lunedì 6 dicembre 2010

IL CASO CALVI E I LEGAMI CON L'ATTENTATO AL PAPA:IL FIGLIO DI CALVI:“LA CHIAVE DEL GIALLO NELLO SCANDALO IOR”


Il banchiere rivelò:“Chi ha colpito Wojtyla ora mista facendo la guerra”.E il 13 maggio decise di trasferire la famiglia

di ANNA MARIA TURI

L'anniversario dell'attentato a Giovanni Paolo II segna
un mistero lungo vent'anni. Dal 13 maggio 1981, tre
inchieste della magistratura, e nessuna risposta
all'interrogativo sui mandanti di un crimine senza
precedenti nella storia moderna.
Ma ecco giungere dalla Turchia le dichiarazioni di Orai
Celik, boss mafioso che dava ordini ad Agca nella sua
lunga marcia verso piazza San Pietro: né l'Est, né
l'Ovest - dice il lupo grigio — hanno complottato ai
danni di Wojtyla, perché i mandanti vanno ricercati in
certi ambienti vaticani, sostenuti da ambienti dei
Servizi segreti italiani.
E' bene ricordare che all'epoca il Vaticano doveva
risolvere il problema del colossale “buco” nelle sue
finanze, createsi per l'aggrovigliata storia dei suoi
rapporti con il Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. E’
perciò a Carlo Calvi, figlio del banchiere assassinato a
Londra il 18 giugno 1982, che chiediamo di parlarci dei
retroscena a sua conoscenza riguardanti quei crimini e di
quanto, eventualmente, è rimasto finora sepolto nel
patrimonio dei ricordi di famiglia.

Dottor Calvi, torniamo alla fine degli anni Settanta e
agli inizi degli anni Ottanta, fitti di delitti e di
misteri, i cui nodi sono ancora da sciogliere. Per la
parte che ne ebbe suo padre, lei cosa ne sa?
«L'omicidio di mio padre, come l'attentato al Papa
dell'anno prima, servirono a scongiurare la rivelazione
dei rapporti tra politica, economia e crimine. Quando più
violenta si fece la pressione esercitata su mio padre
affinchè mantenesse il segreto sull'uso che si faceva
dell'Ambrosiano, e quindi dello IOR, per finanziare
attività politiche e progetti occulti, lui pensò di
difendersi informandone il nuovo Papa. E lo fece
all'insaputa di tutti, anche di Marcinkus. Giovanni Paolo
II, una volta eletto, fu per qualche tempo all'oscuro
delle attività coperte dei due Istituti, mentre papa
Montini ne era stato sempre perfettamente al corrente.
Così papa Wojtyla venne informato da mio padre del
complesso meccanismo di triangolazione chiamato "conto
deposito", che consentiva al Banco Ambrosiano di Nassau
di finanziare lo IOR tramite la panamense United Trading
Company con conto presso la Banca del Gottardo di
Lugano».

A questo punto iniziò una guerra a Calvi e al Papa?

«Esattamente. Io allora vivevo a Washington e mi sono
rimasti particolarmente impressi gli incontri con mio
padre che a volte, per raggiungermi, rimandava impegni
importantissimi. Lo scopo era di trasmettermi il senso
del pericolo incombente sulla nostra famiglia. A me, a
dir la verità, quei presagi allora sembravano esagerati.
Ma poco prima dell'attentato al Papa, mio padre volle che
ci ritrovassimo tutti insieme in Svizzera: e fu allora
che lui, fortemente preoccupato per la nostra incolumità,
fece pressioni affinchè anche mia madre e mia sorella
lasciassero l'Italia».

A lei raccomandava di guardarsi da qualcuno in
particolare?

«Da Umberto Ortolani, per esempio, cui attribuiva un
potere sinistro, e dal suo giro. Dopo il 13 maggio, mio
padre cominciò le pratiche per trasferire mia madre e mia
sorella in Canada».

Lei dunque sostiene che i mandanti dell'attentato al Papa
e quelli che, un anno dopo, uccisero suo padre furono gli
stessi?
«Esattamente. Concordo, in questo, con le dichiarazioni
di Oral Celik. Molti si sentivano assediati da un Papa
che ormai “sapeva”».

Ma suo padre, all'indomani del 13 maggio, accennò ai nomi
dei presunti mandanti?

«Mio padre era un uomo riservato. D'altro canto, si
guardava bene dal renderci depositari di verità
particolarmente scottanti. Comunque, sì, li collocava
all'interno del Vaticano, lacerato dalle lotte di potere,
dove i rapporti, esasperati, assumevano forme di vera e
propria violenza».

Prima che si accasciasse sotto i colpi di Ali Agca, quali
pensieri avevano angustiato il Santo Padre al quale, come
lei ci dice, Roberto Calvi parlava da solo e in
confidenza?

«Lo angustiavano appunto le divisioni, le lotte, e le
posizioni ideologiche e di potere da cui traevano
origine».

E il debito?

«Il Papa non era afflitto tanto dal debito in sé».

Suo padre le disse chiaramente: “Hanno colpito il Papa
gli stessi che stanno facendo la guerra a me”?

«Sì, inquadrò gli eventi nello stesso contesto in cui
avvenivano gli episodi di aggiotaggio miranti a colpire
lui personalmente. Stesso contesto, stessa regia».

A soli sei giorni dall'attentato, un rapporto dei servizi
segreti italiani menzionava fatti e circostanze che
misero gli inquirenti sulla pista dell'Est.

«Ricordo che all'indomani di quel 13 maggio '81,
Francesco Pazienza corse da me alle Bahamas e,
invitandomi a cena la sera stessa del suo arrivo, non
fece che parlarmi dell'attentato, suggerendo,
ambiguamente, quella che sarebbe diventata la pista
bulgara».

Parliamo degli esecutori materiali. I magistrati hanno
scoperto tracce dei contatti tra Agca e la mafia
siciliana. La polizia ha accertato che il turco, pochi
mesi prima dell'attentato, soggiornò a Palermo dove
giunse dalla Tunisia. Adesso Celik svela che nel
capoluogo siciliano avvennero contatti determinanti per
l'esecuzione dell'attentato. Questo le fa venire in mente
qualcosa?

«Mi fa venire in mente l'impiego del crimine organizzato,
per esempio, nell'attentato a Roberto Rosone, direttore
generale dell'Ambrosiano, da parte di Danilo Abbruciati,
boss della banda della Magliana. La caratteristica della
banda era di accomunare criminali e terroristi, come gli
"espatriati" di estrema destra a Londra, legati al mondo
degli antiquari».

Il 20 maggio '81 suo padre è arrestato nella casa di
Milano. Il 10 giugno inizia il processo per il crac
dell'Ambrosiano. Allora lui comincia a rivelare parte
dell'intreccio che lega i due Istituti. Questo ne prepara
la fine?

«Voglio che si sappia che la rogatoria che prese le mosse
il 20 maggio fu una vera e propria pallottola
assimilabile a quella dell'attentatore, in tutti i sensi.
Certamente vi furono anche altre cause della tragedia di
mio padre, il quale in quel periodo cercava
interlocutori, per sé e per lo IOR, per salvare la sua
Banca e l'Istituto vaticano, e per quest'ultima li
cercava in quanti erano più vicini alle posizioni
ideologiche del Papa. Fino a quel momento la Banca
vaticana era stata una torre impenetrabile, ma il
processo l'aveva resa penetrabile. Ora l'Opus Dei
prometteva un suo intervento per ridurre la posizione
debitoria dell'Istituto; in cambio, ovviamente, di un
aumento del peso della sua influenza su di esso».

Fonte: La Repubblica, 12 maggio 2001
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