martedì 15 novembre 2011

CASO CLAPS,I GENITORI DI RESTIVO SE LA PRENDONO CON LA CHIESA.

Mons. Agostino Superbo, vescovo di PotenzaPOTENZA - «Mi va bene tutto, ma non che le persone scoprano un cadavere nel sottotetto e non denuncino la cosa. Ma che c’è sotto?». Anna, la sorella di Danilo Restivo - condannato a 30 anni di carcere per l’omicidio di Elisa Claps e all’ergastolo in Inghilterra per il delitto della sarta Heather Barnett - parla a telefono con sua cognata Fiamma. Gli investigatori della Dia di Salerno che hanno captato la telefonata annotano: «Anna Restivo - si legge in un documento dell’inchiesta bis sul caso Claps che la Gazzetta ha potuto consultare in esclusiva - si augura che la verità venga finalmente fuori, per liberarsi definitivamente di questa faccenda».
Il giallo del caso Claps non ancora risolto ruota proprio attorno al ritrovamento dei resti di Elisa nel sottotetto della chiesa della Trinità il 17 marzo del 2010. Gli investigatori stanno verificando le dichiarazioni di monsignor Agostino Superbo, vescovo di Potenza e vicepresidente della Cei, del parroco della Trinità don Ambrogio Atakpa, del viceparroco brasiliano don Wagno Oliveira E’ Silva e delle due signore delle pulizie. E hanno registrato le telefonate che un sacerdote, don Pierluigi Vignola (cappellano della Questura), intratteneva con esponenti della massoneria e di una loggia segnalata per la violazione della legge Anselmi, quella che vieta la costituzione di società segrete. Ora anche la famiglia Restivo lancia ombre sulla chiesa.

Il ritrovamento - Anna commenta con i suoi parenti il ritrovamento. Dice: «Noi amici non ne abbiamo mai avuti. Poniamo il caso che loro abbiano anche ragione... mi va bene tutto ma non che le persone scoprano un cadavere e non denuncino la cosa...». È strano anche per lei che i sacerdoti si siano tenuti per qualche mese il segreto. E si chiede: «Cosa c’è sotto?». Le risulta sospetta anche la notizia del messaggio anonimo lasciato sulla porta di un bar di Potenza che indicava la presenza dei resti di Elisa nella chiesa della Trinità. Per Anna Restivo i conti non tornano. Nel frattempo gli investigatori cercano di capire il perché di quell’ atteggiamento.

Il bottone rosso - E lei che il 12 settembre del 1993 accompagnò Danilo in ospedale per quella piccola ferita alla mano ricorda bene che suo fratello «aveva tutti i bottoni». E allora di chi è quel bottone rosso trovato sotto i resti di Elisa? «Sono svariate le ipotesi che fa Anna Restivo», scrivono i magistrati. E torna il nome di don Mimì Sabia, lo storico parroco della chiesa della Trinità morto ultraottantenne due anni prima del ritrovamento. L’intercettazione è dell’8 giugno del 2010. Non era ancora stata depositata la perizia merceologica che ha stabilito che quello era un bottone da cardinale e non da monsignore.

I complici - «Anche Maurizio Restivo - si legge nell’informativa - ha lanciato accuse sui tempi del ritrovamento del cadavere e sulla possibilità che vi possano essere altre persone coinvolte». A chi si riferisce il papà di Danilo? Chi ha aiutato l’assassino a occultare il corpo nel sottotetto?

L’omertà - I magistrati della Procura di Salerno Rosa Volpe e Luigi D’Alessio segnalano al gip che è necessario continuare a monitorare le utenze telefoniche dei Restivo «perché possono registrarsi considerazioni e commenti alla vicenda che, connotata com’è da profonda omertà, necessita di ogni possibile forma di controllo che vada oltre l’acquisizione di dichiarazioni».

Tensione in famiglia - E ai parenti di Danilo qualcosa può scappare. Perché nella famiglia Restivo, sottolineano gli investigatori, in quel momento c’è «forte tensione». Anna Restivo «più volte», scrivono i magistrati, critica «l’operato delle forze dell’ordine» ed «esprime dubbi anche sulla condotta dell’avvocato Mario Marinelli». Con il padre parla della mancata consegna alla polizia dei vestiti indossati da Danilo il giorno del delitto. Maurizio sostiene di non avere colpe. La figlia la pensa in modo opposto: «Consegnare i vestiti sarebbe stata la cosa migliore da fare, perché erano solo infangati, sopra non c’era nulla». Maurizio si difende: «Non sarebbe cambiato nulla». E comunque lui, in quell’occasione, ha seguito il consiglio dell’avvocato. Disse «di non consegnare niente in assenza di un mandato di un giudice». Poi, per indurre la figlia a cambiare argomento, torna sul ritrovamento dei resti di Elisa, sulla chiesa e sulle «altre persone coinvolte». Quali? È questo il nodo che l’inchiesta bis della Procura di Salerno sta cercando di sciogliere.


http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/notizia.php?IDNotizia=470539&IDCategoria=12

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