di Sandro Magister
ROMA, 27 febbraio 2009 – Il primo a rimanere sorpreso è stato lui, Ettore Gotti Tedeschi, 63 anni, cinque figli, cattolico fervente, professore di economia all’Università Cattolica di Milano e presidente per l’Italia del Banco di Santander, una delle maggiori banche del mondo:
"Quando intuii il progetto della 'good bank' e ne scrissi su 'L'Osservatore Romano', non immaginavo che sarebbe stata pensata anche dal responsabile della Banca Mondiale e persino dal primo ministro inglese Gordon Brown".
Invece è andata proprio così. L'idea lanciata da Gotti Tedeschi il 30 gennaio scorso sulla prima pagina del giornale della Santa Sede è stata ripresa con forza, il 19 febbraio sullo stesso giornale, dal premier britannico Brown (nella foto), ricevuto quello stesso giorno, in Vaticano, da papa Benedetto XVI.
Si tratta di un'idea semplice ma rivoluzionaria, lanciata ai paesi ricchi che oggi sono in piena crisi finanziaria: investire una somma gigantesca non in casa propria ma a beneficio dei paesi poveri, affinché questi diventino protagonisti di un boom economico a vantaggio loro e di tutti. Nell'arco di qualche decennio sarà proprio la crescita dei paesi poveri a ripagare il debito contratto dai paesi ricchi, producendo ulteriori benessere e ricchezza.
Più sotto, in questa pagina, l'idea è documentata più in dettaglio, così come ha preso forma man mano su "L'Osservatore Romano": prima con l'articolo di Gotti Tedeschi, poi con il sorprendente rilancio fatto da Gordon Brown, e poi con un altro articolo dell'economista e banchiere italiano, da un anno commentatore economico del giornale del papa.
Un test importante sul futuro di questo progetto sarà il prossimo G20, cioè il summit dei venti paesi più grandi e più ricchi del mondo, in programma il 2 aprile.
Ma già qualcosa di sostanziale sta avvenendo. Sempre più spesso e autorevolmente si riconosce che l'economia non può agire sulla spinta del solo interesse egoistico – con le devastazioni che oggi sono sotto gli occhi di tutti – ma deve vivere anche di etica. "Ispirata dalla grazia", dice Gotti Tedeschi.
A suo giudizio, Brown ha avuto questa ispirazione, "con l'umiltà degli uomini grandi". Gotti Tedeschi confida che il primo ministro britannico sarà ascoltato da altri potenti della terra: "E perciò invito a proporre Gordon Brown come Nobel per l'economia".
Una prova di attenzione al legame tra economia ed etica è venuta recentemente anche dal ministro italiano dell'economia Giulio Tremonti. La scorsa estate egli ha pubblicato un libro dal titolo "La paura e la speranza", che è arrivato sulla scrivania di Benedetto XVI. Il papa ha poi ricevuto in udienza privata il ministro. E questi, inaugurando lo scorso 19 novembre il nuovo anno accademico dell'Università Cattolica di Milano, ha citato una conferenza di Ratzinger del 1985 su etica ed economia, riconoscendogli il merito di aver profetato con molto anticipo, in quella conferenza, l'attuale disastro mondiale. "Si avvera oggi – disse Tremonti – la previsione secondo cui nell'economia il declino della disciplina, una disciplina basata su un forte ordine etico e religioso, avrebbe portato le leggi del mercato al collasso".
Nel finale della sua prolusione all'Università Cattolica, Tremonti ha citato Platone e ha invocato come "unica moneta buona" quella di un'intelligenza "guidata da Dio".
Sarà interessante vedere come tutto ciò troverà espressione nell'enciclica sulla dottrina sociale, di cui si attende da tempo la pubblicazione e di cui sono state anticipate le prime parole latine: "Caritas in veritate".
Intanto, in un incontro a libere domande e risposte con i preti di Roma, la mattina di giovedì 26 febbraio, Benedetto XVI si è così espresso sull'odierna crisi finanziaria mondiale:
"È dovere della Chiesa denunciare gli errori fondamentali che si sono oggi mostrati nel crollo delle grandi banche americane. L'avarizia umana è idolatria che va contro il vero Dio ed è falsificazione dell'immagine di Dio con un altro Dio, Mammona. Dobbiamo denunciare con coraggio ma anche con concretezza, perché i grandi moralismi non aiutano se non sono sostenuti dalla conoscenza della realtà, che aiuta a capire che cosa si può in concreto fare. Da sempre la Chiesa non solo denuncia i mali, ma mostra le strade che portano alla giustizia, alla carità, alla conversione dei cuori. Anche nell'economia la giustizia si costruisce solo se ci sono i giusti. E costoro si formano con la conversione dei cuori".
Ma torniamo alla proposta della "good bank". Ecco qui di seguito i tre articoli apparsi su "L'Osservatore Romano:
1. Una "good bank" per favorire lo sviluppo. La finanza può fare miracoli
di Ettore Gotti Tedeschi, 30 gennaio 2009
La finanza è solo uno strumento. Uno strumento recentemente male utilizzato e, di conseguenza, troppo vituperato. Esso può invece essere usato per fare del bene. In un certo senso, la finanza può fare miracoli. L'occasione c'è, ed è la soluzione alla crisi in corso. Il modo c'è, ed è la progettazione di una "good bank" che finanzi un progetto planetario per la soluzione della crisi e che rappresenti la copertura a termine della "bad bank" proposta in questi mesi.
Nel biennio 1939-1940 vennero emessi prestiti per finanziare la seconda guerra mondiale e, in seguito, altre obbligazioni per finanziare il piano Marshall. La tragedia della guerra risolse – se così si può dire – i problemi di disoccupazione. Il piano Marshall risolse i problemi di povertà, garantendo la ricostruzione dell'Europa postbellica. Entrambe le iniziative risolsero i problemi economici americani.
La guerra da finanziare oggi per sconfiggere la crisi è invece la guerra alla povertà globale. La ricostruzione da garantire oggi è quella dei paesi poveri.
Potrà sembrare una contraddizione, ma solo coinvolgendo tutto il mondo in uno sforzo superiore si potranno riassorbire, prima e meglio, gli effetti della crisi. Dopo il discorso di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, si può auspicare che venga lanciato un "piano Obama" per sconfiggere la crisi, combattendo la povertà e permettendo così, non solo alla sua nazione ma all'umanità intera, di uscire dalla congiuntura negativa.
Nel 1939 si risolsero i problemi di sostegno produttivo e di disoccupazione armando soldati e costruendo cannoni. Nel 1946 ricostruendo una Europa semidistrutta. Oggi si può sostenere la capacità produttiva – molto più globale e a costi molto più bassi – con un piano di interventi a favore dei paesi poveri, per soddisfare la loro domanda potenziale e per avviare attività economiche adeguate attraverso investimenti in opere infrastrutturali.
I paesi poveri sono quindi l'oggetto della ricostruzione di oggi. Il progetto di una guerra alla povertà per affrontare la crisi darebbe immediatamente il via a iniziative economiche indotte e ai conseguenti investimenti. Si alimenterebbe di nuovo l'iniziativa imprenditoriale e le borse premierebbero le imprese coinvolte, garantendo sostegno alla loro capacità produttiva.
Quanto vale questo progetto e come finanziarlo? Può valere quanto l'assorbimento della bolla che dovrebbe gravare sulla "bad bank" di cui tanto si parla e, come quest'ultima, potrebbe esser finanziato con un prestito cinquantennale da fare sottoscrivere a tutti i paesi ricchi del mondo. Probabilmente spaventa anche solo l'ipotesi di una stima delle risorse necessarie. Ma dovrebbe spaventare di più la mancanza di vere alternative. Si dovrebbe invece ragionare in termini di costi e di ricavi, in termini di opportunità, come fu fatto quando si decise di finanziare la seconda guerra mondiale e il successivo piano di ricostruzione.
Oggi sono necessarie maggiori risorse. Ma oggi il mondo – entrato nel ciclo economico di produzione e benessere – ha capacità ben superiori di quello di settant'anni fa. Per assorbire la grande bolla che confluirà nella "bad bank" è necessario quindi un progetto di copertura produttiva di vera ricchezza sostenibile: la copertura a termine della "bad bank" va fatta con la "good bank". Per assorbire le perdite passate è necessaria un'economia mondiale totale di crescita e benessere.
Come fu per l'Europa, rilanciata con il piano Marshall, che in dieci anni riprese a crescere fino a produrre un boom economico, così potrà avvenire – sia pure con fasi e processi diversi – per le economie dei paesi più poveri che fra venti o trent'anni potrebbero cominciare a ripagare il debito producendo a loro volta benessere e ricchezza. Così è stato negli ultimi vent'anni in Asia, dove ora ci sono economie che stanno addirittura sostenendo le nostre. La solidarietà paga anche in termini concreti.
Si tratta di un progetto coraggioso e complesso. Non produrrà subito i risultati sperati e molti saranno gli ostacoli. Ma è un progetto fattibile, e lo è usando proprio la finanza. Che potrebbe così recuperare il suo vero senso. Quello buono.
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2. Una sfida globale. Crisi economica e sradicamento della povertà
di Gordon Brown, 19 febbraio 2009
Da Rio a Roma e da Lagos a Londra ci troviamo di fronte a una delle più grandi sfide economiche della nostra generazione. In quella che sarà probabilmente definita dagli storici come la prima crisi economica di livello davvero mondiale, le previsioni di crescita per il 2009 sono state ritoccate in quanto vicine allo zero, c'è un crollo del commercio e dei flussi di capitale e si sta estendendo la disoccupazione.
La crisi finanziaria ed economica minaccia l'occupazione e le prospettive delle famiglie di ogni paese e di ogni continente. In tutta Europa, migliaia di persone si trovano improvvisamente senza lavoro e sono sempre più preoccupate per il proprio futuro. Ma si tratta di tendenze internazionali, che hanno impatto anche sui più poveri in Africa, Asia e altrove. Qui la crisi economica significherà fame per altri milioni di persone, meno istruzione e meno servizi sanitari. So che la Chiesa cattolica e il Santo Padre condividono queste preoccupazioni. I paesi più poveri vedono che ogni fonte di finanziamento del proprio sviluppo – esportazioni e domanda di derrate alimentari, commercio e project finance, aiuti, rimesse, flussi di capitale – è stata colpita dalla dimensione e dall'estensione senza precedenti di questa crisi.
Nel Regno Unito stiamo usando ogni mezzo a nostra disposizione perché la recessione sia per quanto possibile breve e poco profonda. Ma la recessione globale richiede una risposta globale, se vogliamo che le nostre misure abbiano successo. Il 2 aprile prossimo il G20 – cioè la riunione dei leader dei paesi più grandi e più ricchi del mondo, che rappresentano oltre i due terzi della popolazione mondiale e il 90 per cento dell'economia globale – si riunirà a Londra per discutere questa risposta.
Riuscirci è di vitale importanza. Altrimenti, la recessione sarà più profonda, più lunga e colpirà un numero maggiore di persone. Se non risolveremo gli effetti della crisi, la Banca Mondiale stima che da oggi al 2015 nel mondo in via di sviluppo altri 2,8 milioni di bambini potrebbero morire prima di aver compiuto cinque anni. È come se l'intera popolazione di Roma morisse nei prossimi cinque anni.
Non ci potrebbero quindi essere ragioni morali più valide di queste. Ma non si tratta più solo di ragioni morali. Questa crisi ci ha dimostrato che non possiamo permettere che i problemi si aggravino in un paese, poiché di riflesso il loro impatto sarà avvertito da tutti. È dunque nostro dovere comune far sì che le esigenze dei paesi più poveri non siano un pensiero secondario, a cui si aderisce per obbligo morale o per senso di colpa. È ora di vedere i paesi in via di sviluppo inseriti nelle soluzioni internazionali di cui abbiamo bisogno. Ed è fondamentale che queste soluzioni internazionali tengano conto dei paesi in via di sviluppo.
La nostra risposta globale deve perciò in primo luogo prevedere finanziamenti maggiori, migliori e più rapidi da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, che possano contribuire a salvaguardare gli investimenti nella sanità e nell'istruzione e a stimolare le economie. Uno stimolo internazionale funzionerà soltanto se avrà davvero carattere globale. Per troppo tempo solo i paesi ricchi sono stati in grado di introdurre capitali nelle proprie economie nei periodi difficili. Questa volta deve essere diverso.
Ho già avviato colloqui con il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e altri organismi per elaborare proposte che, se accolte dal G20, potrebbero immettere miliardi di dollari nelle economie dei paesi in via di sviluppo. Come secondo punto, sono necessarie riforme delle istituzioni finanziarie internazionali per dare più voce al mondo in via di sviluppo, rendendo le istituzioni più efficaci, legittime e sensibili. E come terzo punto, occorre trovare le vie per mobilitare le risorse a salvaguardia dei più poveri, come il Global Vulnerability Fund, che può essere mirato in modo specifico ai più poveri e più vulnerabili.
Per i cambiamenti climatici, inoltre, dobbiamo fare in modo che la crisi dell'economia non ci distolga dal far fronte a quella del clima. Dobbiamo cogliere il momento per garantire investimenti nelle industrie verdi che ci preparino per il futuro, invece di mettere a repentaglio le generazioni che verranno.
Dobbiamo inoltre cercare di mettere in moto il commercio internazionale. Sappiamo che rifugiarci nel protezionismo ci renderà tutti più poveri, ma questo è anche un momento di opportunità. Se sapremo sfruttare lo slancio politico per concludere l'accordo di Doha sul commercio, si valuta che l'economia mondiale potrebbe beneficiarne per 150 miliardi di dollari. La Santa Sede ha sostenuto con forza un accordo commerciale favorevole ai poveri, e io spero che questa voce sia finalmente ascoltata.
Come politico so che quando le religioni mobilitano le proprie risorse, ne viene vivamente avvertito l'impatto. Abbiamo appena assistito al ruolo preminente delle religioni nell'ambito della più larga alleanza formatasi per sostenere gli obiettivi di sviluppo del millennio nell'evento di alto livello dello scorso settembre a New York.
Valori religiosi, come la giustizia e la solidarietà – valori che affermano che i bambini poveri, come quelli ricchi, devono avere accesso a vaccini e medicinali – hanno portato Regno Unito e Santa Sede a sostenere insieme l'International Finance Facility for Immunisation e gli Advanced Market Commitment. L'acquisto da parte del papa nel 2006 del primo bond per l'immunizzazione è stato espressione tangibile dell'impegno comune di Santa Sede e Regno Unito a favore dello sviluppo internazionale. Grazie a questo bond, sono stati raccolti oltre un miliardo e seicento milioni di dollari, e 500 milioni di bambini saranno immunizzati fra il 2006 e il 2015 – portando a cinque milioni i bambini salvati.
Lo scorso 18 giugno papa Benedetto ha sollecitato attraverso il suo segretario di Stato una "risposta efficace alle crisi economiche che affliggono diverse regioni del pianeta" e l'attuazione di "un piano d'azione internazionale concertato volto a liberare il mondo dalla povertà estrema". Io sostengo questo appello. Il vertice di Londra ad aprile deve vederci rispondere alla sfida.
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3. L'intervento di Gordon Brown sulla crisi economica. Lezione d'inglese
di Ettore Gotti Tedeschi, 22 febbraio 2009
Molti ritengono che le grandi crisi siano anche – o forse soprattutto – crisi morali. Anche l'attuale crisi economico-finanziaria non si sottrae a questa regola, essendo stata provocata da scelte di sviluppo egoistiche e insostenibili, che hanno poi scatenato i peggiori "spiriti animali" nel mondo della finanza.
Su "L'Osservatore Romano" dello scorso 19 febbraio il primo ministro britannico Gordon Brown è sembrato volere esprimere la ricerca di una autorità morale necessaria alla soluzione della crisi, riconoscendo implicitamente l'insostenibilità dell'autonomia morale dell'economia. Avanzando anche la proposta di una solidarietà strutturale verso i paesi poveri come possibile soluzione strategica della crisi. Oltre a invocare azioni di "giusta solidarietà" è infatti necessario proporre azioni di "opportuna solidarietà" verso i paesi poveri.
Questi paesi vanno coinvolti nel processo di soluzione della crisi inducendoli a creare la ricchezza necessaria a risollevare il mondo intero. Ciò può essere fatto trasformando la loro domanda inespressa di beni e di investimenti in valore per le economie dei paesi che oggi si trovano ad avere capacità produttive pericolosamente inutilizzate. La strategia di soluzione della crisi sta nel creare ricchezza per compensare le perdite, dove c'è il potenziale per farlo rapidamente.
In apparenza, le costosissime manovre in atto tendono invece a sostenere il consumismo dei paesi ricchi e a trasferire allo Stato gli insostenibili debiti delle banche, delle imprese e delle famiglie. Ma questa soluzione rischia di creare inflazione invece che ricchezza. Avere trasferito negli ultimi anni benessere e ricchezza in vari paesi emergenti ha reso forse meno grave la crisi in atto. Le previsioni del prodotto interno lordo per il 2009 lo vedono crollare del 3,4 per cento negli Stati Uniti e dell'1,5 in Europa.
Eppure, il PIL mondiale cresce ancora dell'1 per cento grazie alle economie di grandi nazioni come Cina (più 5 per cento), India e Brasile. Avere esteso, sia pure egoisticamente, benessere a quei paesi – sviluppando domanda, offerta, risparmio e crescita – permette oggi di immaginare rimedi agli errori delle nazioni ricche. Si sarebbe forse potuto evitare la crisi globale se l'estensione della ricchezza avesse riguardato anche il resto del pianeta. Invece di pensare egoisticamente a difendere, per di più barando, i privilegi.
Ma gli errori del mondo occidentale non sono dovuti unicamente all'eccessiva disinvoltura dei manager bancari e alla mancanza di controllo. L'economia e la finanza sono solo strumenti gestiti dall'uomo, che all'uomo devono essere utili. Loro scopo è, secondo le leggi che le regolano, utilizzare efficacemente le risorse, sviluppare benessere per tutti e ridurre le disuguaglianze. Questa non è morale, è economia.
Ma il bilancio non è sempre confortante. Si è spesso abusato delle risorse, si è bluffato nello sviluppo del benessere, le disuguaglianze non sono state ridotte come si poteva e doveva. Non si è dato cioè un senso agli strumenti. Il mondo ricco è stato stupido – non solo egoista – rifiutando di riconoscere la necessità di autorità e leggi morali, e confondendo perciò i mezzi con i fini.
Gordon Brown, primo ministro di una grande nazione, con il suo intervento ha dato una magistrale lezione per chi vuole intenderla: si deve dare un senso allo strumento economico e si deve riconoscere che l'economia non può avere una sua autonomia morale.
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Il giornale della Santa Sede su cui sono usciti i tre articoli:
> L'Osservatore Romano
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