre più freddi, i cieli trattenevano le piogge…piaghe e carestie afflissero la Terra…”. I Sumeri stanno documentando storicamente variazioni climatiche sui due pianeti, indotte da una intensificazione della forza gravitazionale del Sole, e l’umanità ne patisce le conseguenze per il raffreddamento del clima e una sopraggiunta siccità.
Marte, a sua volta, era soggetto a un inaridimento del clima, presumibilmente dovuto a un prosciugamento delle fonti di acqua liquida o alla formazione di aree di permafrost. Altri effetti vengono registrati dagli Anunnaki a causa delle perturbazioni gravitazionali ed elettromagnetiche: “…Sul volto del Sole comparvero strane macchie scure, dal suo volto si sprigionavano fiammate. Anche Kishar ( Giove ) si comportava in modo strano, confusi erano i suoi circuiti. Il Bracciale Martellato ( la fascia degli asteroidi ) era tirato e spinto da invisibili forze di attrazione della rete. Per ragioni misteriose, il Sole disturbava la sua stessa famiglia…”.
I Sumeri ci informano dunque di disturbi nei moti orbitali del pianeta Giove e della fascia degli asteroidi e queste interferenze determinano cambiamenti anche sulla Terra, indicandone con estrema crudezza la causa: “…la coltre di neve e ghiaccio che ricopre la Terra Bianca ( l’Antartide ) ha iniziato a scivolare…la prossima volta che Nibiru si avvicinerà al Sole, la Terra sarà esposta alla forza di attrazione di Nibiru. Dalla forza di attrazione di Nibiru la Terra, nei cieli, non avrà alcuna protezione…la prossima volta che Nibiru si avvicinerà alla Terra, la coltre di neve e ghiaccio scivolerà via dalla Terra Bianca. Causerà una calamità di acqua: da un’enorme ondata, da un Diluvio, la Terra verrà sopraffatta…
Gli Anunnaki si preoccupavano molto sia della Terra, sia di Lahmu. Presero una decisione: che ci si prepari a evacuare la Terra e Lahmu!...”. Nibiru, il pianeta d’origine degli Anunnaki, nella lingua sumera significa il “pianeta dell’attraversamento”; una simile definizione sembra alludere al tracciato orbitale descritto periodicamente da Nibiru intorno al Sole. Nella sua marcia di avvicinamento Nibiru attraversa lo spazio cosmico compreso tra la fascia degli asteroidi e Giove, ma questa volta Nibiru si avvicinerà eccessivamente alla Terra, esercitando un surplus di attrazione gravitazionale in grado di influenzare e accelerare i mutamenti climatici in atto sulla Terra.
Un aumento rapido della temperatura media del nostro pianeta può determinare lo scioglimento delle masse ghiacciate presenti nell’Antartide con il relativo scorrimento nelle acque oceaniche di enormi blocchi di ghiaccio. Cosa potrebbe succedere se un’immensa coltre di ghiaccio, forse dello spessore di chilometri e vasta centinaia di migliaia di chilometri quadrati, dovesse staccarsi improvvisamente per l’influsso della forza gravitazionale di un corpo celeste grande quanto Nettuno? Non dovrebbe essere particolarmente arduo prevederne le conseguenze apocalittiche, ossia un effetto “tsunami”. Neanche gli evoluti Anunnaki possono fronteggiare una calamità naturale di simile portata e per salvarsi dalla incombente catastrofe decidono di abbandonare, almeno temporaneamente, la Terra e Marte.
Alcuni “…tornavano su Nibiru e salirono a bordo delle navi celesti…”, mentre altri, come Marduk, si raccolgono “…al Luogo dell’Atterraggio…e lo stesso Marduk offrì agli Igigi la scelta di andare con lui, Sarpanit ( la congiunta di Marduk ), i suoi due figli e le figlie a Lahmu ( Marte ), per attendere la calamità, oppure di disperdersi nelle lontane regioni montuose della Terra, per trovare un rifugio dal Diluvio…”. La descrizione sumera del Diluvio Universale è estremamente drammatica e rivela dettagli molto accurati sull’andamento rovinoso della catastrofe: “…Per giorni interi prima del giorno del Diluvio la Terra rombava, gemeva, come se soffrisse. Per notti intere prima che la calamità si avventasse sulla Terra, Nibiru nei cieli era una stella risplendente… La Terra iniziò a tremare, agitata da una forza di attrazione fino ad allora sconosciuta….la luce della mattina si trasformò in oscurità. Poi esplose il suono del rombo di un tuono, i lampi accesero i cieli…Quel giorno con un tremendo boato il Diluvio ebbe inizio.
Nella Terra Bianca ( l’Antartide ), nelle viscere della Terra, le fondamenta della Terra tremavano. Poi con un rombo la coltre ghiacciata scivolò dalle sue fondamenta. Era spinta via dalla forza di attrazione invisibile della rete di Nibiru, nel mare del sud si andava a schiantare. La superficie della Terra Bianca si sgretolava come il guscio rotto di un uovo…”. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che lo scivolamento nella distesa oceanica di masse imponenti di ghiaccio sia in grado di sollevare un muro d’acqua dell’altezza di alcune centinaia di metri, che viaggerebbe sulla superficie marina a una velocità di centinaia di chilometri all’ora, riversandosi sulle terre emerse con un impeto inimmaginabile e spazzando via ogni forma di vita.
Le tracce geologiche di questo sconvolgimento, causato da un’apocalittica inondazione, sono state evidenziate in studi di eminenti ricercatori, e sono presenti in quasi tutte le aree della Terra. I Sumeri ci testimoniano dell’avvicendarsi di eventi sismici devastanti, dovuti alla forza gravitazionale di Nibiru, e infatti la Terra “gemeva” e le sue fondamenta “tremavano”.
L’atavico popolo mesopotamico conosce perfettamente gli effetti del Diluvio: “…All’improvviso un’onda di marea si sollevò, il muro d’acqua raggiunse i cieli. Una tempesta, con una violenza mai vista prima, iniziò a ululare dal cuore della Terra. I suoi venti spingevano il muro d’acqua, l’onda di marea volgeva verso nord. Il muro d’acqua correva verso nord, ormai già minacciava le terre dell’Abzu ( l’Africa ). Da lì poi viaggiò verso le terre abitate, invase l’ Eden ( la Mesopotamia )…”. Neanche gli Anunnaki possono contrastare la forza distruttrice di uno “tsunami” di proporzioni planetarie e tutto viene inghiottito dall’acqua: “…Tutto ciò che un tempo era stato sul terreno fu spazzato via dalle acque impetuose…”. Sono allibiti dalla velocità con cui avanza la immensa onda d’acqua e dalla sua altezza, probabilmente di alcune migliaia di metri: “…Prima che il giorno finisse, il muro d’acqua, acquistando velocità, ingoiò le montagne…”.
D’altronde, si ergono nel continente africano sistemi montuosi che possono vantare cime svettanti migliaia di metri, ma vengono sovrastati da questo muro d’acqua, come si evince dalla testimonianza sumera. Impotenti, gli Anunnaki assistono allo scempio mentre “…nelle loro barche celesti orbitavano intorno alla Terra…”. Il loro stato d’animo è dominato da un cieco terrore, dato che “…con sgomento in quei giorni furono testimoni di una forza più grande della loro…”. Non si può certo restare indifferenti alla descrizione apocalittica del Diluvio Universale e delle sue conseguenze, riscontrabile in questo testo sumero di cinquemila anni fa:”…le creature riempiono le acque come libellule annegate in uno stagno. Ogni forma di vita è stata spazzata via dall’ondata del mare in tempesta…
Dopo l’immensa ondata di marea, che spazzò la Terra, le chiuse dei cieli si aprirono e una pioggia torrenziale si abbatté sulla Terra…poi il muro d’acqua, avendo raggiunto il suo limite, cessò l’attacco. Ma per quaranta giorni e quaranta notti le piogge continuarono a cadere dai cieli…laddove un tempo c’era terra asciutta, ora si stendeva un mare di acqua. Laddove un tempo le montagne svettavano verso il cielo, ora le loro cime spuntavano come isole nel mare…Poi le acque si riunirono nei loro bacini. Rollarono avanti e indietro, giorno dopo giorno; il livello dell’acqua si abbassò…anche le piogge si arrestarono…”. Cosa ci rivela il testo sumero sulle sorti della specie umana? Eccone l’essenziale ma tragica conclusione della tavola sumera: “…L’umanità e ogni forma vitale erano scomparse dalla faccia della Terra…”.
Il documento sumero, inoltre, non si limita a narrare la catastrofe cosmica abbattutasi sulla Terra, ma ci fornice indizi significativi sulle conseguenze su Marte delle perturbazioni gravitazionali indotte dal passaggio di Nibiru e dall’allineamento di sette pianeti del sistema solare: “…Lahmu ( Marte) è stata devastata dal passaggio di Nibiru! Così riferì Marduk. La sua atmosfera è stata risucchiata, le sue acque sono poi evaporate, si è trasformata in un luogo di tempeste di polvere!...”. Questa descrizione sumera delle nuove condizioni climatiche e fisiche di Marte ci impone una doverosa riflessione: ci sono riferimenti scientificamente fondati sulla dispersione improvvisa dell’atmosfera di Marte, che è stata “risucchiata”.
Cosa può aver provocato un processo così repentino di disgregazione e rarefazione dell’atmosfera marziana? Indubbiamente la forza di attrazione esercitata da Nibiru può solo parzialmente “strappare” a Marte la sua atmosfera, e dunque occorre preventivare un ulteriore fattore che abbia concorso al risucchio dell’atmosfera marziana. Riteniamo plausibile l’ipotesi di Melosh e Vickery, concernente la distruzione dell’atmosfera marziana per ripetuti impatti di asteroidi e meteoriti con il suolo marziano, anche perché il progressivo avvicinarsi del pianeta Nibiru provoca, nel medio periodo, l’espulsione dalla fascia degli asteroidi di corpi rocciosi, trascinandoli con sé nel suo moto orbitale, oppure cattura materiale meteoritico o protoplanetario residuo scagliandolo verso i pianeti interni del sistema solare.
La intensa craterizzazione dell’emisfero meridionale innesca il processo di rarefazione e di dispersione dell’atmosfera marziana in un arco temporale sufficientemente prolungato. Una riduzione progressiva della densità atmosferica comporterà una diminuzione dei valori pressori e della temperatura necessari per la permanenza dell’acqua allo stato liquido; non è casuale che il testo sumero riferisca che “ le sue acque sono poi evaporate”. E’ probabile che in una fase iniziale le acque marziane siano state soggette ad evaporazione per il surriscaldamento della superficie marziana, dovuto all’enorme energia da collisione sprigionata dagli innumerevoli corpi asteroidei e meteoritici. Successivamente, le nubi di vapore generate dagli impatti decompongono l’atmosfera marziana, la cui pressione, ormai asfittica, non è in grado di trattenere l’enorme quantità di vapore acqueo immesso nell’atmosfera marziana e di evitare il passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello gassoso.
Le molecole di vapore acqueo, successivamente, si disperdono nello spazio profondo per la carenze fisico-chimiche dell’atmosfera marziana. Le acque marziane, inoltre, subiscono l’intenso influsso gravitazionale di Nibiru per un esteso periodo di tempo e, dunque, subiscono poderose spinte acceleratici che le rendono impetuose e capaci di un’azione erosiva profonda. Nel sito marziano di Chryse Planitia si può notare un sistema fluviale con una larghezza di 25 chilometri e una lunghezza di oltre 2000 chilometri, con una portata di milioni di metri cubi al secondo. Solo uno scorrimento rapido di imponenti masse d’acqua può spiegare il modellamento delle pareti del sistema fluviale, estremamente lisce e livellate.
Non essendo ravvisabili nel sito dislivelli del terreno, è lecito chiedersi come fosse possibile una velocità di scorrimento delle acque così travolgente. Il ricercatore Cattermole, ma anche Victor Baker e Daniel Milton, sottolineano che solo una “inondazione catastrofica” può svolgere un’azione erosiva con effetti così macroscopici. Si suppone che inondazioni di questa tipologia siano preventivabili se immaginiamo fondatamente una forza gravitazionale accentuata ed emanata da un gigantesco corpo celeste, e ipotizziamo che questo astro fosse il pianeta Nibiru, come ricordato dai testi sumeri.
Un altro sito marziano, denominato Reul Vallis, presenta una profonda scanalatura, configurabile come un immenso letto di un fiume, le cui acque scorrevano tumultuosamente sull’intera area circostante, per effetto di un’inondazione catastrofica; lo studioso Michael Malin la paragona per le sue dimensioni al diluvio che colpì il Mar Mediterraneo. Questi rinomati scienziati confermano dunque che anche Marte è stato subissato da fenomeni diluviali, e probabilmente nello stesso periodo del Diluvio Universale che imperversò sulla Terra almeno 13000 anni fa. Il ricercatore James B. Pollack ritiene che le grandi formazioni fluviali marziane denotino caratteristiche specifiche che non sono inquadrabili nell’ambito di un unico evento fisico, ma ciascuna valle è riportabile a un singolo fenomeno fisico, distinto da tutti gli altri.
La congettura di Pollack sembra presupporre un susseguirsi di un insieme di eventi traumatici, collegabili a catastrofi cosmiche da impatti e collisioni di corpi estranei provenienti dallo spazio. Non si può escludere che lo studioso alludesse all’eventualità di prefigurare fenomeni fisici che non siano impatti o collisioni con corpi celesti, tuttavia è opportuno prendere in considerazione tutte le possibili ipotesi esplicative. La sonda spaziale americana Mars Global Surveyor ( MGS ) ha rivelato che vi sono sulla superficie marziana prove materiali di uno scorrimento di acqua liquida in un passato molto recente, e particolarmente nel sistema di canyons denominato Valles Marineris sono stati scoperti i segni indelebili di un flusso spiccatamente erosivo e improvviso dell’acqua, a tal punto che i canali visibili prospicienti il sito della Valles Marineris mostrano le tracce inconfondibili di un fluire rovinoso dell’acqua.
Alcuni studiosi sono persuasi che un erompere così devastante di masse liquide sia stato possibile per effetto di uno scioglimento rapido del ghiaccio intrappolato nel permafrost. Il rialzo termico all’origine dello scioglimento è stato imputato al calore prodotto da sorgenti vulcaniche o al flusso termico proveniente dall’interno del pianeta. Dovremo attenderci,dunque, in un prossimo futuro un riscaldamento del pianeta a causa di una variazione orbitale? Oppure questo flusso termico di origine endogena è sufficiente per sciogliere esorbitanti masse d’acqua ghiacciata nel sottosuolo marziano? Ci sembra piuttosto fragile una simile spiegazione per giustificare lo scioglimento del permafrost marziano, perché occorrerebbe stabilire la quantità di calore necessario per poter trasformare in acqua liquida un quantitativo non meglio precisato di ghiaccio marziano, nonché quanto calore può essere generato dalle fonti energetiche interne al pianeta.
Non ci risulta, almeno ufficialmente, che siano disponibili questi dati per compiere le misurazioni del caso. Non si porrebbero problemi di misurazione se ci affidassimo a una ipotesi certamente azzardata, ma non più di quelle proposte da eminenti scienziati, circa l’avvicinamento di un pianeta di grosse dimensioni, la cui forza gravitazionale, certamente incalcolabile, produrrebbe un riscaldamento tale da causare la liquefazione degli immensi depositi di ghiaccio marziano, il bombardamento di Marte con corpi rocciosi catturati dalla sua “rete”, come direbbero i Sumeri, e l’innalzamento imperioso delle acque che scorrono in superficie. Non possiamo trascurare l’ultimo dettaglio della testimonianza sumera, relativa alla trasformazione di Marte in “un luogo di tempeste di polvere”.
I dati a nostra disposizione stabiliscono che Marte sia soggetto ad un’attività di erosione e di deposizione di origine eolica; i venti possono giungere alla ragguardevole velocità di 400 chilometri orari, sollevando quantità incredibili di polvere sabbiosa e disseminandola sull’intera superficie marziana. La presenza di un simile ammasso di sabbia risulta sconcertante e al momento non vi sono spiegazioni plausibili, ma è ormai assodato che la vita sarebbe proprio impossibile in siffatte condizioni e Marduk, uno dei personaggi più in vista degli Anunnaki, ha tutte le ragioni per lamentarsi quando informa che “…la loro stazione è stata colpita da tempeste di polvere…”; in un altro passo del testo sumero si riferisce che “…ci disturbano forti venti che sollevano fastidiose tempeste di polvere…e il pianeta fu avvolto da aridità e polvere…”.
Il già menzionato disastro cosmico che colpisce Marte indurrà gli Anunnaki ad abbandonare Lahmu ( Marte ) dato che “…le condizioni sono diventate insopportabili,la sopravvivenza non è più possibile…”. La memoria storica dei Sumeri conferma in modo inequivocabile che un evento catastrofico di origine cosmica si è abbattuto sulla Terra e su Marte, seminando morte e distruzione ovunque. La Terra sarà sconvolta da inondazioni, terremoti e tempeste atmosferiche, che porteranno alla quasi estinzione dell’umanità, mentre Martedisperderà nello spazio quasi tutta la sua atmosfera e parte delle sue riserve idriche. Possiamo reperire ulteriori riscontri di natura storica che ci permettono di associare il Diluvio Universale, o comunque una catastrofe cosmica, ad entrambi i pianeti; nella cultura egizia veniva posto uno stretto legame tra il pianeta Marte e il monumento della Sfinge nella piana di Giza.
Entrambi venivano menzionati con il nome di ‘Horus dell’Orizzonte’ oppure di ‘Horus il Rosso’. L’altro nome attribuito alla Sfinge è ‘Horakhti’, epiteto con cui gli Egizi indicavano Marte, e molte testimonianze antiche asseriscono che la Sfinge era stata dipinta per un lungo periodo di tempo con il colore rosso. Il collegamento probabilmente è di natura astronomica, in quanto la Sfinge, che simboleggia Marte, indica con il suo posizionamento rispetto alla volta celeste che il pianeta rosso attraversava la costellazione del Leone in un periodo databile tra il 10970 e l’8810 a.C. Il sole all’equinozio di primavera sorgeva dunque nella costellazione del Leone.
L’interrogativo sollevato dalla Sfinge concerne la ragione che induce gli antichi Egizi a costruire questo monumento orientato verso la costellazione del Leone. Si ipotizza che questo monumento avesse il compito di tramandare alle generazioni successive la memoria di un evento catastrofico che avrebbe coinvolto contemporaneamente la Terra e Marte nell’età del Leone. Non sarà del tutto casuale che gli Egizi testimoniano del pericolo rappresentato dall’avvicinarsi minaccioso di una cometa, le cui sembianze mostruose vengono descritte con raccapriccio: “…sembrava infuocata, ondeggiava come le spire di un serpente ed era orribile a vedersi…”.
I riferimenti egizi a una cometa in marcia di avvicinamento verso Marte e la Terra corroborano le fonti sumere e avallano storicamente che un evento cosmico di proporzioni inaudite investe in un comune destino la Terra e Marte, uccidendo geologicamente Marte e devastando la Terra. Una simile memoria storica viene ereditata dagli arabi che chiamarono la città contigua alla necropoli di Giza ‘El-Khaira’ ovvero Il Cairo, che significa ‘ Marte’. Una singolare coincidenza. O no?
Il nostro auspicio è poter annoverare ulteriori elementi di natura storico-scientifica per avvalorare la tesi della reale esistenza di esseri intelligenti, testimoni del passato del nostro pianeta e del suo coinvolgimento, insieme a Marte, in una catastrofe cosmica che ha mutato radicalmente la storia climatica della Terra, ponendo termine all’era glaciale e le basi di una nuova fase di civilizzazione della specie umana. Siamo infinitamente grati ai nostri progenitori per averci tramandato la loro testimonianza circa le nostre origini e il nostro passato. Lo saremo eternamente.
R.B.
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