martedì 3 maggio 2011

FEDE CONTRO SCIENZA: AUT FIDES AUT SCIENTIA


Giovanni Paolo IIGiovanni Paolo II sarà pure stato un bravo teologo ma di questioni di scienza era totalmente ignorante. Una delle sue affermazioni nell'enciclica in discussione così recita: "ai nostri giorni, la ricerca della verità ultima appare spesso offuscata". Il riferimento del Pontefice è alla filosofia ed alla scienza. Ebbene, riferendomi alla scienza anche se sono convinto che lo stesso si possa dire per la filosofia, la ricerca della verità è un'assoluta invenzione di chi o è ignorante o in completa malafede. Questa affermazione è fatta per dire che, poiché quella teoria non spiega tutto, non è vera e quindi la scienza non è vera con la conseguenza che l'unica verità resta la religione. Logica per i poveri, leggendo la quale lo stesso Aristotele sarebbe sobbalzato.

Leggiamo oltre: L' antropologia, la logica, le scienze della natura, la storia, il linguaggio...,
 in qualche modo l' intero universo del sapere è stato abbracciato. I positivi risultati raggiunti non devono, tuttavia, indurre a trascurare il fatto che quella stessa ragione, intenta ad indagare in maniera unilaterale sull'uomo come soggetto, sembra aver dimenticato che questi è pur sempre chiamato ad indirizzarsi verso una verità che lo trascende. E' il ritornello, insieme al precedente, che si ripete ed è, lo ripeterò anch'io più volte, un argomento misero infarcito di colte citazioni dai testi sacri. In definitiva si dice, e questa è dottrina, che è inutile sforzarsi a conoscere perché l'uomo deve essere indirizzato verso una verità che sta sopra di lui. Questo, detto in molti altri modi, rende conto dell'impossibilità totale di conciliare scienza con fede. Mai sarà possibile una scienza da confrontare con una qualche verità che, questo è il punto, viene sempre prima di qualunque cosa venga realizzata dall'uomo medesimo. E nelle parole che seguono è ancora meglio esplicitato questo concetto che è il sunto dell'intolleranza secolare della Chiesa: Senza il riferimento ad essa, ciascuno resta in balia dell'arbitrio e la sua condizione di persona finisce per essere valutata con criteri pragmatici basati essenzialmente sul dato sperimentale, nell'errata convinzione che tutto deve essere dominato dalla tecnica. E così accaduto che, invece di esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno, incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere.
        Subito dopo inizia l'attacco che fa ancora presa sugli spiriti semplici o semplicemente sui fascisti che queste cose ce le hanno scolpite nell'anima. Il relativismo è il nemico principale, non ha senso che vi siano diverse verità, tutte equivalenti tra loro. Di verità ce n'è una sola e, guarda caso, è la mia. Ed è compito della Chiesa non già ricercare una verità, ma quello di testimoniarla, di far conoscere qual è la verità, quella della Chiesa di Roma. Testimoniare la verità è, dunque, un compito che è stato affidato a noi Vescovi; ad esso non possiamo rinunciare senza venir meno al ministero che abbiamo ricevuto. Riaffermando la verità della fede, possiamo ridare all'uomo del nostro tempo genuina fiducia nelle sue capacità conoscitive e offrire alla filosofia una provocazione perché possa recuperare e sviluppare la sua piena dignità. La ricerca della verità è un passatempo della filosofia e della scienza che gireranno sempre a vuoto perché tanto non la raggiungeranno mai visto dov'è la ricercata. Si capisce quindi l'attacco al relativismo è come l'attacco al copernicanesimo, significa negare chiunque voglia togliere centralità alla Chiesa. Ma tra i laici devoti chi sostiene questo è un reazionario che non si rende neppure conto di cosa c'è dietro, un progetto assolutista che si estende ad ogni ambito anche politico (e non a caso la Chiesa è stata sempre abbracciata ad ogni regime sanguinario e reazionario).
        La colta indagine papale prosegue ricapitolando sulla rivelazione divina ed addirittura riproponendo il Concilio Vaticano I (1868-1870) del Papa porco Pio IX come fonte di sapienza odierna: Esistono due ordini di conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto: per il loro principio, perché nell'uno conosciamo con la ragione naturale, nell'altro con la fede divina; per l'oggetto, perché oltre le verità che la ragione naturale può capire, ci è proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono rivelati dall'alto. Ho già detto che mi ripeterò e quindi chiedo: con queste premesse come è possibile dialogare ? Vi è poi un sottile imbroglio semantico. Da un lato vi è la ragione naturale che si capisce abbastanza cosa è, dall'altra neppure con la ragione ma con la fede divina. Meglio dire con la fede in Dio perché i 4 teologi vaticani non potranno mai mettersi nei panni di chi è ispirato direttamente da Dio. Quindi, riassumendo: da un lato la ragione (senza aggettivi) e dall'altro la metafisica. Ed il concetto è rafforzato ulteriormente subito dopo: La filosofia e le scienze spaziano nell'ordine della ragione naturale, mentre la fede, illuminata e guidata dallo Spirito, riconosce nel messaggio della salvezza la «pienezza di grazia e di verità» (cfr Gv 1, 14) che Dio ha voluto rivelare nella storia e in maniera definitiva per mezzo di suo Figlio Gesù Cristo (cfr 1 Gv 5, 9; Gv 5, 31-32). Ed io l'ho riportato anche per esemplificare le inutili, sciocche e beghine citazioni dai testi sacri (che infestano tutta l'Enciclica) quasi che non si possano affermare certe cose senza certi sostegni d'autorità (quale poi ....). Nell'excursus dottissimo su come si è realizzata la Rivelazione (di cosa ancora non so) vi è anche il comico uso di discorsi circolari. Dice Giovanni Paolo: Solo la fede permette di entrare all'interno del mistero, favorendone la coerente intelligenza. Salvo il fatto che poi il mistero resta tale (il mistero della fede, il mistero della Trinità, il mistero della reincarnazione, ... la fede è solo misteri!) per cui la fede non serve a nulla nell'intelligere, ma solo nel credere ai misteri e prenderli come buoni oltre al dovere obbedienza alle gerarchie (la fede è risposta di obbedienza a Dio). L'indagine teologica, che è una continua ricerca di tutte le combinazioni con ripetizione possibili delle frasette per poveri scritte nei testi sacri, prosegue con questa affermazione apodittica: la ragione deve rispettare alcune regole di fondo per poter esprimere al meglio la propria natura. Una prima regola consiste nel tener conto del fatto che la conoscenza dell'uomo è un cammino che non ha sosta; la seconda nasce dalla consapevolezza che su tale strada non ci si può porre con l'orgoglio di chi pensa che tutto sia frutto di personale conquista; una terza si fonda nel « timore di Dio », del quale la ragione deve riconoscere la sovrana trascendenza ed insieme il provvido amore nel governo del mondo. Quando s'allontana da queste regole, l'uomo s'espone al rischio del fallimento e finisce per trovarsi nella condizione dello « stolto ». Per la Bibbia, in questa stoltezza è insita una minaccia per la vita. Lo stolto infatti si illude di conoscere molte cose, ma in realtà non è capace di fissare lo sguardo su quelle essenziali. Ciò gli impedisce di porre ordine nella sua mente (cfr Pro 1, 7) e di assumere un atteggiamento adeguato nei confronti di se stesso e dell'ambiente circostante. Quando poi giunge ad affermare « Dio non esiste » (cfr Sal 14 [13], 1), rivela con definitiva chiarezza quanto la sua conoscenza sia carente e quanto lontano egli sia dalla verità piena sulle cose, sulla loro origine e sul loro destino. Ed ecco l'uomo con la sua ragione naturale, ragione in libertà vigilata non già da un Dio ma da alcuni personaggi che si sono sistemati per l'eternità raccontando Dio ai poveri di spirito e sedicenti rappresentanti di Dio in Terra. Addirittura stolto chi ricerca con spirito libero, certamente stolto perché non ha capito che si può vivere da satrapi senza lottare quotidianamente per la sopravvivenza e senza colpo ferire abbracciando la fede, quella vera. E non è colpa della Chiesa se un uomo guardando la bellezza del creato (sic!) non sa riconoscere il primo passo della Rivelazione, il fatto cioè che tutto questo è stato fatto da Dio. In questo senso la ragione funziona, solo se cerca Dio nelle cose del mondo. Verrebbe un'esclamazione blasfema ma sono rispettoso del lettore credente. Ma come giustifica questi passaggi che nascono dopo una cena in cui s'è bevuto troppo ? l'uomo con la ragione raggiunge la verità, perché illuminato dalla fede scopre il senso profondo di ogni cosa [...]. Giustamente, dunque, l'autore sacro pone l'inizio della vera conoscenza proprio nel timore di Dio: «Il timore del Signore è il principio della scienza» (Pro 1, 7; cfr Sir 1, 14).
        Ed arriviamo a ciò che più interessa sostenere al Pontefice, all'insostituibile opera di San Tommaso. Dopo lungo argomentare sui rapporti con la filosofia, generalmente platonica  (si vergogna un poco di Plotino, il nostro). degli antichi cristiani acculturati (Giustino, Clemente Alessandrino, Origene, i Padri Cappadoci, Dionigi l'Areopagita, sant'Agostino, Tertulliano, Anselmo), arriviamo al filosofo di Aquino il qualeargomentava che La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio, perciò non possono contraddirsi tra loro. Frase perentoria e definitiva che se non ci si sofferma un momento sopra si è tratti in inganno. In essa vi è un atto di fede, la provenienza da Dio di un qualcosa,  che si dovrebbe accettare a priori per poter sviluppare liberamente la ragione. Sempre incastrati in una fede sfuggente che, in ultima analisi e come lo stesso pontefice afferma più volte è fede nei misteri che, per ragione di fede sono insondabili e quindi rendono vana la ragione che la fede dovrebbe esaltare (ma ci si rende conto delle sciocchezze divine sostenute con spirito evangelico ?). A Tommaso viene dato l'immenso merito di aver coniugato fede e ragione per la verità in un'epoca in cui vi era molta fede e poca ragione. Ma da allora sono accaduti molti guai per colpa di quei fanatici razionalisti: ciò che il pensiero patristico e medievale aveva concepito e attuato come unità profonda, generatrice di una conoscenza capace di arrivare alle forme più alte della speculazione, venne di fatto distrutto dai sistemi che sposarono la causa di una conoscenza razionale separata dalla fede e alternativa ad essa. E Gian Paolo azzarda delle esemplificazioni che era meglio tenere sotto il tappeto: da una parte l'idealismo che ha prodotto il fascismo tanto amato dalla Chiesa per via della negazione del relativismo e dall'altra l'umanesimo ateo che ha prodotto il socialismo che, avendo poco a che fare con la religione, è stato avversato con ogni mezzo dalla Chiesa. Secondo il nostro ambedue queste forme di pensiero sono sfociate in sistemi totalitari traumatici per l'umanità mentre, dico io, i 2000 anni della Chiesa sono stati solo fiori ed opere di bene. Ma il personaggio è erudito e deve mettere le zampe anche in un piatto velenoso che non conosce. Scrive: Nell'ambito della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione metafisica e morale. La conseguenza di ciò è che certi scienziati, privi di ogni riferimento etico, rischiano di non avere più al centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Di più: alcuni di essi, consapevoli delle potenzialità insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso essere umano. Anche qui non si è colto un aspetto che è poi fondamentale per capire il positivismo da un lato e la posizione degli scienziati dall'altro. Il Positivismo è figlio della filosofia e non c'entra nulla con la scienza, a parte i danni gravissimi che ha fatto (in perfetta sintonia in questo con la religione). Esso ipotizza  una fantasiosa marcia trionfale del progresso: sempre in avanti,  senza ripensamenti, con una crescita lineare continua, ritmata dall’’avanzare della scienza’. Una sciocchezza che nasce nel mondo della filosofia, senza riscontri, come si direbbe oggi. Buona volontà che ha anche creato danni clamorosi permettendo che le scienze si indicassero come “esatte” (ma quando mai? Ma quale scienziato vi parlerà di certezze? Solo dalla parte della Chiesa si dicono le stesse cose) e facendo cataloghi di scienze, cataloghi comprendenti cose stravaganti come la sociologia (quindi psicologia, poi pedagogia,…) ma in fondo comprensibili se si pensa che poi, in definitiva, è la metafisica della religione che raccoglie tutto in sé. Solo in questo senso, quindi, la scienza è risolutrice dei mali del mondo, solo in quanto è figlia della suprema sintesi, la religione.  Nell'epoca della nascita del Positivismo gli scienziati si disinteressavano sempre più di filosofia, ritenendo le discussioni sull'argomento troppo generali, quindi generiche e perciò sterili. Questo atteggiamento, spesso definito come 'positivistico', fu osteggiato dagli stessi positivisti ed al suo diffondersi contribuirono molto di più le correnti di pensiero che più decisamente si professavano antipositivistiche. Il disinteresse sempre maggiore da parte dello scienziato per i problemi dell'uomo, con l'autogiustificazione di far scienza e di stare comunque lavorando per il bene dell'umanità al di sopra di ogni bega contingente, al di sopra delle parti, fu uno degli aspetti più rilevanti ed una delle 'tentazioni' più forti dell'800. Ma questo dibattito non c'entra nulla con la divulgazione papalina.
        Ma la Chiesa ha grande interesse per la filosofia (così dice il nostro) ed è grata a Leone XIII per averlo riaffermato e per aver messo in luce la cosa fondamentale che alla Chiesa interessa solo San Tommaso (XIII secolo). La riproposizione del pensiero del Dottore Angelico appariva a Papa Leone XIII come la strada migliore per ricuperare un uso della filosofia conforme alle esigenze della fede. San Tommaso, egli scriveva, «nel momento stesso in cui, come conviene, distingue perfettamente la fede dalla ragione, le unisce ambedue con legami di amicizia reciproca: conserva ad ognuna i propri diritti e ne salvaguarda la dignità». Non è solo Tommaso ma, dando un'occhiata in giro, ... ìsi scopre che è solo Tommaso (un autentico modello per quanti ricercano la verità. Nella sua riflessione, infatti, l'esigenza della ragione e la forza della fede hanno trovato la sintesi più alta che il pensiero abbia mai raggiunto, in quanto egli ha saputo difendere la radicale novità portata dalla Rivelazione senza mai umiliare il cammino proprio della ragione). Un nuovo Sillabo viene formulato dal Papa Polacco, il radicale disconoscimento di tutta la modernità e della sua cultura, è un'anatema nei confronti di tutte le correnti della filosofia a partire dalla fine del medioevo: eclettismo, modernismo, storicismo, scientismo, pragmatismo, nichilismo, idealismo, umanesimo ateo, positivismo, razionalismo e nichilismo. E tutto ruota intorno a due bestie che stanno azzannando da più parti le vecchie e flaccide membra della Chiesa, una delle quali è l'ateismo. Anche il Concilio Vaticano II se ne è occupato individuando, come no ?,  gli errori di quella visione filosofica, soprattutto nei confronti dell'inalienabile dignità della persona e della sua libertà. Chiaro no ? E mentre alcuni elaboravano filosofie false e fallaci, mentre gli atei inventavano tutti i mali del mondo, dei cristiani hanno dedicato tempo alla filosofia e ne sono venuti fuori per il mondo occidentale dei pensatori della taglia di John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Étienne Gilson, Edith Stein e, per quello orientale, studiosi della statura di Vladimir S. Solov'ev, Pavel A. Florenskij, Petr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky, che come tutti sono in grado di capire, sono delle personalità a tutti note che hanno profondamente segnato il pensiero.
        In senso più stretto l'altra bestia è la scienza, mai vista e definita di per sé ma trattata solo come un'ancella della filosofia o comunque denigrata come segue: Un altro pericolo da considerare è lo scientismo. Questa concezione filosofica si rifiuta di ammettere come valide forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione sia la conoscenza religiosa e teologica, sia il sapere etico ed estetico. Nel passato, la stessa idea si esprimeva nel positivismo e nel neopositivismo, che ritenevano prive di senso le affermazioni di carattere metafisico. La critica epistemologica ha screditato questa posizione, ed ecco che essa rinasce sotto le nuove vesti dello scientismo. In questa prospettiva, i valori sono relegati a semplici prodotti dell'emotività e la nozione di essere è accantonata per fare spazio alla pura e semplice fattualità. La scienza, quindi, si prepara a dominare tutti gli aspetti dell'esistenza umana attraverso il progresso tecnologico. Gli innegabili successi della ricerca scientifica e della tecnologia contemporanea hanno contribuito a diffondere la mentalità scientista, che sembra non avere più confini, visto come è penetrata nelle diverse culture e quali cambiamenti radicali vi ha apportato.
Si deve costatare, purtroppo, che quanto attiene alla domanda circa il senso della vita viene dallo scientismo considerato come appartenente al dominio dell'irrazionale o dell'immaginario. Non meno deludente è l'approccio di questa corrente di pensiero agli altri grandi problemi della filosofia, che, quando non vengono ignorati, sono affrontati con analisi poggianti su analogie superficiali, prive di fondamento razionale. Ciò porta all'impoverimento della riflessione umana, alla quale vengono sottratti quei problemi di fondo che l'animal rationale, fin dagli inizi della sua esistenza sulla terra, costantemente si è posto. Accantonata, in questa prospettiva, la critica proveniente dalla valutazione etica, la mentalità scientista è riuscita a fare accettare da molti l'idea secondo cui ciò che è tecnicamente fattibile diventa per ciò stesso anche moralmente ammissibile. Sarebbe utile a questo punto sapere chi è il consulente scientifico di questo personaggio perché dice troppe sciocchezze. Insomma lo scienziato che lavora tranquillo ma non è cristiano (ma diciamo pure ateo) non è uno scienziato ma uno scientista. E lo è nonostante che la critica epistemologica lo abbia ridicolizzato. Caspita se le cantano e se le suonano ma non ci capiscono un tubo. In chi vive da satrapo alle spalle di gente che lavora e fatica a mettere insieme pranzo e cena, queste offese sono di una gravità unica. Questi personaggi non sanno nulla della vita reale ed i politici hanno appreso da loro. Un popolo che non ha alcun rapporto con la scienza, dovunque bistrattata come fatto culturale, a partire dalla scuola, sarebbe dominata dallo scientismo ? E chi usa i prodotti della scienza per fare la guerra o per parlare da Radio Maria istigando all'odio razziale  è uno scienziato o è un personaggio riprovevole come il cattolico Don Livio per non dire di quello della stessa Radio polacca ? Ma il peggio è che questo scienziato, degradato a scientista da chi ha conoscenze molto in alto, non sa nulla di etica e di morale perché queste doti sono solo della Chiesa. Qui dovrebbe esserci la seconda espressione furibondamente blasfema ma, anche qui, non scrivo nulla per non scandalizzare il paziente lettore. Lasciatemi però dire che è del tutto falso accreditare l'equazione che Chiesa è uguale a maestra di etica e morale. Non è così e non lo è mai stato e non perdo neppure tempo e bit per convincere qualcuno. Chi non ci crede prenda i libri di storia a partire dalle vite esemplari dei Papi, dalle Crociate, dall'Inquisizione, dallo sterminio di interi popoli, ...
        Siamo alla fine di questa utilissima Enciclica che è la pietra tomabale della possibilità per la Chiesa di emendarsi ed iniziare a vivfere con il prossimo. Paolo Flores D'Arcais ha indagato questa stessa enciclica per quel che riguarda la filosofia e ne trae conclusioni simili o forse molto più dure delle mie:
Fides et ratio, ultima enciclica di Karol Wojtyta, dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che la cultura cattolica ufficiale non ha più nulla da dire alla cultura tout court. E ciò, paradossalmente, proprio quando la pratica dei cattolici cristiani, esistenzialmente impegnati ad approssimare il Vangelo - dalla parte e nella cura degli ultimi - si afferma spesso come modello per l'impegno tout court. Questo paradosso andrà pensato in tutte le sue implicazioni e conseguenze. Da parte cattolica, poiché è uno scarto che allude ad un conflitto tendenzialmente insanabile tra cattolicesimo del conformismo e cristianesimo della testimonianza, da parte «laica», poiché costringe a interrogare la possibilità di un impegno senza trascendenza, di una passione per il relativo. Ma di questo più avanti.
Resta il carattere essenziale che marchia questa enciclica: una tradizionalissima e inargomentabile (in termini razionali) riaffermazione della pretesa della Chiesa cattolica apostolica romana al monopolio della verità. Con l'accattivante finzione dell'umiltà, infatti, la «diaconia della verità», che il papa polacco aggiorna nella sua enciclica, altro non è che il dogmaticissimo imperio di sempre che la Chiesa si arroga sulla verità. Agghindato con una «difesa della grandezza della ragione» che vale esclusivamente se quest'ultima, rinunciando alla propria autonomia, rinnega se stessa, e anziché darsi da sé i propri limiti si subordina alla fede, cioè al magistero di Roma, unico autorizzato interprete delle scritture e della tradizione. Poiché una Chiesa che si confessa unica e incontestabile serva della verità, in realtà si erge a padrona di quanti devono obbedirla (la verità, cioè la Chiesa, o la Chiesa, cioè la verità).
Il che è certamente nella natura della Chiesa, se intende parlare ai soli fedeli per riaffermare un dogma da essi sempre più tiepidamente vissuto, ma è del tutto incompatibile con ogni velleità di confronto «senza preclusioni di sorta e senza limite alcuno» con chi, non avendo «accolto» quel dogma, può accettare esclusivamente un argomentato dialogo.
Il tanto sbandierato elogio della filosofia, con l'invito - addirittura - «a non prefiggersi mete troppo modeste nel filosofare» (§ 56), si risolve in conclusione nella deludente ovvietà del «messaggio ultimo dell'enciclica» (Breve sintesi): «verità e libertà, o si coniugano insieme o insieme miseramente periscono» (§ 90). Dove per verità si intende l'opinione fulminata ex cathedra, e la libertà è dunque niente altro che la servitù volontaria delle coscienze agli ukase del sacro soglio.
[...]
Solo questo cristianesimo delle opere, allora, e non il pensiero filosofico - meno che mai nella parodia che pretende di giudicare secoli di travaglio critico con la «attualità» del tomismo - «è spesso l'unico terreno di intesa e di dialogo con chi non condivide la nostra fede» (§ 104). Ma quale fede? Poiché l'enciclica mette in luce proprio lo scarto crescente fra due modi di essere cristiani, quello dell'ortodossia e del potere, e quello del Vangelo(2) e dell'impegno. Che ex professo fanno tutt'uno, ovviamente, ma che nel privilegiamento pratico di uno dei due lati sempre più configurano due religioni sotto gli stessi riti. Karol Wojtyla vuole impedire la lacerazione, ma solo riportando alla cattività dell'obbedienza il cristianesimo della testimonianza.
        Allora, con chi vuole intavolare una discussione questa Chiesa ? Fa tabula rasa di tutto ciò che non sia se stessa, attacca tutti, non ha alcun referente culturale importante storicamente, se non vogliamo tornare ad 800 anni fa. Poi si affanna a sostenere che vi è ogni dialogo che vi sono rapporti inscindibili tra fede e ragione. Con il solito inconveniente della menzogna che è possibile anche per omissione di un pezzetto del quanto detto. E' vero che fede e ragione vanno d'amore e d'accordo ma SOLO SE la ragione è al servizio della fede. Non c'è una sola possibile alternativa e, per fortuna, le unghie della crudele Chiesa, che ha ammazzato gran parte del pensiero occidentale, particolarmente in Italia, sono state tagliate.
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