martedì 15 novembre 2011

Siena, storia di uno sbattezzo a lieto fine

stefanogIl 25 ottobre 2008, in occasione della giornata dello sbattezzo, ho inoltrato la mia richiesta alla parrocchia di San Giovanni Sotto il Duomo, a Siena. Nessuna risposta. Il 22 gennaio successivo invio un sollecito. Nessuna risposta. Il 4 giugno sollecito nuovamente tanto la Diocesi di Siena quanto la parrocchia. A stretto giro di posta (il 13 dello stesso mese) mi scrive il parroco:

Ho letto con interesse le sue premurose richieste a volersi “sbattezzare”.
Nulla di più facile anche perché il Battesimo da lei ricevuto da piccolo su richiesta dei suoi genitori, è strumento della Grazia che agisce solo sul terreno produttivo.
Mi dispiace non poterla esaudire immediatamente, perché la richiesta da lei formulata ha solo il fumo della legalità.

La sola fotocopia della carta d’identità non mi garantisce che la persona scrivente sia esattamente quella che fa la richiesta e che si sottoscrive.
E proprio per avermi ricordato la diffida pronunciata dal Garante a comunicare a soggetti terzi il contenuto della sua richiesta voglio evitare di incorrere in illecito penale ai sensi dell’art.167 del D.lgs n.196 del 2003.
Occorre quindi che lei venga personalmente in parrocchia, con un documento d’identità valido oppure che ci faccia pervenire la sua richiesta corredata da un suo documento d’identità, autenticato dall’ufficiale comunale competente.
Solo ottemperando a questa formalità sarà possibile accontentarla nel più breve tempo possibile.
Saranno naturalmente a suo carico le spese postali e la doverosa comunicazione di questa sua decisione ai Padrini presenti al suo Battesimo.
Ci scusiamo per il ritardo nel risponderle. Lei sa bene che i parroci non amministrano solo battesimi…
Ossequi.

In agosto ripresento istanza ai sensi dell’art. 7 del decreto legislativo n 196/2003 di nuovo tanto al vescovo quanto al parroco. Nessuna risposta.

Siamo ormai a fine gennaio 2010 quando mi rivolgo al Garante per la protezione dei dati personali allegando tutta la documentazione in mio possesso e versando 150 euro così come richiesto.
Poco dopo ricevo una telefonata dall’Ufficio del Garante che mi preannunciava una mail con ciò che avrebbero richiesto al vescovo; ricevuta e letta davo il mio benestare dopo aver avuto parere favorevole dalla Dott.ssa Orioli.

Il 2 febbraio ricevo la lettera spedita in contemporanea a me e alla parrocchia con la quale il Garante intimava a quest’ultima di adempiere ai propri doveri.

In data 08/02/2010 ricevo, finalmente, conferma dell’avvenuta annotazione sui registri del mio sbattezzo.

Dieci giorni dopo mi rivolgo al Garante per richiedere la restituzione dei 150 euro, come è prassi normale quando la parrocchia a cui si è rivolta la richiesta è correttamente individuata.

Trenta giorni dopo, il 18/03/2010, veniva emesso il provvedimento di cui scrivo solo la parte finale:

a) dichiara non luogo a provvedere sul ricorso; (ndA: perché nel frattempo la parrocchia aveva adempiuto)
b) determina nella misura forfettaria di euro 500 l’ammontare delle spese e dei diritti del procedimento posti, nella misura di 200 euro, previa compensazione della residua parte per giusti motivi, a carico della Parrocchia di San Giovanni Sotto il Duomo di Siena, la quale dovrà liquidarli direttamente a favore del ricorrente.

Il parroco di Siena, alla mia richiesta di restituzione delle spese di 200 euro così come stabilite dal provvedimento del Garante, si limita a non rispondere.
Su consiglio della Dott.ssa Orioli ho atteso un paio di mesi; perdurante il tombale silenzio del parroco, quest’ultima ha dato mandato all’Avvocato Corvaja di Padova per ottenere un decreto ingiuntivo prima e un’esecuzione forzata poi.

Riceviamo prontamente risposta dall’Avvocato della parrocchia, che a questo punto offre in compensazione solo 100 dei 200 euro stabiliti. Al di là della palese ingiustizia e assurdità, l’accettare avrebbe potuto determinare un grave precedente per successivi ricorsi; con i fogli già pronti l’avvocato stava per recarsi presso il tribunale di Siena a depositare gli atti, quando “miracolosamente” sul mio conto corrente appariva il versamento dovuto.

Ho voluto scrivere questa mia esperienza per far presente due cose a chi segue le Ultimissime:

1) Leggo molte volte facili consigli su come l’associazione dovrebbe muoversi e quello che dovrebbe fare. Deduco che sia tipicamente italiano il detto passato alla storia “armiamoci e partite”. Altrettanto malvolentieri leggo ogni tanto lamentele di soci e simpatizzanti che usano le seguenti espressioni: “la nostra associazione non fa”, “dovrebbe agire con più incisività”, etc. etc.
Metto, con questa mia, a conoscenza di chi legge che l’Avv. Corvaja era pronto a partire per Siena da Padova, il che, data la distanza voleva dire: spese per il tempo impiegato tra il viaggio di andata e ritorno più il tempo per sbrigare le pratiche in tribunale; cena e pernottamento, pranzo più spese autostradali, benzina ed uso auto, il tutto a spese dell’UAAR.
Fatevi due conti per favore.

2) Duecento euro non mi hanno arricchito e se era solo per quelli potevo anche lasciar perdere.
Ho saputo che lo fanno in molti, ma credo che commettano un grosso errore perché in certi casi le lotte di principio sono fondamentali.
Chiunque ha il dovere di seguire le regolari procedure per le parti stabilite con legge dello stato .
Credo che leggendo la lettera che ho ricevuto dal parroco possiate ben comprendere come sia scattata in me la decisione di non accettare quello che ho visto e sentito come un atto di arroganza e derisione.
Troppi sacerdoti credono di essere al di sopra della legge e di poter disporre delle cose come a loro piace; occorre, anche con queste piccole azioni, far loro comprendere che non è così.
Ogni socio, nei limiti del possibile, credo abbia il dovere di agire quando si trova di fronte a questo tipo di atteggiamenti. Devo dire, scherzandoci un po’, che mi spiace aver visto effettuato il pagamento; sarei stato più contento nel vedere eseguito un ordine di pignoramento, anche se sarebbe stato necessario attendere un paio di anni e forse più, per concludersi con un vecchio candelabro tarlato e senza valore consegnatomi dall’ufficiale giudiziario. Immaginate però il vederlo in sede accanto al nostro Valentino!

3) Rivolgendomi ai cattolici, che pongono molte e tra le più svariate obiezioni all’atto di apostasia, dico loro: ogni essere umano nasce libero, ha il diritto di conservare questa libertà fino all’ultimo giorno della propria esistenza e di mettere in discussione durante la vita non solo le sue idee , ma anche ciò che gli è stato impartito da chi lo ha cresciuto e educato incamminandolo nel mondo.
Non condanno assolutamente chi mi ha battezzato, ma provo un sentimento di profondo affetto perché, fino a prova contraria, i miei genitori ed il sacerdote che ha celebrato il rito erano convinti di agire per il mio bene.
Nel momento in cui, raggiungendo la piena coscienza di me stesso, ho compreso che quello non era il mio mondo. Ciò nonostante mi sono sentito dire che, da battezzato, giuridicamente risultavo suddito della Chiesa Cattolica Apostolica Romana: ho quindi deciso, avendone l’opportunità legale, di formalizzare il mio distacco dall’appartenenza a questa comunità, nella quale sono stato introdotto quando non avevo facoltà di intendere e volere. Sono ateo, convinto della ineluttabilità della morte e non del concetto della vita eterna.
Non provo sentimenti di superiorità né di disprezzo nei confronti dei credenti. Certamente non posso non prendere le distanze dall’ideologia religiosa, ritenendola non adatta al mio modo di concepire la vita, pretendendo dagli uomini di fede lo stesso rispetto nei miei confronti che io porto loro.

* Socio UAAR

FONTE
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