Se per caso, nelle discussioni o nelle riflessioni sulla veridicità della religione, salta a un certo punto fuori la questione dei miracoli (e salta sempre fuori), allora dobbiamo sapere che, su questa base, c'è solo l' imbarazzo di decidere di credere a una religione piuttosto che a un' altra. Infatti, tutte le religioni offrono un vasto repertorio di miracoli e riesce piuttosto difficile credere, considerando che i criteri di attendibilità e il carattere delle testimonianze sono più o meno gli stessi dovunque, che un miracolo sia più miracolo di altri, quale che sia il tempo in cui sarebbe avvenuto. Non scomoderò lo scrittore del II/III secolo dell' era volgare, Filostrato Flavio e il suo racconto della Vita di Apollonio di Tiana, un "santo" pagano i cui miracoli venivano opposti a quelli di Gesù. (46)
Anche se, naturalmente, nel caso di Apollonio i cristiani parlavano di magia e stregoneria. D' altra parte, anche l' islam presenta i propri miracoli e non si capisce quale sia il motivo per cui debbano essere meno credibili di quelli cristiani o induisti o buddisti. (47)
In una gran parte dei casi si può parlare di impostura, riprendendo la critica dell' Illuminismo alle credenze religiose, in altri si può rinviare al funzionamento della psiche umana e in altri ancora a dinamiche naturali interpretate come intervento divino. In ogni caso, qui la superstizione è sempre in agguato. Carlo Augusto Viano, un filosofo della scuola torinese, già membro del Comitato nazionale di Bioetica, affronta il problema dal punto di vista storico-filosofico. (48) Mentre, se si vuole esaminare una documentazione di carattere più analitico sul fenomeno miracolo, si può utilmente leggere il libro di Maurizio Magnani Spiegare i miracoli. (49)
Augusto Viano affronta subito la questione della reazione della cultura al profluvio di santi proclamati da Giovanni Paolo II, di gran lunga il maggior numero mai promosso da un Papa (482!), per accusarla "di aver guardato altrove", salvo pochi casi. Il fatto è che per essere proclamati santi, dopo il passaggio a beati bisogna aver compiuto almeno due miracoli accertati. Dunque, quel pontificato avrebbe accertato 964 miracoli: 964 violazioni del funzionamento ordinario e naturale del mondo. Ora, Benedetto XVI si appresta a cercar di superare il suo predecessore con l’avvenuta proclamazione, tutta d'un colpo, di ben 498 beati spagnoli. Il minimo che si possa dire dell'iniziativa è che santi e beati, piuttosto che alludere a un paradiso, hanno a che fare con ben concrete azioni politiche della Chiesa, qui, su questa Terra.
Ma, si chiede Viano, "le leggi naturali vanno prese sul serio o sono soltanto povere costruzioni umane in una realtà nella quale la penombra della probabilità è più ampia dei piccoli nuclei di certezze?" Si tratta di una domanda fondamentale, perché è proprio attraverso i varchi aperti nel processo di accumulazione delle conoscenze scientifiche – che non raggiungerà mai un termine - che la religione si insinua interpretando ciò che c'è al di là di quei varchi come riferibile alla sfera divina, quale che sia il fenomeno di cui si sta parlando. Naturalmente si tratta di un'interpretazione non sottoponibile a verifica, ma solo a un atto soggettivo di assenso.
L'autore mette sotto accusa anche quei filosofi che sostengono che la filosofia seria deve restare aperta alla possibilità del miracolo; "perché se non lo facesse... sarebbe dogmatismo". Ecco un esempio da manuale del pessimo sotterfugio di rovesciare come un guanto i concetti per fargli esprimere il contrario di ciò che significano. D'altra parte, aggiunge l'autore, "ai filosofi va bene così: rimasti privi di strumenti di conoscenza effettiva dei fatti, partecipano al coro della comunicazione...".
I miracoli sono, per un credente, moneta corrente, sia che si tratti di sospendere le leggi fisiche a suo favore, sia che emergano da qualche fenomeno inatteso, sia che si tratti dell'attribuzione di eventi mancati. L'affare dei miracoli, per la nostra storia culturale, può cominciare con il re-sacerdote di Roma Numa Pompilio (anzi, con gli Etruschi) e continuare con Pitagora, accreditato di diversi miracoli e di andare e tornare a suo piacimento dal regno dei morti. I santuari pagani, poi, erano pieni di piedi, mani, viscere e di ogni parte del corpo, dedicati in terracotta a testimonianza di migliaia di per grazia ricevuta. "Noi – scriveva Voltaire nel Dizionario filosofico – rimproveriamo agli antichi i loro oracoli, e i loro troppi prodigi: se essi ritornassero al mondo, e si riuscisse a contare i miracoli della Madonna di Loreto per paragonarli a quelli della loro Madonna di Efeso, in favore di chi penderebbe la bilancia?". (50)
Poiché anche i pagani riuscivano a esibire dei miracoli, il cristianesimo risolvette il problema affermando che, in quei casi, si trattava di superstizioni o di arti magiche, quando non demoniache, perché un miracolo ottenuto in nome di una religione non vera è del tutto fasullo, mentre quelli ottenuti in nome di una vera religione, sono una manifestazione della potenza divina. Strano ma non inusuale ragionamento quando si tratta di fede, avviato da Tertulliano e poi perfezionato da Origene e Agostino di Ippona, secondo il quale "per distinguere tra miracoli autentici e le diavolerie, bisogna guardare non ai fenomeni prodigiosi, ma agli autori dei miracoli: sono veri quelli che conducono alla vera religione, perché è il fine per cui sono compiuti che distingue i miracoli del popolo di Dio da quelli dei maghi e dei teurghi". Del resto, questa buffa logica continua a circolare ancora oggi, specialmente nel confronto tra religioni diverse.
Uno dei casi più recenti riguarda Giovanni Paolo II, come è messo in evidenza da Richard Dawkins nel libro che vedremo più avanti, a proposito dell'attentato da lui subito nel 1981, quando il Papa attribuì a un intervento di Nostra Signora di Fatima il "miracolo" di essere sopravvissuto. "Una mano materna guidò il proiettile" – dichiarò. Ora, commenta Richard Dawkins, "non si può fare a meno di chiedersi perché la Madonna non lo guidò in maniera da mancarlo del tutto". E poi, perché proprio quella di Fatima? Tra l'altro, osserva Viano, sembra esistere una strana competenza territoriale, per cui la Madonna appare solo nei paesi cattolici.
Le guarigioni inattese sono il pezzo forte della storia dei miracoli. Prendiamo appunto il caso delle centinaia di milioni di pellegrini malati che, fino ad oggi, sono andati a Lourdes. La Chiesa, in cento cinquanta anni di pellegrinaggi, ha riconosciuto finora solo sessantacinque (o sessantasette) miracoli. Ora, hanno osservato il matematico Piergiorgio Odifreddi e altri "la media, inferiore a uno su un milione, è di gran lunga più bassa della percentuale delle remissioni spontanee dei tumori, che è dell'ordine di uno su diecimila... A un malato di cancro converrebbe cento volte di più stare a casa che scomodarsi a fare un pellegrinaggio a Lourdes!".
Eppure, anche se non si va a Lourdes il miracolo ricavato dall'ignoranza statistica esiste sempre per i credenti. Prendiamo il sito Web, segnalato da Richard Dawkins, che mette insieme niente di meno che 565 proposizioni che dimostrerebbero l'esistenza di Dio, la maggior parte delle quali sono dei ragionamenti circolari, quando non esilaranti, e nessuna è consistente, mentre la numero otto ricava un supposto miracolo dalla dimostrazione seguente: i.) Mia zia ha il cancro; ii.) il dottore le ha dato tutti i terribili trattamenti; iii.) mia zia ha pregato Dio e ora non ha più il cancro; iv.) quindi, Dio esiste.
Non si specifica quale dio ha pregato la zia, né si citano tutti i casi in cui il paziente, senza aver pregato, ha avuto una guarigione sorprendente. (51) In effetti, un argomento popolare di tutte le religioni sono i miracoli, che rappresentano dei veri e propri mutamenti dell'ordine naturale. Nel caso cristiano c'è stato un lungo lavorio per dare un'interpretazione non anarchica a questi sovvertimenti del mondo, fino a Tommaso d'Aquino, secondo il quale “sebbene Dio talvolta introduca tra le cose qualcosa che è fuori del loro ordinamento, tuttavia non fa nulla contro la natura”.
Una posizione molto differente da quella assunta duecento anni prima dal filosofo, giurista e mistico arabo Al-Gazālī, secondo il quale "le azioni degli uomini sono create da Dio eccelso; acquisite dagli uomini; volute da Dio eccelso; Egli si degna di creare e di inventare; egli può imporre compiti insostenibili; Egli può far soffrire l'innocente e non è tenuto ad operare il meglio per le proprie creature". Dopodiché, dove l'intelletto e la ragione si fermano di fronte a ciò che di incomprensibile accade, intervengono la profezia e i miracoli. L'attendibilità del Profeta sarebbe comprovata proprio da questi ultimi, "come la luna spaccata, le pietre pronuncianti parole di lode, le cose mute fatte parlare, l'acqua zampillante dalle dita di lui".
Poiché l'inganno è sempre in agguato, osservava poi Al-Gazālī, “per valutare i miracoli occorre considerare la fede che essi pretendono di testimoniare, in particolare la loro compatibilità con il Corano”. Che è l'identica posizione assunta in campo cristiano dagli apologeti citati, per quanto Al-Gazālī rimane un esponente della maggioritaria scuola teologica antirazionalista (maggioritaria anche attualmente), mentre in campo cristiano il rapporto con la ragione e con l'autonomia della persona è più complesso e articolato. Comunque, osserva Viano, alla fine “filosofi cristiani, musulmani ed ebrei avevano trovato nell'aristotelismo neoplatonico un buon filtro per le proprie teorie del miracolo, che diventava un evento raro, eccezionale, ma possibile”.
Con il Rinascimento, inizia in Occidente un processo di laicizzazione della visione del mondo e degli accadimenti naturali. Per molti intellettuali del Rinascimento i prodigi rivendicati dal cristianesimo erano moneta usuale anche di altre religioni; perciò esso appariva soltanto come una delle religioni dell'umanità. Tanto che Machiavelli, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio poteva osservare che "la comparsa e scomparsa delle religioni segue un ritmo naturale e ha a che fare non con la salvezza degli uomini dopo la morte, ma con la loro sopravvivenza in società terrene". (52)
Concetto ampiamente ripreso oggi anche dagli atei devoti, i quali continuano evidentemente a appoggiarsi alla funzione della religione così come la delineò Leone XIII nella sua enciclica Diurtunum Illud del 1881: “[...] Pertanto è necessario trovare una più alta ed efficace ragione di obbedire e stabilire assolutamente che non può essere fruttuosa la stessa severità delle leggi, se gli uomini non sono spinti dal dovere e mossi dal timore salutare di Dio. Ciò poi può essere soprattutto ottenuto dalla religione, la quale con la sua forza influisce sugli animi, e piega le stesse volontà degli uomini affinché obbediscano ai reggitori non soltanto con l’ossequio, ma altresì con la benevolenza e con la carità, che sono in ogni società umana la migliore custode della incolumità. [...]” (53)
Quella che Viano definisce la fine dei miracoli, ossia l'elaborazione più matura di una visione di ciò che appare o non appare miracoloso secondo il livello raggiunto dalla conoscenza, appartiene agli empiristi inglesi tra Seicento e Settecento (Hobbes, Locke e Hume in particolare). A questa fase del pensiero Viano dedica alcune tra le pagine più interessanti del libro, perché assistiamo alla nascita di uno scetticismo più maturo e del primo e più evidente conflitto tra una scienza sempre più sicura dei propri mezzi e una filosofia religiosa che continua a interpretare il mondo secondo canoni teologici. La reazione religiosa a questo avanzamento della ragione non si fece attendere e portò in genere il timbro di una rivalutazione dell'esperienza soggettiva e di una svalutazione dei fatti.
Thomas Sherlock, arcivescovo di Londra, sostenne che "il corso della natura o le leggi di natura sono formate da ciascuno di noi a partire dalla nostra esperienza e dal nostro ragionamento", ma questi non sono cose concrete e "quando uno vede fatti che contraddicono le nozioni suggerite dalla legge della natura, ammette i fatti, dal momento che crede a se stesso". Un ragionamento di straordinaria attualità visto che Enrico Bellone, il direttore de Le Scienze, è stato costretto ad attaccare il notissimo sociologo Edgard Morin, secondo il quale si sta profilando un mondo nuovo e meno razionale per cui "la scomparsa delle Leggi della Natura pone infine la questione della natura delle leggi". (54) Scomparsa delle leggi di Natura? Ci aveva già pensato il vescovo di Londra trecento cinquanta anni fa.
Dopodiché siamo al periodo dell'Illuminismo. Kant, nel sostenere la religione in quanto istituzione necessaria, dava ai miracoli uno statuto particolare, opportuno per sostenere una fede storica, e affidava ai filosofi naturali il compito di evitare, fin dove possibile, "di ravvisare un miracolo in qualche evento particolare", mentre solo un pubblico colto avrebbe potuto giudicare dell'attendibilità dei miracoli. Tuttavia, "in una prospettiva infinita una religione puramente etica avrebbe potuto assorbire completamente la religione storica e rendere non più necessari i miracoli". Un approccio in qualche modo ripreso in seguito dal gesuita Theilard de Chardin. Voltaire, invece, "non si perdeva in discussioni erudite o nell'esame delle testimonianze, ma attaccava direttamente la storia sacra, accettata anche dai deisti", oltre che le superstizioni, anche oggi parenti strette delle credenze religiose nella concreta e diffusa pratica corrente, come ci ha documentato con le sue ricerche Alfonso M. Di Nola. (55)
Il Romanticismo segnò una ripresa nella credenza dei miracoli, soprattutto con l'abbandono di un approccio scientifico e con la trasfigurazione mitica dei fenomeni ai quali si assegnava però una non minore concretezza. Il simbolo della svolta romantica può essere considerato Schelling, che metteva da parte qualsiasi apprezzamento scientifico, "liberandosi della scienza della natura moderna", e storicizzando tutto. Per cui i miti storici (comprensivi dei miracoli) rivelerebbero "la realizzazione di un piano" e perciò "non devono essere messi a confronto con i fatti naturali". Del resto, la natura nasconderebbe segreti che la scienza non è in grado di spiegare, sostenevano gli esponenti di questa tendenza, come la telepatia il mesmerismo, le azioni psicologiche a distanza. Con un gioco di prestigio retorico – come del resto continua ad accadere – ecco che scompariva la scienza e qualsiasi fenomeno reale o supposto tale veniva messo sullo stesso piano di verità. Di questo clima risentiva persino un hegeliano radicale come Feuerbach che, con un tipico rovesciamento logico, tuttora molto frequentato, assegnava la pratica del soggettivismo agli scienziati, mentre gli uomini di fede avevano una certa superiorità "perché la religione anticipa la filosofia, mentre la scienza rimane imprigionata nelle ombre del sapere soggettivo".
David Friedrich Strauss, invece, cercava di storicizzare sia il cristianesimo sia i miracoli, respingendo i tentativi di spiegazioni naturalistiche e osservando che "si trattava di tradurre il linguaggio di un'età precedente in quello dei nostri giorni", senza confondere i miti "con le favole, le finzioni premeditate e le falsità volontarie", poiché essi sono "il veicolo indispensabile di espressione dei primi sforzi della mente umana". La sua Vita di Gesù del 1835 fece epoca, come del resto quella successiva di Ernest Renan, che riduceva la religione ad una necessità pedagogica.
Contro Strauss e contro i tentativi storicisti di dare un senso alla religione e ai suoi miracoli, Nietzsche riteneva che la scienza "dipendesse completamente da idee filosofiche". Il che voleva dire che la filosofia doveva riprendere il dominio sulla scienza. Una pretesa che è all'origine delle discrete deformazioni e dei danni culturali di molta parte degli approcci filosofici contemporanei, se pensiamo che Nietzsche trovò il modo non solo di aggiungere nei Frammenti postumi che "la fioritura delle scienze è resa possibile in una civiltà resa barbara", ma anche che "la scienza respira una sua propria aria vitale in una civiltà al tramonto (come quella alessandrina) e in una inciviltà (come la nostra)". (56)
Ora, osserva Viano, non è che a Nietzsche importasse molto del cristianesimo e dei miracoli, ma aveva in antipatia tutti gli approcci scientifici (oltre che, personalmente, David F. Strauss) e riteneva che tra i miti e le leggi naturali, fossero le seconde a dover soccombere. In sostanza, la sua idea, come quelle di altri del suo tempo, era che "se la credenza nei miracoli era venuta meno, ciò era dovuto non al fatto che la critica illuministica della superstizione avesse avuto successo, ma alla diffusione di una nuova mentalità, incapace di credere nei miti e di credere nel soprannaturale, prigioniera di un sistema di cultura non più dominato da una visione unitaria della realtà, che solo la religione poteva dare".
Tutto ciò, nonostante l'inglese John Stuart Mill, verso la metà dell'Ottocento, avesse riformulato i termini e le metodologie della logica e avesse chiarito piuttosto bene il principio di causalità, per cui "riteneva impossibile ciò che è contrario a una legge di natura causale, stabilita con un'induzione completa, che neppure cento testimonianze potevano smentire". A parte la procedura dell’induzione, Mill aveva anche riformulato l'idea di probabilità utilizzata da alcuni per giustificare l'esistenza dei miracoli, osservando che esiste "la bassa probabilità antecedente attribuibile a un fatto casuale, come l'estrazione di un biglietto con un certo numero da un'urna che ne contiene un milione", mentre "l'improbabilità antecedente del miracolo è una vera e propria impossibilità, perché un miracolo contrasta con le leggi della natura".
Più difficile è il riferire in poche battute i passi dedicati da Viano alle posizioni di Ludwig Wittgenstein, il quale riteneva la credenza nelle cause "una superstizione moderna, con cui si rinnova la fede arcaica in Dio e nel fato". Oltre a ciò, Wittgenstein riteneva che non si può richiedere "a una scienza di dire qualcosa sul significato ultimo della vita e nei suoi Quaderni affermava che "credere in Dio significa vedere che la vita ha un senso". (57) Forse avrebbe detto meglio che significava immaginarsi un senso della vita.
Tuttavia, riconosceva una netta separazione tra la sfera del naturale e quella del soprannaturale, per cui "soltanto il soprannaturale può esprimere il soprannaturale". Perciò la fede non ha nulla a che fare con l'intelletto; essa a che fare con il fatto "di essere stati allevati in un certo modo, di modellare la vita in un certo modo, di avere avuto sofferenze di vario tipo". La quale osservazione è certo da condividere ma, con la sua teoria dei giochi linguistici, tutti sostanzialmente equivalenti, Wittgenstein riaprì contemporaneamente una strada "per recuperare esperienze religiose, riti e credenze nei miracoli" e così la rivoluzione logicistica – osserva Viano – "metteva capo a una soluzione cara alla filosofia accademica ottocentesca e novecentesca, ponendo una accanto all'altra le diverse forme di esperienza, ciascuna legittima di per sé".
Del resto, rimanendo imprigionato nei giochi linguistici e avversando la teoria darwiniana, l'esito dato da Wittgenstein a questo aspetto della sua filosofia non era particolarmente originale. Tra l'altro, è curioso osservare come, essendo secondo lui le leggi scientifiche forme generali "nelle quali si possono costruire proposizioni che descrivono il mondo senza stabilire un nesso tra quelle proposizioni", si apre la strada a un intervento continuo e invasivo della divinità nei fatti del mondo, anche i più minuti. Un'idea assai simile a quella praticata nell'islam, come vedremo parlando di un libro di Bernard Lewis.
A partire da James Frazer e dal suo ancora fondamentale libro Il ramo d'oro (criticato da Wittgenstein), lo studio sulle religioni e sui miracoli ha assunto invece un connotato antropologico e etnologico più preciso e sistematico, che ha avuto una notevole importanza nel Novecento, seppure non secondo le linee tracciate da Frazer. (58) Ciò nonostante, anche attraverso la breccia aperta da Wittgenstein, teologi e filosofi si sono industriati a parlare delle credenze religiose non in termini di realtà fattuale ma di significato. "Il significato – scrive Viano – era la sede appropriata: quando le Scritture riferiscono eventi prodigiosi ci si deve domandare non se siano realmente accaduti, ma quale sia il loro significato. Kant, Schleiermacher, Hegel lo avevano tanto raccomandato: non domandarsi se a Cana l'acqua si fosse davvero trasformata in vino".
Il fatto è, come hanno sostenuto Jürgen Habermas e altri "che la cultura occidentale moderna non ha del tutto assorbito nemmeno la rivoluzione copernicana". Forse è per questa ragione che il filosofo francofortese - come sostiene Paolo Flores D'Arcais nel numero monografico di MicroMega, Per una riscossa laica – cerca da anni, invano, di conciliare l'ispirazione illuminista con la fede. (59) Certamente questo ritardo culturale anche rispetto a un evento così remoto come la rivoluzione copernicana è vero per l'Italia e per il modo di pensare comune (figurarsi, poi, a proposito dell'evoluzionismo), ma a questo esito ha contribuito tanta parte della filosofia contemporanea (e della parte prevalente della mentalità cattolica, aggiungo) che si è ingegnata "a considerare sempre più la scienza come una forma particolare di sapere, riservato a specialisti, eventualmente utile (e pericolosa) per la sua fecondità nel generare tecniche di manipolazione, ma incapace di dare accesso alla realtà, di scoprirne le leggi, di esplorare l'esperienza e di suggerire i modi di interpretarla". Ciò che è poi il problema e l'interrogativo di fondo che sottostanno come una trama costante a tutto questo saggio.
Infatti, il problema attuale del postmoderno è proprio quello del tentativo costante e assai diffuso di mettere fuori gioco la validità della conoscenza scientifica, senza la quale rimane solo una teoria dell'esperienza condivisa che, "in mancanza di elementi comuni e del tutto frantumata in tipi di esperienze differenti, risulta priva di qualsiasi efficacia critica". Insomma, come ho già detto, Topolino e Monna Lisa starebbero sullo stesso piano.
La sfida, per concludere su Viano, è di far diventare esperienza pubblica la scienza e, aggiungo, di dare l’occasione di un'occupazione più appropriata a gran parte dei filosofi-teologi, se mi è permesso il sarcasmo.
Ovviamente, il più grande miracolo, secondo la religione cristiana, è stata la creazione del mondo, finalizzata alla creazione dell'uomo, da parte di un dio la cui natura non è molto chiara e appare spesso contraddittoria. L'esistenza di un dio – di un’anima invisibile del mondo - dovette essere quasi evidente di per sé agli inizi della coscienza umana, di fronte allo stupore di un cielo stellato, all'accadimento di eventi naturali catastrofici, al dolore e all'angoscia della morte, alla scarsa capacità di controllare gli eventi. Ancora oggi, di fronte alla bellezza della natura e alla complessità del mondo, si tende a riprendere la riflessione del rev. Paley, di cui ho già parlato: "Un orologio implica un orologiaio." Che, in buona sostanza riprende un'argomentazione di Agostino di Ippona.
Come si sa, Isaac Asimov, umanista e razionalista, è stato non soltanto uno straordinario scrittore di fantascienza ma, essendo un biochimico, è stato anche un eccellente divulgatore. I suoi testi hanno avuto successo per la chiarezza e la semplicità con cui è riuscito a spiegare i fenomeni studiati dalla scienza e dai suoi percorsi per arrivare alla verità. Perciò, è un vero peccato che non sia stato ancora ristampato il suo brillante libro In principio. (60) Per la verità, ci sarebbe anche un più recente testo che affronta, sia pure con una struttura diversa, lo stesso argomento, però esteso a tutto l'ambito religioso. Si tratta de Il Vangelo secondo la scienza di Piergiorgio Odifreddi; ma siccome di un altro libro di Odifreddi dirò più avanti non mi pare il caso di parlarne qui. (61)
Quello di Asimov non è un saggio di controversie. La sua efficacia risiede proprio nel fatto che esamina la Genesi in dettaglio e con molto distacco, mettendone asetticamente a confronto le affermazione con i risultati a cui è invece approdata la scienza. Sta all'intelligenza del lettore, che non deve necessariamente essere spumeggiante, tirare le conclusioni di una serie di stravaganti affermazioni contenute nel libro più letto del mondo e per cominciare a riflettere sull'attendibilità di tutto il resto. Naturalmente, nel capitolo iniziale l’autore non si sottrae a alcune argomentazioni preliminari che oppongono credenti e non credenti, tra le quali il fatto che la scienza non sia riuscita a dimostrare la non esistenza di Dio. Ma, obbietta, "non è ragionevole pretendere la prova di una negazione, e in mancanza di questa prova accettare l'affermazione contraria". Dopotutto, aggiunge, la scienza non riuscirebbe nemmeno a dimostrare la non esistenza di Zeus o di una qualsiasi delle migliaia di divinità in cui gli esseri umani hanno creduto o credono. Aggiunge Carlo Bernardini in un suo articolo su MicroMega che “pochi capiscono che dimostrare la non esistenza di entità che non esistono sarebbe un intento che può portare inutilmente alla follia; e perciò cincischiano con impossibili congetture di esistenza”. (62)
In buona sostanza, quello della creazione è uno dei punti di maggiore frizione tra la scienza e la religione. "La Bibbia – scriveva Asimov – descrive un Universo creato da Dio, tenuto in piedi da lui, e da lui intimamente e costantemente diretto; mentre la scienza descrive un Universo in cui non è affatto necessario postulare l'esistenza di Dio". Riprenderò la questione quando parleremo dell'ultimo libro di Richard Dawkins.
Per essere ispirata direttamente da Dio (e per essere interpretata alla lettera da molte sette cristiane), il confronto tra la Genesi e ciò che con certezza sappiamo di come funzionano e di che cosa dicono la fisica, la chimica, la biologia e tutte le altre scienze naturali, assume spesso un andamento comico; che non era certo nelle intenzioni degli autori del Libro produrre. Così come, solo per fare qualche esempio, l'indicazione dell'altezza delle acque raggiunta dal diluvio universale, che non avrebbero coperto nemmeno le colline più basse (c'è qui forse la memoria di quello che non è comunque stato un diluvio universale); (63) oppure, in altra lettura dello stesso testo, che avrebbe coperto persino il Monte Everest; o, ancora, le dimensioni dell'arca di Noé, che sfidano la legge sulla non compenetrabilità dei corpi nel nostro mondo fisico e il fatto che nel natante avrebbero dovuto trovare posto anche gli animali degli antipodi, che naturalmente l'estensore del testo non sapeva che esistessero (ma neppure il suo Dio? e come si saranno salvati? e se si sono salvati nell'arca, come possono esservi arrivati partendo dall'altra parte del mondo? la grande diversificazione delle specie sarebbe avvenuta dopo Noè?); oppure il fatto che lo sviluppo della specie umana, discendente da due soli progenitori, ha come suo evidente fondamento la pratica dell'incesto; per non parlare di un Dio vasaio e chirurgo che crea l'uomo dall'argilla e la donna da una costola di quest'ultimo; oppure, che viene creata prima la Terra e poi il resto dell'Universo.
È anche un Dio un po' debole in demografia perché – osserva Asimov – "se Adamo fece figli con la stessa nostra frequenza, ed ebbe ottocento anni per farli, potrebbe facilmente aver messo al mondo quattrocento maschi e quattrocento femmine [che fecero figli tra loro]. Se ognuno di questi fu altrettanto longevo e altrettanto prolifico, nel giro di quattro generazioni soltanto sarebbero nate venticinque miliardi di persone." Ma questo Dio è anche un fisico dell'atmosfera un po' approssimativo, visto che crea l'arcobaleno dopo il diluvio universale come segno di pace tra gli uomini, come se prima di allora non vi fossero state piogge e vapore acqueo, e quindi l'arcobaleno.
Naturalmente, intere generazioni di commentatori si sono sforzate di distillare interpretazioni che rendessero credibili le storie della Genesi, magari descrivendole come una grande allegoria, oppure in modo simbolico. Vedremo in seguito che la composizione della Bibbia risente non solo di redazioni diverse, messe insieme attorno al 600 dell'Evo antico ma – come la critica storica e filologica ormai ammette – vi sono state trasferite di sana pianta pezzi di storie, leggende e credenze di altri popoli, che credevano in altre divinità e che erano ben più avanti di loro quanto a civiltà.
La cosa più semplice è storicizzare il racconto e leggerlo in chiave di antropologia culturale. Ma, come ha osservato Sam Harris, di cui parlerò tra poco: "Le porte che conducono al di fuori del significato letterale delle Scritture non si aprono dall'interno". Esse sono piuttosto il frutto di un'assimilazione almeno parziale del pensiero critico e scientifico, dei diritti umani, della fuoriuscita dall'isolamento geografico e culturale. Dopotutto, la scoperta dell'immensità dell'universo e del fatto che la galassia in cui noi viviamo è piuttosto periferica nella configurazione del cosmo, ha creato qualche trauma al tradizionale pensiero religioso, quello che deriva da una Bibbia che "colloca l'umanità al centro di un grande dramma cosmico di peccato e salvezza", per usare un'osservazione del premio Nobel per la fisica Steven Weinberg.
È del tutto evidente che il trauma più forte, quello che incide direttamente sulla vulgata religiosa della creazione e sulla sua concezione dell'umanità deriva dalle scoperte di Darwin che, infatti, non sono state ancora assimilate. Sempre Weinberg ha osservato che "il darwinismo fu diverso. Non solo perché la teoria dell'evoluzione, come la teoria di una terra sferica che si muove, era in conflitto con il letteralismo biblico; non solo perché l'evoluzione, come la teoria di Copernico, negava centralità agli esseri umani; e non solo perché l'evoluzione, come la teoria di Newton, forniva una spiegazione non religiosa per fenomeni naturali che fino allora sembravano inspiegabili senza l'intervento divino. Molto peggio: tra i fenomeni naturali che venivano spiegati dalla selezione naturale c'erano quelle caratteristiche dell'umanità di cui andiamo più fieri.
Divenne plausibile che il nostro amore per i figli e compagni, e (dopo il lavoro dei moderni biologi evoluzionisti) anche principi morali più astratti come la lealtà, la carità è l'onestà, abbiano origine nell'evoluzione, anziché in un'anima creata da un essere divino". In un recente dibattito (la cui traduzione è dovuta al blog di Maurizio Colucci), Richard Dawkins ha tra l'altro affermato: "Non c'è ragione di supporre che alcuna religione, alcun libro religioso, alcun insegnante di religione, abbia alcunché da dire su domande come "da dove viene l'universo", "da dove veniamo", "perché esiste la vita", "a cosa serve la vita". (64) “Oggi sappiamo che tutte le risposte date dalla religione a queste domande, che una volta erano le migliori risposte disponibili, sono completamente sbagliate. Non c'è assolutamente alcuna evidenza per esse".
Sarà il progresso cumulativo della scienza, se non verrà arrestato da qualche tragedia culturale e/o politica mondiale, a ridurre la portata e il significato delle Scritture. So bene che questa convinzione è subito attaccata come fondamentalismo ateo, ma l'accusa è una sciocchezza, come quella di accusare gli scienziati non credenti di fare della scienza una religione.
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46) Filostrato Flavio, Vita di Apollonio di Tiana, Milano, Adelphi, 1978.
47) Vedi, ad esempio, su la Guida all’Islam.
48) C. A. Viano, Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni, Torino, Einaudi, 2005.
49) M. Magnani, Spiegare i miracoli. Interpretazione critica di prodigi e guarigioni miracolose, Bari, Dedalo, 2005.
50) Voltaire, Dizionario filosofico, Torino, Einaudi, 2006.
51) Over Three Hundred Proofs of God’s Existence, nel sito godlessgeeks.com.
52) N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Torino, Utet, 2005, 2 voll.
53) Vedi il testo nel sito del Vaticano.
54) E. Bellone, La scomparsa delle leggi di natura, "Le Scienze", maggio 2007, n. 465.
55) Vedi il sempre attuale libro di A. M. Di Nola, Lo specchio e l'olio. Le superstizioni degli italiani, Roma-Bari, Laterza, 2000.
56) F. Nietzsche, Frammenti postumi, Milano, Adelphi, 2004-2005, 2 voll.
57) L. Wittgenstein, Quaderni, Torino, Einaudi, 1998.
58) J. Frazer, Il ramo d'oro. Studio sulla magia e la religione, Roma, Newton Compton, 2006.
59) P. Flores d’Arcais, Le tentazioni della fede (undici tesi contro Habermas), in "Micromega", numero monografico, 2007.
60) I. Asimov, In principio. Il libro della Genesi interpretato alla luce della scienza, Milano, Mondadori, 1989.
61) P. Odifreddi, Il Vangelo secondo la scienza. Le religioni alla prova del nove, Torino, Einaudi, 1999, 2005.
62) C. Bernardini, Il pensiero religioso, malformazione della cultura umana, in "MicroMega",1,2008.
63) Un gruppo di ricercatori inglesi e australiani fa riferimento allo scioglimento dei ghiacci avvenuto circa 8.000 anni dell’Evo antico, che avrebbe innalzato il livello dei mari di 1,4 metri. “Quel fenomeno avrebbe contribuito in maniera decisiva a far irrompere le acque salmastre del Mediterraneo nel Mar Nero, fino a quel momento un bacino d'acqua dolce, e a provocare le paurose inondazioni che sono rimaste impresse nelle leggende di molti popoli, come è testimoniato appunto dal racconto biblico del diluvio universale o dalla saga di Gilgamesh”. [da "Le Scienze"]. Insomma, si è trattato pur sempre un fenomeno locale seppure di vaste proporzioni.
64) Dawkins e i quiz morali. Da dove deriva il nostro senso di giusto e sbagliato?, in "Novissimo blog".
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