lunedì 20 dicembre 2010

Dolore e miliardi, tutti i segreti dell’Opus Dei che serve il Dio Denaro

Mortificati.  Plagiati. Indotti ad appropriarsi del denaro d’altri per donarlo alla “causa”, ma, soprattutto, spinti a “pitare”, captare, pilotare l’altrui volontà per ottenerne l’adesione totale. Lo scenario da brivido, già adombrato collaborando con Ferruccio Pinotti per la stesura di “Opus Deisegreta” (Bur, dicembre 2006), Emanuela Proverace lo propone in tutta la sua brutale evidenza nelle pagine di “Dentro l’Opus Dei – Come funziona la Milizia di Dio”, uscito a fine dello scorso anno per Chiarelettere ed ora già alla seconda edizione. Lo fa, naturalmente, con tutta la grazia, il garbo ed anche, in qualche modo, il rispetto, che le sono congeniali.
Ma i fatti parlano. Urlano. Così come, fra le pagine, sentiamo risuonare le “voci di dentro”, quel dolore mai sopito ed infine uscito allo scoperto e Silas 3letteralmente esploso, dei tanti giovani che hanno contribuito alla stesura del libro con le loro testimonianze, raccolte attraverso un forum che rappresenta oggi lo specchio vero di un’anima nera del cattolicesimo mondiale. Elena, Eva, Saverio: sono solo alcuni fra le centinaia di ragazzi e ragazze “pitati” senza scrupoli da altri giovani che avevano ricevuto in tal senso, dalle autorità delle diverse “case” o “residenze”, precise istruzioni, perfettamente “interiorizzate” e poi messe in pratica per il reclutamento di sempre nuove “anime”, con un lauto bagaglio di risorse finanziarie di famiglia al seguito.
Senza alzare i toni del racconto, di per sé già a tinte forti, Emanuela ci conduce per esempio alla scoperta del famoso e famigerato “cilicio”. Lo fa traducendo sulla pagina l’esperienza del “neofita” Saverio: «Una sera, in camera, un ragazzo che in seguito è diventato “numerario”, figlio di “soprannumerari” molto noti anche al di fuori dell’Opera, tirò fuori da una scatolina di metallo uno strano aggeggio. Fra i risolini degli altri compagni di stanza mi disse: “Conosci i giocattoli?”. Io non capivo di cosa stesse parlando, però quella sera provai cosa significava indossare un cilicio»...continua
Il successivo calvario personale del giovane é tutto nel libro, fino al coraggio della liberazione. Se la prima parte del racconto, condotta sul filo delle testimonianze, ci tocca fino al cuore, aprendo squarci illuminanti su quel mondo, la seconda rappresenta invece una esclusiva assoluta. L’ultima volta – a nostra memoria – che qualcuno aveva provato a “fare i conti in Opus Deitasca” alle holding finanziarie di casa Ovra, si era trattato del giornalista Maurizio Di Giacomo, da un paio d’anni prenaturamente scomparso, che nel 1987 aveva pubblicato per l’editore Tullio Pironti il volume “Opus Dei”.
Intervistato dalla “Voce”, qualche mese dopo l’uscita del libro, Di Giacomo ci fece balenare il clima rovente che si era creato intorno a lui. «Ho seppellito tutte le carte. Non voglio e non posso più parlarne». Ventitrè anni dopo, quei cassetti sigillati li apre sotto i nostri occhi Emanuela Provera nel capitolo “Denaro e proprietà”. E’ tutto da leggere, ma ecco qui un paio di brani particolarmente significativi.
«“L’Opus Dei non è proprietaria di nulla, le persone dell’Opera vivono la povertà perché Gesù era vissuto povero”. La formula sarebbe entrata nel mio repertorio; anch’io, in seguito, avrei aggirato la frequentissima domanda schermandomi dietro al precetto della povertà evangelica. Ma le realtà e il contesto in cui questa povertà si incarnava avevano un aspetto tutt’altro che misero; floridissimo, piuttosto, e rassicurante. Castelli, convegni internazionali, persone importanti, famiglie sorridenti e felici con cinque, sei, undici figli. Un universo da cui erano banditi i problemi del vivere. Ai poveri pensava Dio».
Più avanti Provera scende nel dettaglio e ci ricorda, per esempio, «il nuovo centro dell’Opera sorto a New York nel 2001, sede della Commissione regionale americana: un grattacielo di oltre venti piani, costato quasiEmanuela Proveracinquanta milioni di dollari, al cui interno possono vivere centinaia di persone di ambedue i sessi (opportunamente separate visivamente e acusticamente), con sette differenti cappelle e sei sale da pranzo».
L’Italia non é da meno: «A Milano sono stati individuati più di venti immobili, che ospitano club, residenze universitarie e centri per “numerari”, oltre a quattro istituti scolastici. A Roma gli immobili sono una trentina, compresa la cappella prelatizia di via Buozzi; a Palermo una quindicina. Altre sedi si trovano a Torino, Como, Trieste, Genova, Verona, Bologna, Napoli, Salerno, Bari e Catania». Le fonti di finanziamento non sono solo i beni familiari dei giovani reclutati (indotti al momento dell’ingresso a redigere perfino un apposito testamento), ma anche il denaro dei contribuenti italiani.
«Attraverso i suoi collegi universitari – scrive Emanuela – l’Opus Dei riceve finanziamenti pubblici che dovrebbero essere impiegati per il diritto allo Dentro l'Opus Deistudio, e che invece servono a rafforzare l’istituzione», come sottolineato nella interrogazione parlamentare del 2007 presentata da Severino Galante e Orazio Licandro riportata nel libro. Senza contare i finanziamenti a pioggia. Come del 2005, quando l’allora ministro dell’Università Letizia Moratti erogò alle strutture formative dell’Opus quasi un milione di euro, o i 200 milioni inseriti a favore delle Residenze Rui nella Finanziaria 2009 dall’esecutivo di Silvio Berlusconi. Non é certo un fatto nuovo, per la Chiesa cattolica, lo stravolgimento del messaggio evangelico. Forse, però, in duemila anni di storia, nessuno ci era riuscito con altrettanto cinismo.



http://www.notiziegenova.altervista.org/index.php/te-lo-nasondono/1222-dolore-e-miliardi-tutti-i-segreti-dellopus-dei-che-serve-il-dio-denaro

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