martedì 9 agosto 2011

LA FINANZIARIA LACRIME E SANGUE NON TOGLIE NEANCHE UN EURO DEI PRIVILEGI CONCESSI AL VATICANO..


Tempo di crisi, tempo di risparmi. L’Europa ci minaccia di commissariamento. Il governo anticipa al 2013 la manovra di pareggio di bilancio prevista per l’anno successivo che prevede, tra gli altri tagli, 20 miliardi di euro in meno per il welfare. Su ogni famiglia italiana grava oggi un debito medio di 19mila euro.
Il calcolo di quanto ci costa ogni anno la Chiesa non  facile, e non può essere che approssimativo e al ribasso. In un’inchiesta del 2007 condotta per Repubblica (di cui consigliamo vivamente la lettura), Curzio Maltese dichiara che la Chiesa grava sui contribuenti italiani non meno del ceto politico, ossia per oltre 4 miliardi di euro l’anno.
La Chiesa, sempre pronta a mettere bocca negli affari italiani, tace. E ha ottimi motivi per farlo. Nessuno degli ingenti tagli che il ministro dell’Economia prevede per pareggiare il disastroso bilancio italiano tocca i contributi economici e gli sgravi fiscali che lo Stato italiano concede al Vaticano ogni anno. Saremo tutti più poveri, ci sobbarcheremo di ulteriori dazi per risanare i conti dello Stato mentre la teocrazia d’Oltretevere potrà continuare a contare come se nulla fosse sul nostro congruo e fedele finanziamento.
La cifra include sia i finanziamenti diretti da parte dello Stato e degli Enti locali sia i mancati introiti del gettito fiscale. I  primi comprendono la quota di otto per mille dell’Irpef che ogni anno finisce nelle casse della Cei  (circa 1 miliardo di euro), gli stipendi degli insegnanti di religione, scelti dalla Curia ma stipendiati dallo Stato (circa 650 milioni), il finanziamento alle scuole e agli istituti di cura cattolici (circa 700 milioni), i sovvenzionamenti dei Grandi eventi a carattere religioso (una voce variabile stimata mediamente intorno ai 250 milioni l’anno). La valutazione precisa dei mancati introiti fiscali, invece, è più complicata e riguarda gli immensi  privilegi di cui gode la Chiesa, per altro oggetto di richiamo – naturalmente ignorato – dell’Europa all’Italia. Tra questi spiccano l’esenzione dell’Ici per gli immobili ecclesiastici (dai 400 ai 700 milioni), le esenzioni da imposte quali Ires e Irap (circa 500 milioni), l’elusione fiscale del turismo cattolico che porta in Italia 40mila pellegrini ogni anno (circa 600 milioni).
Quattro anni sono trascorsi da questa inchiesta, ma non sembra ci siano ad oggi elementi per pensare che la cifra sia diminuita, semmai il contrario. Non dimentichiamo che l’attuale governo ha pagato in moneta contante il perdono per gli affari di letto con minorenni e prostitute del presidente del Consiglio (vedi i finanziamenti per la ristrutturazione degli immobili ecclesiastici danneggiati dal terremoto dell’Aquila, quelli per le “Campagne per la vita” contro la pillola abortiva, gli aumenti degli stipendi degli insegnanti di religione…). E laddove non ha sborsato direttamente denaro, ha “ceduto” alcuni fondamentali diritti civili, il cui mancato riconoscimento è comunque una tassa economica sulla collettività. Solo per fare qualche esempio, quanto costa al sistema sanitario nazionale l’ostruzionismo verso l’aborto chimico o la contraccezione di emergenza? Quanto paghiamo la mancata istituzione di adeguate campagne informative su una sessualità sicura e protetta da rischi di gravidanze e malattie? Quanto incide sulle tasche delle coppie non coniugate la loro convivenza more uxorio? Quanto denaro finisce all’estero a causa del turismo riproduttivo generato dai veti della legge sulla procreazione assistita?
Nonostante la gravissima crisi finanziaria attuale, tra i titoloni che figurano in questi giorni su tutti i quotidiani non c’è un solo accenno allo sperpero di denaro pubblico volto a finanziare la Casta cattolica. Non un’intervista alle Eccellenze vaticane per sapere quale posizione assuma la Cei riguardo alla disperata situazione economica italiana.  E, quel che è peggio, nessuna proposta politica per dirottare la scure della manovra dal necessario (lo stato sociale) al superfluo (la religione).
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