venerdì 29 aprile 2011

14 ENCICLICHE DEL BEATO


Giovanni Paolo IIGiovanni Paolo II in quasi 24 anni ha scritto 14 encicliche. Un primo trittico riguarda le tre persone della Trinità, aperto dalla «Redemptor hominis», prima enciclica del pontificato, pubblicata il 4 marzo del '79. Probabilmente preoccupato da certe tendenze postconciliari, Wojtyla intende offrire ai cristiani una ecclesiologia fortemente cristocentrica, e la sua riflessione assume per questo un valore ecumenico. Completano il trittico la «Dives in misericordia» (1980) su Dio padre misericordioso, con un commento alla parabola del Figliol prodigo e la «Dominum et vivificantem» (1986), sullo Spirito Santo. Il secondo nucleo tematico riguarda la dottrina sociale della Chiesa e comprende la «Laborem exercens», 1981; la «Sollicitudo rei socialis» 1988 e la «Centesimus annus», 1991. Al centro della «Laborem exercens» il significato del lavoro umano, mai «riducibile a merce» perchè fondato sulla dignità della persona umana, la priorità dei lavoratori sul capitale e il rifiuto del capitalismo.

La «Sollicitudo rei socialis» incita a una lettura teologica dei problemi moderni per far emergere il carattere morale dello sviluppo e sottolineare l'obbligo della sua promozione.
La «Centesimus annus» è invece l'enciclica del post-comunismo, per rispondere alla «grande sfida» posta dal cambiamento degli assetti mondiali e per rivalutare il ruolo della solidarietà nella società. La «Slavorum apostoli», 1985, è dedicata ai santi Cirillo e Metodio che portarono il Vangelo tra gli slavi, dettero un «contributo eminente» alla formazione delle «comuni radici cristiane dell'Europa».
La «Redemptoris mater», 1987, è una riflessione sul cammino di fede della Madonna, secondo la Scrittura e i documenti conciliari. A partire dal «Magnificat» il Papa afferma che la Chiesa è consapevole che non si può separare la verità su Dio che salva dalla manifestazione del suo amore per i poveri e gli umili. Con la «Redemptoris missio» del 1990, a 25 anni dalla conclusione del Concilio e dalla «Evangelii nuntiandi» di Paolo VI, Giovanni Paolo II fa una forte riaffermazione della «permanente validità del mandato missionario della Chiesa». Permeata da un vigoroso ottimismo la lettera ha probabilmente la sua novità più originale nel risalto dato alle giovani Chiese nella missione ai non cristiani.
La «Veritatis splendor» del 1993 sostiene che i cristiani hanno il dovere di seguire l'insegnamento morale della Chiesa e che esistono comportamenti oggettivamente cattivi, come per esempio quelli contraccettivi, con i quali l'uomo si perde. L'obbedienza ai comandamenti in campo morale è indispensabile base di ogni convivenza sociale rispettosa dei diritti umani. Papa Wojtyla prende posizione su questo argomento dopo aver constatato la «contrapposizione, anzi la radicale dissociazione tra libertà e verità che è »conseguenza della separazione tra fede e morale«.
La »Evangelium vitae« del 1995 è un appello mondiale »per una nuova cultura della vita umana« che partendo da gravi problemi morali come aborto, eutanasia, pena di morte e manipolazioni genetiche, giunge a chiedere una strategia internazionale dell'impegno politico, sociale e culturale a difesa del »diritto alla vita«, impegno non solo dei cattolici, ma di ogni »persona di buona volontà«. L'enciclica postula la »obiezione di coscienza« contro leggi immorali; prende definitivamente le distanze dalla pena di morte; rinnova la radicale condanna dell'aborto, ma stila una lunga lista di corresponsabili nella scelta della donna, dai partner ai medici, ai legislatori. La pena di morte, scrive, è teoricamente ammessa ma solo »in casi di assoluta necessità, cioè quando la difesa della società non fosse possibile altrimenti«, ma questi casi oggi sono »molto rari«, se non addirittura »praticamente inesistenti«. L'aborto, »delitto abominevole«, e la contraccezione »affondano le radici nella stessa mentalità edonistica e deresponsabilizzante«, ma »dal punto di vista morale sono mali specificamente diversi«.
Nella »Ut unum sint« del 1995, Giovanni Paolo II pone la ricerca dell'unità tra cristiani come principale impegno dei cattolici in vista del Duemila. A tutte le Chiese ricorda l'amore e il rispetto di quella di Roma e da loro »implora« perdono per il male compiuto dai cattolici. Wojtyla è conscio del fatto che il papa »costituito da Dio« quale »segno visibile e garante dell'unità« costituisce »una difficoltà« per la maggior parte degli altri cristiani, la cui memoria è segnata da ricordi dolorosi. Ma ricorda che se i vescovi sono legittimi perchè successori degli apostoli, il vescovo di Roma è successore di San Pietro, che Gesù volle loro capo.
La »Fides et ratio«, pubblicata nell'ottobre 1998 per i venti anni di pontificato, postula una filosofia forte, che non rinunci a cercare risposte a domande autentiche, è una esaltazione della ragione umana e delle sue capacità speculative, capaci di andare verso l'Assoluto e di essere luogo di dialogo tra credenti e atei. Costata a Giovanni Paolo II dodici anni di elaborazione l'enciclica condanna varie correnti filosofiche, invitando la filosofia a abbandonare le strade »deboli« e tornare a quel compito di »maestra« che ha avuto in passato.
L'ultima enciclica, la »Ecclesia de eucharistia« del 14-4-2003, riafferma la centralità di quel sacramento nella Chiesa. Denuncia anche alcuni abusi, come l'intercomunione tra cattolici e altri cristiani, e ribadisce che l'eucarestia non è solo ricordo di un fatto e occasione conviviale, ma sacrificio che si rinnova ogni volta, che solo al prete spetta celebrare Messa e recitare la preghiera eucaristica, che per comunicarsi bisogna essere in »stato di grazia« (cioè essersi confessati e non vivere in stato di peccato), escludendo così ancora una volta dal sacramento i conviventi ed i divorziati risposati.
Giacomo Galeazzi - La Stampa

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