sabato 18 dicembre 2010

Don, la «beffa» dei contributi. Previdenza & clero

di Vittorio Spinelli 

Fresca di stampa, una interes­sante circolare dell’Inps (n. 101 del 26 luglio) regola la coper­tura di periodi mancanti di contri­buti, ormai prescritti, per i collabo­ratori assicurati alla Gestione sepa­rata dell’Ente. Per operazioni di questo tipo, la pre­videnza ha previsto, sin dal 1962, la possibilità di costituire una rendita vitalizia. In pratica, il lavoratore (op­pure, in sua vece, lo stesso datore di lavoro) versa all’Inps un importo pa­ri al capitale oggi necessario per ag­giungere alla futura pensione la quo­ta che corrisponde ai contributi mancanti. Sul sistema della rendita vitalizia, da sempre riservata solo ai lavoratori dipendenti, la Corte costituzionale ha operato nel corso degli anni al­cune integrazioni. Innanzitutto la Consulta ha preso atto che la vec­chia legge del ’62 non limitava e­spressamente il beneficio ai lavora­tori dipendenti.
E quindi ha inizia­to ad estendere la legge anche ad al­cune figure del lavoro autonomo, come i familiari di un artigiano o di un commerciante occupati nell’a­zienda, ed i componenti delle fami­glie dei coltivatori diretti. In sostanza, la Corte ha ritenuto che il diritto alla rendita vitalizia nasce in tutti i casi in cui gli interessati 'non hanno una posizione attiva nell’assolvere il proprio obbligo con­tributivo'. Solo oggi l’Inps prende atto di questo criterio e lo applica al mondo delle collaborazioni. I colla­boratori, infatti, non sono diretta­mente obbligati a versare i propri contributi, essendo questo compi­to assegnato al committente o al­l’associante. Lo stesso avviene an­che per i lavoratori autonomi occa­sionali. Contributi clero. Anche i sacerdoti, da diversi anni, chiedono di poter utilizzare il sistema della rendita vi­talizia per coprire i vuoti contribu­tivi della propria posizione assicu­rativa. Inutilmente. L’Inps ha sempre negato questa possibilità, soste­nendo che i ministri di culto non so­no lavoratori dipendenti né posso­no essere assimilate a figure del la­voro autonomo. Ed in effetti i sacer­doti e i ministri di altre confessioni non rientrano in alcuna categoria del mondo del lavoro. Il problema, in realtà, è solo dell’In­ps. L’Istituto, a causa di una antica e nefasta gestione del Fondo Clero, non ha registrato i versamenti di contributi, risalenti anche agli anni ’70, invece regolarmente effettuati da molti sacerdoti. E’ scattata però la prescrizione sui periodi mancan­ti, che impedisce di poter sanare, o­ra per allora, i buchi contributivi, neppure se gli interessati fossero di­sposti a ripetere oggi i versamenti dell’epoca. In aderenza al nuovo criterio ora ap­plicato ai collaboratori, anche i mi­nistri di culto avrebbero diritto ad utilizzare la rendita vitalizia, non es­sendo obbligati in maniera diretta all’obbligo contributivo. Fino al 1984 vigeva, infatti, il sistema della con­grua ed i contributi sacerdotali tran­sitavano attraverso le Direzioni pro­vinciali del tesoro. A partire dal 1985 a questo provvede l’Istituto centra­le per il sostentamento del clero.

Tratto da Avvenire del 29 Luglio 2010
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