Ha certamente ragione il cardinale Tarcisio Bertone quando dice che sugli scandali del Vaticano si gioca troppo a fare i Dan Brown. Infatti, è un vero peccato andare a scomodare massoneria, corvi e varia animalità quando lo scandalo della banca vaticana che non vuole dotarsi di una legislazione antiriciclaggio è sotto gli occhi di tutti. Il Corriere ci racconta il rapporto di Moneywall, l’agenzia mondiale di contrasto al riciclaggio:
Assegna infatti alla Santa Sede una valutazione negativa in 8 dei 49 criteri standard in base ai quali viene attualmente valutata la trasparenza finanziaria di un Paese.
Otto (dei 16 punti Key&Core, cioè cruciali), sono stati infatti giudicati partially compliant, «parzialmente aderenti», agli standard, o «no compliant» cioè «non aderenti».Ma il punteggio complessivo assegnato al Vaticano dal rapporto ispettivo Moneyvall— che verrà discusso a Strasburgo il 4 luglio — rimane pur sempre al di sotto dei 10 punti negativi. Solo quando viene raggiunto questo limite, il paese che ha chiesto aMoneyvall di entrare nella white list (il Vaticano in questo caso) non l’ottiene e anzi viene trasferito alla valutazione del temibile Ircr del Gafi, copresieduto dall’italiano Giuseppe Maresca (responsabile dell’ufficio V del ministero dell’Economia per la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a fini illegali) e dall’americano Daniel Glaser.
Almeno 3 degli 8 criteri su cui la nuova legge antiriciclaggio varata dal Vaticano nel gennaio 2012 (sulla quale è stato molto polemico l’ex presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi) non ha raggiunto la «sufficienza» sono particolarmente «sensibili»:
Riguardano infatti i punti 35, 36 e 40 degli standard relativi alla cooperazione internazionale. I nodi sono innanzitutto, l’introduzione nella nuova legge di un cosiddetto «veto» politico da parte della segreteria di Stato vaticana alla richiesta di collaborazione internazionale, in pratica la non automaticità della collaborazione stessa con gli altri paesi. Secondo: la mancanza di un regolamento d’ispezione che permetta all’organismo di controllo vaticano, cioè l’Aif, ispezioni sullo Ior. Terzo: il diniego per quanto riguarda l’accesso «storico» ai movimenti dei conti dei clienti Ior, antecedenti al 1 aprile 2011. Quest’ultimo punto riguarda tuttavia più che gli organismi che monitorano i flussi finanziari, (questo è il lavoro svolto per le banche italiane dall’Uif della Banca d’Italia) le istruttorie aperte dalla magistratura italiana, su segnalazione dell’Uif per fatti del passato, in particolare dalla Procura di Roma). Si tratta cioè di un aspetto che coinvolge l’assistenza giudiziaria tra Italia e Vaticano che si esplica attraverso il meccanismo delle rogatorie.
http://www.giornalettismo.com/archives/371350/quei-riciclatori-di-denaro-sporco-del-vaticano/
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