L’ergastolo con possibilità di applicare la pena di morte,a discrezione del Papa,più la confisca di tutti i beni e questo per un solo bacio,magari neanche dato.Ma non c’è da stupirsi.Documenti dell’epoca testimoniano,infatti,come la pena capitale venisse ugualmente applicata qualora il condannato a morte fosse morto prima dell’esecuzione.In questo caso la pena veniva comminata al cadavere nello stesso carcere,forse per risparmiare lo spettacolo (indegno) al popolo. Se era questo il trattamento per i morti figuratevi quello per i vivi! Non andava infatti meglio ai malati. Il malato condannato a morte veniva curato,medicato e risanato in modo che potesse subire la condanna a morte.Pietà cristiana?Neanche l’ombra…A titolo di esempio vi riporto la storia del povero abate Filippo Rivarola(3),colpevole di aver scritto delle pasquinate(1) contro Papa Clemente XI(4).Il pontefice “permaloso” sosteneva che la satira dell’abate avesse leso la sua reputazione. Rivarola fu poi accusato anche di essere in combutta con gli eretici così il tribunale dell’inquisizione lo condannò a subire varie torture,tra cui la terribile veglia(5),fissando la pena di morte per 4 agosto 1708.Ma il povero abate era talmente stremato dalle torture che arriva agonizzante al giorno dell’esecuzione.Il Papa allora comandò che fosse curato per farlo rinsavire.Quando si riprese Rivarola fu portato dal boia che lo giustiziò con la ghigliottina(4).Si racconta che la scena fu così macabra che il popolo sussultò e si infuriò così tanto che dovette intervenire l’esercito pontificio.
mercoledì 5 ottobre 2011
TORTURA E CONDANNA A MORTE NELLA GIUSTIZIA CIVILE DEL VATICANO
La storia della condanna a morte nello Stato Pontificio e le sue terribili torture.Ripercorriamo uno degli aspetti più macabri della storia della Chiesa Cattolica
Non uccidere,recita il sesto comandamento.Se lo saranno dimenticati nei palazzoni vaticani quando,sin dal Medioevo, la condanna a morte entra a pieno titolo nella giustizia civile del Vaticano.Infatti,non diversamente da quanto accadevo in Italia e in Europa,anche nello Stato Pontificio era prevista la condanna a morte degli omicidi e dei briganti,ma anche dei sovversivi e dei rivoluzionari.Le pena era prevista anche per reati minori come il furto,la falsificazione di monete,la scrittura di pasquinate(1) e persino,udite udite,per un “bacio in pubblico a donna onesta”(2)anche se “non giunga effettivamente al bacio,ma solo all’atto prossimo dell’amplesso”(2).La legislazione prevedeva per questo reato la “Galera in perpetuo da stendersi anche a quella della vita ad arbitrio di S.E. e della confiscazione dei beni”(2).
L’ergastolo con possibilità di applicare la pena di morte,a discrezione del Papa,più la confisca di tutti i beni e questo per un solo bacio,magari neanche dato.Ma non c’è da stupirsi.Documenti dell’epoca testimoniano,infatti,come la pena capitale venisse ugualmente applicata qualora il condannato a morte fosse morto prima dell’esecuzione.In questo caso la pena veniva comminata al cadavere nello stesso carcere,forse per risparmiare lo spettacolo (indegno) al popolo. Se era questo il trattamento per i morti figuratevi quello per i vivi! Non andava infatti meglio ai malati. Il malato condannato a morte veniva curato,medicato e risanato in modo che potesse subire la condanna a morte.Pietà cristiana?Neanche l’ombra…A titolo di esempio vi riporto la storia del povero abate Filippo Rivarola(3),colpevole di aver scritto delle pasquinate(1) contro Papa Clemente XI(4).Il pontefice “permaloso” sosteneva che la satira dell’abate avesse leso la sua reputazione. Rivarola fu poi accusato anche di essere in combutta con gli eretici così il tribunale dell’inquisizione lo condannò a subire varie torture,tra cui la terribile veglia(5),fissando la pena di morte per 4 agosto 1708.Ma il povero abate era talmente stremato dalle torture che arriva agonizzante al giorno dell’esecuzione.Il Papa allora comandò che fosse curato per farlo rinsavire.Quando si riprese Rivarola fu portato dal boia che lo giustiziò con la ghigliottina(4).Si racconta che la scena fu così macabra che il popolo sussultò e si infuriò così tanto che dovette intervenire l’esercito pontificio.
L’ergastolo con possibilità di applicare la pena di morte,a discrezione del Papa,più la confisca di tutti i beni e questo per un solo bacio,magari neanche dato.Ma non c’è da stupirsi.Documenti dell’epoca testimoniano,infatti,come la pena capitale venisse ugualmente applicata qualora il condannato a morte fosse morto prima dell’esecuzione.In questo caso la pena veniva comminata al cadavere nello stesso carcere,forse per risparmiare lo spettacolo (indegno) al popolo. Se era questo il trattamento per i morti figuratevi quello per i vivi! Non andava infatti meglio ai malati. Il malato condannato a morte veniva curato,medicato e risanato in modo che potesse subire la condanna a morte.Pietà cristiana?Neanche l’ombra…A titolo di esempio vi riporto la storia del povero abate Filippo Rivarola(3),colpevole di aver scritto delle pasquinate(1) contro Papa Clemente XI(4).Il pontefice “permaloso” sosteneva che la satira dell’abate avesse leso la sua reputazione. Rivarola fu poi accusato anche di essere in combutta con gli eretici così il tribunale dell’inquisizione lo condannò a subire varie torture,tra cui la terribile veglia(5),fissando la pena di morte per 4 agosto 1708.Ma il povero abate era talmente stremato dalle torture che arriva agonizzante al giorno dell’esecuzione.Il Papa allora comandò che fosse curato per farlo rinsavire.Quando si riprese Rivarola fu portato dal boia che lo giustiziò con la ghigliottina(4).Si racconta che la scena fu così macabra che il popolo sussultò e si infuriò così tanto che dovette intervenire l’esercito pontificio.
Non fu la prima né l’ultima condanna,né il primo né l’ultimo tumulto nato dal disgusto della scena.Disumane le torture previste.Tremendi i sistemi di esecuzione capitale previsti: impiccagione,taglio della testa,squarto,rogo e ghigliottina.Addetto all’esecuzione il Boia,noto anche come maestro della Giustizia.Tra le pratiche più macabre messe in atto dal boia c’era sicuramente lo squarto.Di cosa si tratti lo si capisce già dal nome.Alla vittima,una volta bendata,venivano legati mani e piedi.Poi veniva colpita con un martello alla tempia.Infine gli veniva tagliata la carotide ed amputati mani e piedi.Una tortura talmente disumana che fu soppressa durante il pontificato di Benedetto XIII (1724-30)per poi essere ripristinata dal suo successore Clemente XII.
LA TORTURA COME ASSAGGIO DELL’AGONIA
In epoca medievale la tortura era vista come un assaggio dell’agonia antecedente la morte del condannato. Non era esente dal praticarla,come abbiamo visto, lo stato pontificio che, se così si può dire, saggiò tutte le torture più macabre e disumane. Ruote,cavalletti,ferri roventi,corde,pece liquefatta erano i “gingilli” più usati durante le torture.Cronache dell’epoca ci raccontano due torture davvero sadiche,a cui erano destinati gli accusati di delitti minori.Esse erano
a)Il Tormento della sete: consisteva nel nutrire l’accusato,mantenuto costantemente in ambienti caldissimi,con cibi molto salati.Il povero torturato doveva persino vedere fiumi di acqua limpida scorrere al suolo senza poterla bere in alcun modo.Ma non finisce qui. Sull’ombellico del malcapitato venivano posti topi e/o insetti vari..Che dire,ecco a voi la carità cristiana!
b)Il Tormento della Corda,pratica antichissima, che consisteva nel tenere sollevata una persona legandola per le mani,in modo tale che queste sostenessero da sole il peso del corpo ed, infine,si slogassero.
Queste le torture più lievi,se così si possono definire. Possiamo solo immaginare come siano quelle più dure e crude..
LA CONFRATERNITA DELLA MISERICORDIA
Dopo tutto quello che abbiamo letto,potrà sembrare grottesco quanto segue. I poveri condannati dapprima dovevano subire le terribili torture descritte (non decisamente cristiane), poi erano uccisi (altra cosa non propriamente cristiana. Ma c’era un intermezzo “cristiano” e questo spazio era ricoperto dai “confortatori della confraternita della Misericordia” il cui compito era accompagnare i condannati a morte al supplizio tentando di convincerli a pentirsi per la salvezza dell’anima. Il loro compito maggiore si espletava per tutto il cammino che separava la cella dal patibolo. Orazioni,litanie,preghiere e una tavoletta,raffigurante la crocifissione,da baciare continuamente: questo era quanto precedeva la condanna a morte del reo.Tutto per convincere i peccatori a pentirsi..Chi è senza peccato scagli la prima pietra verrebbe da dire.Un ruolo questo della confraternita quanto mai grottesco visto quello che subivano i poveri condannati a morte.
Note
1) Le cosiddette pasquinate erano dei cartelli e dei manifesti satirici che durante la notte venivano preferibilmente appesi al collo di alcune statue (fra cui Pasquino, da cui il nome) posizionate in luoghi frequentati della città, in modo che al mattino successivo potessero essere visti e letti da chiunque, prima che la polizia dell'epoca li asportasse. Le pasquinate colpirono molti personaggi, la maggior parte dei quali noti per aver preso parte all'esercizio del potere temporale del papato.
2) I Peccati del Vaticano,di Claudio Rendina,pagina 194
4) Riporto un paragrafo tratto dal libro “Roma segreta” di Pierluigi Marrone, editore Polo Books [Roma, 2007 - pp. 33-4].
“Toccò a Clemente XI, Albani (1700-1721), l’onore di condannare a morte, nel 1708, il primo giornalista o “fogliettante”, come allora veniva chiamato, che la storia ricordi; si trattava dell’Abate Filippo Rivarola, accusato dal Papa di aver tentato di lacerare la sua reputazione «con il dente ferino delle sue furiose mordacità».
“Accusato di aver stretto rapporti con eretici, e di aver con i suoi scritti offeso l’autorità papale, Rivarola venne sottosposto ad atroci torture, tra le quali l’orribile veglia, e condannato poi dal Tribunale del S. Uffizio alla pena capitale alle 12 del 4 Agosto 1708. Ma il povero abate, provato dalle torture, era febbricitante e già avviato verso la fine, tanto che per non rischiare che morisse prima, l’esecuzione venne fissata per le 17 dello stesso giorno sulla piazza di Ponte S. Angelo; ma ecco il resoconto di un cronista dell’epoca: «…il Maestro di Giustizia (il boia) dopo averle messa e più volte aggiustata la testa, quale non era a giusto filo della mannara la quale gli tagliò un pezzo di mento: ma per rimediare prese il mannarino (l’accetta) e gli tagliò con questo il resto del collo, che stava attaccato a una ganascia; in questo mentre si levò un gran sussurro di popolo contro il Carnefice, essendogli tirate delle sassate…»
“Il disprezzo assoluto, l’incapacità e la ferocia del boia scatenarono infatti nella piazza pericolosi tumulti, sedati a fatica dai soldati”.
5) La tortura chiamata la veglia — continua il bravo domenicano — prende questo nome perché si suppone che colui cui è applicata per la durata di dodici ore complete, non possa dormire, a cagione degli acuti e continui dolori che soffre. Giudicatene.
L’imputato viene spogliato tutto nudo e rasato, gli si attaccano le braccia dietro il dorso, come abbiamo veduto per la corda. Lo si fa cadere per terra e gli si legano i piedi ad un lungo e grosso bastone, distaccati un dall’altro quanto più è possibile. Quindi tre o quattro uomini lo sollevano all’altezza di quattro piedi; mentre essi lo tengono disteso, si ferma la corda che gli lega le braccia ad un gancio, infisso nel muro a circa sei piedi d’altezza, e si mette sotto le natiche del paziente un tronco di 4 piedi d’altezza, in mezzo al quale sorge un cavicchio alto quattro o cinque pollici, largo da nove o dieci linee, sul quale si appoggia l’osso sacro del paziente: è sovr’esso che deve riposarsi senza muoversi; è sovr’esso che deve gravare il suo corpo per tutto il tempo che dura la tortura. S’egli scivola giù da questo perno, sente subito i dolori della corda che gli disloca le spalle, perché non ha sostegno: lo si rimette tosto su questo doloroso cavicchio, ove deve tenersi in equilibrio il corpo, con sofferenza indescrivibile. Si dice che le prime tre o quattro ore sono le più difficili a sopportarsi, perché i sensi trovandosi ancora nella piena vigorezza, sono più suscettibili del dolore, di quanto si trovano affievoliti, prostrati, ottusi, per adoperare un termine tecnico. Di consueto in queste quattro prime ore il paziente si scarica e questo gli serve di sollievo; se non lo fa c’è da temere per la sua vita.
Qualunque cosa gli accada in quello stato di dolore non gli si porge altro sollievo, che alcune goccie d’acqua della regina d’Ungheria, soffiatagli sul volto, dopo averlo avvertito, affinché non faccia de’ bruschi movimenti per la sorpresa, i quali aumenterebbero le sue pene.In tale stato suda abbondantemente per effetto della contrazione in cui si trova e dei dolori che soffre. Il sudore della parte superiore della testa gli cala sulle nari e si dice che gli cagioni una inquietezza e un prurito insopportabile.
Bibliografia
La Pietà dei carcerati: confraternite e società a Roma nei secoli XVI-XVIII
I Peccati del Vaticano,Claudio Rendina pagina 194 e seguenti
“Roma segreta” di Pierluigi Marrone, editore Polo Books [Roma, 2007 - pp. 33-4].
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