venerdì 1 luglio 2011

La Lettera alle sette chiese dell'Apocalisse

INTRODUZIONE
L’Apocalisse è uno dei libri della Bibbia, la cui profezia, in parte, deve ancora adempiersi. Dato che la bramosia di sapere cosa avverrà domani, affascina gli uomini, questo libro è uno dei più letti, uno dei meno compresi, ma anche uno dei più strumentalizzati. Non sono pochi quelli che credono che sia un libro difficile da capire perché riguarda le cose future. Si cade così in due eccessi: “O s’ignora questo libro oppure ci si butta a capofitto su di esso, cercando ad ogni costo la “perfetta comprensione” con il rischio di interpretazioni strane che spesso hanno fatto arrossire famosi scrittori per le loro imprecisioni escatologiche frettolosamente descritte e proclamate come da parte di Dio.
Molti dimenticano una realtà: “La Parola di Dio si cala nell’oggi del credente, infatti, l’Apocalisse è la rivelazione data intorno alle cose che devono avvenire:
“Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli diede per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire tra breve e che egli ha fatto conoscere mandando il suo angelo al suo servo Giovanni. Egli ha attestato come parola di Dio e testimonianza di Gesù Cristo tutto ciò che ha visto” (Apocalisse 1:1,2).


È interessante notare, a dispetto di quanti eccedono ignorandolo e non interessandosi allo studio e alla sua meditazione, che esso contiene una beatitudine particolare che può essere realizzata solo da coloro che mostrano un sincero amore ed un particolare interesse per tutta la Parola di Dio, compresa l’Apocalisse: “Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino”! (Apocalisse 1:3).
Ricordiamoci che non possiamo in alcun modo e in nessuna maniera togliere o aggiungere nulla alla Parola di Dio, perché se è vero che c’è una benedizione per coloro che leggono e ascoltano, vi è anche una maledizione per chi viviseziona la Parola di Dio. Infatti se il libro dell’Apocalisse inizia con una beatitudine è pur vero che termina con un solenne avvertimento: “Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro” (Apocalisse 22:18,19).

Il credente nato di nuovo crede fermamente che tutta la Parola di Dio è ispirata in senso plenario cioè totale e in senso verbale, cioè ogni singola Parola è ispirata da Dio: “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Timoteo 3:16,17).

Le sette Chiese dell’Asia
Giovanni scrive, per ordine del Signore, a sette Chiese dell’Asia: “Giovanni, alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che sono davanti al suo trono” (Apocalisse 1:4).

Perché queste sette Chiese?

Al tempo in cui Giovanni scrisse i sette messaggi alle Chiese, vi erano certamente alcune centinaia di comunità di cristiani in tutta l’Asia Minore. Molte di queste piccole comunità avevano imparato a soffrire sotto l’uragano delle persecuzioni ed erano diventate caute, infatti si riunivano in gran segreto. Quelle che osavano farlo apertamente dovevano fare i conti con il disprezzo del popolo. Ma le sette Chiese alle quali queste lettere furono inviate non erano né le più grandi, né le più note del loro tempo. Le Chiese di Roma e di Antiochia, ad esempio, avevano senza dubbio delle congregazioni più grandi e contavano fra i loro membri persone più eminenti.

Perché furono scelte quelle 7 Chiese per ricevere speciali messaggi di lode, rimprovero, d’esortazione e di sfida? Questa domanda ha agitato per secoli gli animi ed ha dato origine a svariate spiegazioni.
Innanzi tutto possiamo affermare che il numero 7, numero di Dio, è molto usato nell’Apocalisse:

1. Le sette lettere alle sette Chiese.
2. I sette suggelli.
3. Le sette trombe.
4. I sette personaggi: “La donna, il dragone, il figlio maschio, l’arcangelo Michele, il rimanente, la bestia dal mare, la bestia dalla terra”.
5. Le sette coppe.
6. I sette giudizi su: “La Babilonia ecclesiastica, la Babilonia politica, l’anticristo e il falso profeta, le nazioni anticristiane, Gog e Magog, Satana, i malvagi morti”.
7. Le sette cose nuove: “Nuovi cieli, la nuova terra, la nuova città, le nuove nazioni il nuovo fiume, il nuovo albero, il nuovo trono”. 


La scelta di queste sette Chiese, nel linguaggio simbolico dell’Apocalisse, vuole indicare qualcosa di completo, dato che questo numero in tipologia indica “abbondanza, totalità” ed esprime l’idea della perfezione. Pertanto il fatto che sono menzionate sette Chiese, suggerisce il pensiero che l’autore abbia inteso rivolgersi alla Chiesa di Dio, nella sua completezza.

A conferma di quanto detto, non solo nell’Apocalisse, ma anche nell’intera Bibbia, i riferimenti al numero sette e ai suoi multipli, abbondano. Ricordiamo i sette giorni della creazione oppure i cicli di sette anni che troviamo nell’Antico Testamento: “Le sette vacche belle sono sette anni e le sette spighe belle sono sette anni; è uno stesso sogno. Le sette vacche magre e brutte che salivano dopo quelle altre, sono sette anni; come pure le sette spighe vuote e arse dal vento orientale saranno sette anni di carestia. Questo è quello che ho detto al faraone: Dio ha mostrato al faraone quello che sta per fare. Ecco, stanno per venire sette anni di grande abbondanza in tutto il paese d’Egitto. Dopo verranno sette anni di carestia; tutta quell’abbondanza sarà dimenticata nel paese d’Egitto e la carestia consumerà il paese” (Genesi 41:26-30).

Nella successione delle lettere viene seguito anche un certo ordine geografico. La comunità di Efeso era quella più vicina a Patmo, poi sono menzionate le altre chiese, in ordine lungo le vecchie strade romane, a N fino a Pergamo e a S E fino a Laodicea.

Essi vogliono sempre indicare periodi precisi e ben delimitati. Dato che nella provincia dell’Asia le Chiese erano più di sette, è chiaro che queste furono scelte per rappresentarle tutte: “Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito” (Apocalisse 1:19).
Notiamo:

“Scrivi dunque le cose che hai vedute (passato);
quelle che sono (presente);
quelle che devono avvenire in seguito” (futuro).


Così in questi sette messaggi abbiamo una panoramica significativa della storia della Chiesa, dalla Pentecoste al suo rapimento. In questi messaggi si mette in evidenza il male che, in maniera progressiva caratterizzerà sempre più la cristianità, come predetto dalla parabola del lievito: “Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata» (Matteo 13:33).
Per questa ragione gli studiosi hanno visto un’analogia tra questi messaggi e le sette parabole del regno elencate in Matteo 13.

Leggendo le sette Chiese ed il loro messaggio notiamo che:
  • Si tratta di sette Chiese locali realmente esistenti all’epoca. Gesù loda le comunità per le buone opere che vi trova e le rimprovera, ogni volta che vi ha trovato il peccato o la mondanità.
  • Si tratta di tipi di Chiese locali che si ripropongono nella storia del cristianesimo. Qui, in sette Chiese tipiche, vediamo i caratteri principali di sette ere successive della storia della Chiesa.
Ad ogni modo, le caratteristiche predominanti delle Chiese d’oggi sono quelle della settima Chiesa, quella di Laodicea.
Vi è perciò un messaggio per le Chiese locali di ogni tempo, anche per quelle contemporanee. È evidente che il Signore ha scelto quelle Chiese particolari perché esse rivelavano una tipica mescolanza d’energie e di debolezze, nonché diversità di caratteristiche tali da poter in proposito impartire molte lezioni alla Chiesa, fino alla fine della sua storia.

Vi è un messaggio per i credenti d’ogni tempo fino al ritorno del Signore. Il fine che si propongono queste lettere concerne i singoli credenti nell’ambito di ciascuna comunità. Per esempio, quando Gesù dice alla Chiesa di Laodicea che egli sta alla sua porta e picchia per entrare, ciò non significa che egli chieda semplicemente di poter entrare nella vita di quella comunità, ma è evidente che egli vuole entrare personalmente nella vita di ciascun individuo di quella Chiesa: “Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me” (Apocalisse 3:20).
Pertanto, attraverso queste lettere, ogni singola comunità deve oggi esaminare il suo stato spirituale alla luce delle esortazioni di Gesù alle Chiese del 1° secolo. Allo stesso modo il pastore deve conoscere a fondo le Chiese che Gesù lodava o rimproverava per poter meglio espletare il ministerio della Parola: “Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito, il mistero delle sette stelle che hai viste nella mia destra e dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e i sette candelabri sono le sette Chiese” (Apocalisse 1:19,20).

I sette candelabri sono dunque le sette Chiese e le sette stelle che il Signore ha in mano sono i conduttori delle Chiese, chiamati anche angeli quando le lettere vengono indirizzate alle singole Chiese.
Questo significa che la Sua signoria sulla Chiesa è assoluta: “Io mi voltai per vedere chi mi stava parlando. Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un figlio d’uomo, vestito con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d’oro all’altezza del petto.

Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace e la sua voce era come il fragore di grandi acque. Nella sua mano destra teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza” (Apocalisse 1:12-16).
Nuovamente viene ricordata questa realtà: “All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro” (Apocalisse 2:1).

È bello essere stelle in mano al Signore o candelabri chiamati a fare luce ed è bello sapere che Gesù cammina in mezzo a questi candelabri, ma l’avvertimento per l’uno e per l’altro è solenne: “Se non fanno luce possono essere rimossi”: “Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi” (Apo. 2:5).

Gesù ne aveva anticipatamente parlato ai Suoi discepoli: “Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa”. Matteo 5:14-16.
La responsabilità nell’ambito di un’assemblea riposa, secondo la Parola di Dio, su tutti i membri, nella misura però della chiamata, della conoscenza e del dono di ciascuno. Gli anziani e i fratelli ai quali il Signore ha affidato il ministerio della Parola, hanno una misura speciale di responsabilità. É noto, d’altronde, che sovente nelle Sacre Scritture un angelo viene adoperato quale rappresentante di una persona, sia esso visibile o invisibile. Ad ogni modo, tutto quel che é detto all’angelo é sempre indirizzato a tutta l’assemblea. Per questo ogni lettera termina con le parole: «Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Benché il Signore indirizzi, per mezzo dello Spirito Santo, le comunicazioni d’ogni lettera a tutta l’assemblea, tuttavia non si rivolge personalmente ai credenti, qui Egli si rivolge soltanto all’angelo perché era già incominciato il declino della Chiesa.

Tra le varie Chiese dell’Asia Minore, il Signore ha scelto queste sette perché ognuna di esse é, nel suo stato, l’immagine di un dato periodo della storia della cristianità o della Chiesa intera, per quanto dipende dalla responsabilità dell’uomo, cioè della sua condotta. Ecco come queste lettere hanno un messaggio per le Chiese d’ogni tempo. Infine notiamo che nella successione delle lettere è eseguito anche un certo ordine geografico. La comunità di Efeso era quella più vicina a Patmos, poi sono menzionate le altre Chiese, in ordine, lungo le vecchie strade romane, a nord fino a Pergamo e a sud est fino a Laodicea.

Riassumendo possiamo dire che:
1.Sono sette lettere a sette Chiese reali di quel tempo;
2.Sono sette periodi della storia del Cristianesimo;
3.Sono sette messaggi alle Chiese d’ogni tempo e luogo;


È indicativo che queste lettere di conforto e d’ammonimento alle sette Chiese, abbiano queste caratteristiche:
Sono dettate a Giovanni da Gesù stesso: “Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro a me una voce potente come il suono di una tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea» (Apocalisse 1:9-11).
Sono le sole parole che Gesù abbia mai pronunciate direttamente alla sua Chiesa: “Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore e udii dietro a me una voce potente come il suono di una tromba, che diceva: «Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese…” (Apo. 1:10-11).

Contengono le ultime parole di Gesù: “Colui che attesta queste cose, dice: «Sì, vengo presto!» Amen! Vieni, Signore Gesù”! (Apocalisse 22:20).
Quello che le sette lettere hanno in comune.
Abbiamo detto che ognuna delle sette lettere è indirizzata a una Chiesa veramente esistita, cioè storica. Ogni lettera segue perciò un ordine logico comune, veramente chiaro, nel modo seguente:

1. Il destinatario.
Ogni lettera è inviata al responsabile di una Chiesa: “All’angelo della Chiesa di… scrivi” (Apocalisse 2:1).
Ogni lettera comincia in questo modo. Il pastore, dopo averla ricevuta, era chiamato a leggerla e ad esporre il contenuto all’assemblea. Ciò testimonia l’arduo compito che grava sul responsabile della comunità, chiamato a vegliare, ad intervenire, a prendere decisioni anche dolorose, a togliere il male, ad estirparlo dalla radice anche se questo può farlo apparire impopolare: “Togliete il malvagio di mezzo a voi stessi” (1Corinzi 5:13).

2. La descrizione di Cristo.
Notevole é il carattere con il quale il Signore s’indirizza alle singole Chiese. Ne risulta essere ogni volta diverso e corrispondente sempre allo stato morale che caratterizza ogni assemblea:
Efeso: “All’angelo della Chiesa di Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro” (Apocalisse 2:1).
Smirne: “All’angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita” (Apocalisse 2:8).
Pergamo: “All’angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che ha la spada affilata a due tagli” (Apocalisse 2:12).
Tiatiri: “All’angelo della Chiesa di Tiatiri scrivi: Queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco e i piedi simili a bronzo incandescente” (Apocalisse 2:18).
Sardi: “All’angelo della Chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette spiriti di Dio e le sette stelle” (Apocalisse 3:1).
Filadelfia: “All’angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi: Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre” (Apocalisse 3:7).
Laodicea: “All’angelo della Chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio” (Apocalisse 3:14).

3. L’elogio.
Com’è bello vedere che il Signore riconosce e loda sempre, anzitutto, quel che può lodare e soltanto in segreto rimprovera.
Questo corrisponde perfettamente alla Sua dolcezza e alla Sua grazia. Cristo vuole elogiare ciascuna Chiesa per qualche cosa, ma purtroppo non tutte le sette Chiese possono essere elogiate dal Signore:
Efeso: “Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi. So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato” (Apocalisse 2:2,3).
Smirne: “Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana” (Apocalisse 2:9).
Pergamo: “Io so dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana; tuttavia tu rimani fedele al mio nome e non hai rinnegato la fede in me, neppure al tempo in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu ucciso fra voi, là dove Satana abita” (Apocalisse 2:13).

Tiatiri: “Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime” (Apocalisse 2:19).
Filadelfia: “Io conosco le tue opere. Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere, perché, pur avendo poca forza, hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome” (Apocalisse 3:8). Sardi e Laodicea: Non c’è niente di lodevole a proposito di Laodicea, la comunità apostata o di Sardi, che ha la parvenza di una comunità. Nessun elogio! Che non possa mai accadere nella nostra vita un simile triste e terribile avvenimento: “Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetizzato in nome tuo e in nome tuo cacciato demòni e fatto in nome tuo molte opere potenti? Allora dichiarerò loro: “Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!” (Matteo 7:22,23).

4. Il rimprovero.
Benché il Signore lodi più volentieri di quanto rimproveri, non può in nessun modo passare sopra il male.
Egli rimane, nel Suo grande amore, fedele alla Sua giustizia ed é sempre «il Santo e il Verace». Deve, a causa della propria santità, svelare sempre il male.

Sappiamo che il suo giudizio comincia proprio dalla casa di Dio e soltanto dopo il mondo sarà giudicato.
Cinque comunità su sette, sono rimproverate dal Signore:
Efeso: “Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore” (Apocalisse 2:4).
Pergamo: “Ma ho qualcosa contro di te: hai alcuni che professano la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac il modo di far cadere i figli d’Israele, inducendoli a mangiare carni sacrificate agli idoli e a fornicare. Così anche tu hai alcuni che professano similmente la dottrina dei Nicolaiti” (Apocalisse 2:14,15).
Tiatiri: “Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione e a mangiare carni sacrificate agli idoli” (Apocalisse 2: 20).
Sardi: “Io conosco le tue opere: tu hai fama di vivere ma sei morto” (Apocalisse 3:1).

Laodicea: “Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca” (Apocalisse 3:15,16).
Smirne e Filadelfia sono le sole comunità alle quali Cristo non ha bisogno di rimproverare alcun peccato. Rappresentano la Chiesa dei martiri, la Chiesa missionaria, pronta per il rapimento.

5. L’esortazione.
Cristo consiglia e incoraggia ciascuna delle Chiese a riconoscere le proprie mancanze, a pentirsi e a rimuovere qualsiasi cosa che ostacoli la loro piena consacrazione a Lui:
Efeso: “Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi” (Apocalisse 2:5).
Smirne: “Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita” (Apocalisse 2:10).
Pergamo: “Ravvediti dunque, altrimenti fra poco verrò da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca” (Apocalisse 2:16).
Tiatiri: “Ma agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga” (Apocalisse 2:24,25).

Sardi: “Sii vigilante e rafforza il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricordati dunque come hai ricevuto e ascoltato la parola, continua a serbarla e ravvediti. Perché, se non sarai vigilante, io verrò come un ladro e tu non saprai a che ora verrò a sorprenderti” (Apocalisse 3:2,3).
Filadelfia: “Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora del cimento che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. Io vengo presto; tieni fermamente quello che hai, perché nessuno ti tolga la tua corona” (Apo. 3:10,11).
Laodicea: “Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me” (Apocalisse 3:19,20).

6. La promessa.
È meraviglioso constatare che il Signore, nel Suo amore, spera il meglio per i Suoi, infatti, in ognuna delle sette lettere parla di vincitori. Egli fa affidamento, in ogni tempo, su dei cuori attenti alle Sue solenni parole, i quali, in mezzo alla cristianità in rovina, si rivolgono a Lui e con la forza che Egli dà loro, possono vincere il male.
Efeso: “A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio” (Apo. 2:7).
Smirne: “Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda” (Apocalisse 2:11).
Pergamo: “A chi vince io darò della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve” (Apocalisse 2:17).
Tiatiri: “A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino” (Apocalisse 2:26-28).

Sardi: “Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli” (Apocalisse 3:5).
Filadelfia: “Chi vince io lo porrò come colonna nel tempio del mio Dio ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio e della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il mio Dio e il mio nuovo nome” (Apocalisse 3:12).
Laodicea: “Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono” (Apocalisse 3:21).

7. L’invito ad ascoltare.
Verso la fine d’ogni lettera, il Signore dice: «Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese». Il Signore promette benedizioni meravigliose a tutti coloro che “ascoltano” ciò che Egli dice alle Chiese e si attengono alla Sua volontà. Nessuno trascuri questo invito ad ascoltare.

8. L’applicazione profetica.
La funzione storica d’ogni Chiesa non si esaurisce nel I° secolo, ma prosegue nel corso dei successivi venti secoli.

CHIESA DI EFESOcristianesimo del tempo apostolico (0 – 120)
La città di Efeso era in quel tempo una potente e ricca città di commercio, ed era anche la capitale della provincia romana dell’Asia. Qui l’apostolo Paolo aveva annunziato l’Evangelo per alcuni anni con grandi benedizioni e molto successo (Atti 19:10). Lo Spirito di Dio operò con potenza in quel centro dei piaceri mondani dove la “grande Diana” (Artemide) degli Efesini, la dea pagana della caccia, era onorata in un tempio magnifico (Atti 19:21-41). Un gran numero di uomini e donne si convertì e buon numero di quelli che avevano esercitato le arti magiche portarono i loro libri e li bruciarono in pubblico. Il loro prezzo fu valutato a 50 mila dracme d’argento (Atti 19:19-20) !
Più tardi, anche l’apostolo Giovanni visse ed operò diversi anni in Efeso. Da questo luogo si sparsero certamente grandi benedizioni verso le altre chiese dell’Asia Minore, durante i giorni dell’apostolo Paolo e di Giovanni.

Il nome e il carattere col quale il Signore si presenta a questa chiesa, e il fatto che è la prima ad essere nominata, ci fa pensare quali benedizioni speciali possedesse quest’assemblea, e di conseguenza quali particolari responsabilità. Efeso ci appare come l’immagine della Chiesa intera, al tempo degli apostoli. Questo è dimostrato già dall’intestazione della lettera. Il Signore dice: “Queste cose dice Colui che tiene le sette stelle nella sua destra, e che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro” (2:1).
Non vediamo forse qui il Signore, il capo della Chiesa, nella posizione originaria di potenza suprema che Gli appartiene e nella quale la Chiesa avrebbe dovuto riconoscerlo dal principio della sua storia quaggiù sino alla fine? Nella sua man destra sono le sette stelle, ed Egli cammina in mezzo ai sette candelabri. Questa è la sua posizione rispetto alla Chiesa intera; ed in questa posizione la Chiesa lo riconosceva al principio.
Il nome di Efeso significa: amabile, diletta, colei che ama. Questo nome è caratteristico per tutta la Chiesa di Cristo. Leggiamo proprio nell’epistola agli Efesini che “Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Efesini 5:2). Quest’amore del Signore è meraviglioso e incomparabile. Ogni credente può dire: “Cristo mi ha amato, e ha dato se stesso per me” (Galati 2:20; Efesini 5:25).

Che cosa ha dunque il Signore da dire a questa chiesa?
Anzitutto riconosce con elogio diverse cose: “Io conosco le tue opere e la tua fatica e la tua costanza”. Similmente scriveva l’apostolo Paolo ai Tessalonicesi: “Noi rendiamo del continuo grazie a Dio per voi tutti… ricordandoci del continuo, nel cospetto del nostro Dio e Padre, dell’opera della vostra fede, delle fatiche del vostro amore e della costanza della vostra speranza nel nostro Signor Gesù Cristo” (1 Tessal. 1:3). Dunque, presso gli Efesini si trovavano in abbondanza opere, fatica e costanza. Tutto ciò scaturiva, come al principio, direttamente dalla fede, dall’amore e dalla speranza? Si trovava il cuor loro ancora nella stretta comunione col Signore come al principio? Ah! Il Signore non guarda soltanto alle nostre opere e al nostro cammino, ma vede nel nostro cuore ed esamina l’intento del nostro agire. Se Egli, già nell’Antico Testamento, supplicava in modo così commovente: “Figliuol mio, dammi il tuo cuore” (Proverbi 23:26), quanto più desidera ora, come Signore e Sposo della sua Chiesa (che ha amato e che ama sino alla fine del medesimo amore santo e divino) possederne il cuore, ed essere contraccambiato nel suo amore. In principio le cose stavano veramente così (Atti 2:42-47; 4:32-35) ma ecco che internamente il declino era già cominciato, anche se esteriormente tutto sembrava in ordine. Lo sguardo penetrante del Signore aveva scoperto un difetto che lo affliggeva molto; Egli deve riprovare: Ma ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo amore”. Riconosce pure che l’assemblea esercitava nel suo seno la disciplina e non tollerava il male.

La loda per aver messo alla prova e rigettato coloro che si dicevano apostoli e non lo erano. Ed aggiunge: “E hai costanza e hai sopportato molte cose per amor del mio nome, e non ti sei stancato”. Che bella testimonianza !
Il fatto che tutte queste opere, fatica, costanza e risolutezza nel giudicare il male, non offrano l’equivalente del dono del nostro cuore e del nostro amore per Lui, non è forse una prova della grandezza dell’amore del Signore per la Chiesa? Ogni credente, l’assemblea locale, o la Chiesa intera, abbandonando il primo amore ha perso quella felice posizione da dove onorava il Signore.

Perciò Egli deve aggiungere: “Ricordati dunque donde sei caduto, e ravvediti e fai le opere di prima”.
Leggendo l’epistola dell’apostolo Paolo agli Efesini, che ci mostra, come nessun’altra epistola del Nuovo Testamento, le grandi benedizioni e la posizione celeste del credente, ci sembra quasi impossibile che appena trent’anni dopo, il Signore stesso indirizzando la lettera a quell’assemblea debba rimproverarla in tal modo. Ma che cos’è l’uomo? Ha egli saputo mai mantenersi nella posizione in cui Dio l’aveva posto?
Purtroppo no! Nel paradiso terrestre, in mezzo a tante benedizioni, cadde nella disubbidienza. E quando più tardi Iddio si scelse un popolo, fu la stessa cosa. Mentre Iddio gli dava una legge, Israele si faceva un vitello d’oro che chiamò suo Dio! Poi rovinò il sacerdozio e finì col crocifiggere il suo Messia.

Così l’uomo fu sempre ingrato, disubbidiente e infedele. Un solo Uomo ha continuamente glorificato Iddio sulla terra: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che si fece uomo per salvare noi, peccatori perduti.
Leggendo le grandi e magnifiche verità dell’epistola agli Efesini, dobbiamo notare come lo Spirito Santo, per prevenire il declino, faccia risaltare sovente il valore e le benedizioni dell’amore e tutto ciò che ha fatto per noi, e come Dio lo ricerchi anche nei nostri cuori (si legga Efesini 1:4; 2:4; 3:17-19; 4:2, 15, 16; 5:1, 2, 25; 6:23-24). Vediamo in ogni capitolo, e in modo particolare nell’epilogo, come l’apostolo Paolo richiami alla memoria degli Efesini l’amore di Dio quasi voglia prevenire il declino. Com’è importante ai nostri tempi, poiché ci gloriamo di una grande conoscenza, ricordarci che Iddio cerca in noi anzitutto l’amore e desidera possedere e dirigere il nostro cuore.

Il declino della Chiesa cominciò proprio così, quando cioè i cuori perdettero il loro primo amore, vale a dire non lasciarono più, come al principio, tutto il posto al loro Salvatore e Signore, non furono più nella completa sua dipendenza. Con ciò era stata aperta una larga porta al male.
Le sette lettere ci mostrano pure che il declino e la rovina, penetrati immediatamente nella Chiesa dopo l’abbandono del primo amore, continueranno ad aumentare e ad aggravarsi attraverso tutto il periodo della cristianità. Quel che il Signore disse profeticamente in queste lettere è stato fino ad ora confermato dalla storia della Chiesa e dall’esperienza.

Oggi ancora il Signore richiama ognuno dei suoi, il cui cuore non batte più interamente per Lui in un amore sincero, anche se esternamente, di fronte al mondo e agli altri credenti, tutto sembri ancora in perfetto ordine, e dice: “Ho questo contro di te: che hai lasciato il tuo primo amore. Ricordati dunque donde sei caduto, e ravvediti, e fa’ le opere di prima!”. Quando un cuore ritorna a Lui, nel godimento del suo amore, può essere ristabilito e fare le opere di prima. La grazia del Signore per ristorare i suoi è molto grande. Egli richiama alla memoria della Chiesa i preziosi rapporti e le benedizioni in cui essa dapprima si trovava e la scongiura di ravvedersi, di pentirsi. Senza uno spietato giudizio di se stesso, nella presenza di Dio, non è possibile un vero ristora mento. Il Signore però è pronto a produrre in noi, se apriamo il cuore ai raggi della sua luce santa, un vero giudizio di noi stessi, un vero pentimento e una vera umiliazione per mezzo del suo Spirito. E ogni credente è, Dio sia lodato, un monumento visibile della grazia, che il Signore conduce, sopporta, risveglia e ristora.

Efeso, vista nel suo insieme, come assemblea locale, non si è pentita, e il Signore ha mandato ad effetto la sua minaccia: “Se no, verrò a te, e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto, se tu non ti ravvedi”. In Efeso, da molto tempo, non vi son più chiese cristiane, e la città stessa fu distrutta dagli eserciti maomettani, che furono spesse volte gli esecutori dei castighi di Dio; e il suo luogo non è più che un ammasso di rovine. Ma quel che è ancor più grave è il fatto che l’intera Chiesa dei tempi apostolici, di cui Efeso è in figura la rappresentante, non si è pentita e non è ritornata al primo amore. La Chiesa ha continuato a scendere per la via del declino e della rovina, a parte qualche assemblea locale e qualche risveglio temporaneo, finché la troviamo nel settimo ed ultimo stadio, in Laodicea, ove il Signore si libera d’essa; Egli vomiterà dalla sua bocca la chiesa professante, la cristianità senza vita (Apoc. 3:16). I veri credenti, i cristiani nati di nuovo, coloro che per mezzo dello Spirito sono legati a Lui, le membra del suo corpo, non verranno vomitati dalla sua bocca e rigettati, ma saranno già stati raccolti nella gloria (Giovanni 14:3; 1 Tessal. 4:17). Essi sono “le vergini avvedute” che posseggono la vita divina e “l’olio”, cioè lo Spirito Santo, e che entrano con Lui nella sala delle nozze. Le vergini stolte, invece, rimarranno sulla terra, abbandonate alla seduzione e al giudizio (Matteo 25:1-11; 2 Tessal. 2:11-12).

Il Signore trova ancora qualcosa da lodare in Efeso: “Ma tu hai questo: che odii le opere dei Nicolaiti, le quali odio anch’io”. Che cosa erano queste “opere dei Nicolaiti” ? Nessuno lo sa con certezza. Alcuni dicono che esistesse una setta dei Nicolaiti, chiamata ingiustamente così dal nome di uno dei sette fratelli nominati ad occuparsi dei poveri (Atti 6:5), che trasformava la grazia del Signore in dissolutezza e viveva in peccati grossolani. Questo però non è confermato dalla storia. Può anche darsi che i Nicolaiti nominati di nuovo nella lettera alla chiesa di Pergamo (cap. 2:15) non siano gli stessi di quelli che professavano la dottrina di Balaam, il quale era colpevole di aver trascinato i figliuoli d’Israele nel peccato; costoro sono nominati a parte (cap. 2:14). Comunque il Signore odiava le opere dei Nicolaiti, non le persone; questo stesso odio si trovava nella chiesa di Efeso, ed è ciò che il Signore loda. Noi pensiamo che le opere dei Nicolaiti non siano state dei peccati carnali, altrimenti l’espressione “le quali odio anch’io” sarebbe stata troppo debole. Dovevano avere qualcosa di buono apparentemente. Il significato del nome ci aiuterà in questo caso, come spesso in queste lettere, a comprendere meglio la cosa. Il termine “Nicolaita” vuol dire: vincitore del popolo (parola composta da: vittoria e popolo).

In altri termini troviamo qui il principio della dolorosa divisione dei credenti in spirituali (clero) e laici. Iddio non voleva assolutamente questa differenza, e il Signore Gesù diceva ai suoi: “Uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli” (Matteo 23:8). E noi sappiamo, come lo Spirito Santo ce lo ricorda nelle diverse epistole, che tutti i credenti sono fratelli, un corpo in Cristo; che sono membra l’uno dell’altro e che formano tutti insieme un sacerdozio reale (1 Pietro 2:9; Apo. 1:5-6). Nella Chiesa di Gesù Cristo non deve esistere una speciale posizione per i sacerdoti, neanche nel senso o modo del sacerdozio israelitico.
Appena si perdettero, fra i credenti, il primo amore e la freschezza spirituale, la forza e la vita vennero meno, la via fu aperta alle opere dei Nicolaiti e s’incominciò a fare delle differenze fra sacerdoti e laici. Più tardi a Pergamo (2:12) vediamo come già le “opere” erano state sostituite con la “dottrina” dei Nicolaiti. Ed è sempre così: dapprima si infiltra una cattiva pratica, che poi si trasforma in oggetto di fede (dogma). Sappiamo come Lutero in un primo tempo, e in modo particolare Spener, abbiano voluto eliminare la differenza fra sacerdoti e laici, cioè queste “opere e dottrina” dei Nicolaiti. Essi insistettero affinché la verità biblica del sacerdozio comune fosse messa in pratica. Purtroppo però non riuscirono nel loro intento.
Infine vogliamo ancora considerare l’appello che il Signore fa al termine di ogni lettera: “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”.

Troviamo qui un grande principio: poiché la chiesa si è allontanata e si è resa infedele non essendo rimasta sul terreno della verità, il Signore richiama i singoli fedeli e ricorda loro la sua Parola verace. In essa devono star saldi. Il Signore non dice: Chi ha orecchio ascolti ciò che la chiesa insegna, ma “ciò che lo Spirito di Dio (nella sacra Scrittura) dice alle chiese”. La Parola di Dio determina quel che dobbiamo credere, non la chiesa, che poteva diventare infedele come infatti avvenne. Che importanza ha questa verità!
Da quando il declino incominciò in tutta la Chiesa o nelle singole assemblee, lo Spirito Santo e la Parola di Dio si rivolgono al credente singolarmente e lo invitano a decidersi risolutamente per Cristo, a risalire la corrente o il sentimento generale, a mettersi decisamente dal Suo lato, non lasciandosi sopraffare dal male, ma essendone vincitore. La fede che guarda al Signore, che obbedisce alla sua Parola e vi fa affidamento è quella che vince il mondo (1 Giov. 5:4).

Il Signore promette al vincitore di Efeso, e ciò vale per tutti i vincitori, di dargli da “mangiare dell’albero della vita, che sta nel paradiso di Dio”.
Adamo, il primo uomo, perdette a causa della sua disubbidienza il diritto di mangiare dell’albero della vita, e infatti non ne mangiò. Ma ciò che andò perduto a causa del peccato è dato adesso a colui che vince, ed in misura maggiore; poiché egli non mangia di un albero della vita che è sulla terra, come ai giorni di Adamo, ma dell’albero della vita che è “nel paradiso di Dio” ! Per poter mangiare dall’albero della vita, Adamo avrebbe dovuto rimanere nel suo stato iniziale d’innocenza; ora invece bisogna vincere. Il peccato è nel mondo, l’azione del male si trova ovunque, persino in mezzo alla Chiesa. Soltanto per mezzo della fedeltà, che si traduce in un’obbedienza assoluta alla Parola di Dio, mettendola al di sopra di ogni parola d’uomo, il singolo credente può essere vincitore. È una cosa assolutamente personale.

CHIESA DI SMIRNE
il cristianesimo post-apostolico (120 – 313)
Abbiamo constatato la tristezza del Signore nel rimproverare i suoi perché avevano abbandonato il loro primo amore (2:4). Questo regresso nella vita spirituale e nella comunione col Signore ha aperto la via al declino e alla decadenza nell’intera Chiesa professante. Oggi è la stessa cosa, sia per la collettività, sia per ciascun credente. Se chi è convertito al Signore non rimane in comunione intima col suo Redentore e non contraccambia il suo amore meraviglioso, il suo cammino è diretto verso il basso e ritorna nel mondo. Ma il Signore nella sua grazia interviene e lo ferma su questa via per mezzo di una prova. Egli venne subito in aiuto alla Chiesa che aveva abbandonato il primo amore, permettendo a Satana di metterla alla prova con persecuzioni onde allontanarla da quel mondo falso ed ipocrita a cui si era avvicinata. Satana poteva cacciare dei diletti del Signore in prigione (sappiamo che la Chiesa apostolica, nome che possiamo dare alla Chiesa fino all’anno 100, diventò successivamente una Chiesa di martiri sino alla dominazione dell’imperatore Costantino, anno 325 dopo Cristo. Questa fu l’era della persecuzione dei cristiani).

Già il nome della Chiesa di Smirne ci parla di queste sanguinose persecuzioni. Il vocabolo Smirne, o “mirra”, vuol dire: amarezza. La mirra, una resina profumata molto conosciuta in Palestina ed in Arabia, era adoperata nella preparazione dell’olio dei sacerdoti, del balsamo per preservare i morti dalla corruzione e veniva anche bruciata come incenso odorifero.

È proprio nel secondo e terzo secolo che la Chiesa di Cristo si trovava immersa in un mare di dolore, fino alla morte. Ed è allora che i cristiani dovevano radunarsi nelle catacombe e vivevano nel deserto e nelle caverne; era il tempo delle persecuzioni, dei martiri, nel quale migliaia di credenti perdettero la vita. Ma il Signore li conforta dicendo: “Io sono il primo e l’ultimo. Colui che fu morto e torno in vita”. Anch’Egli come loro aveva glorificato Iddio con la sua morte, ma era risuscitato, aveva tolto il dardo e la vittoria alla morte. Satana poteva pur perseguitare i credenti, gettarli in prigione e condurli alla morte, ma di più non poteva fare. Tutto ciò Che si trovava al di là della morte non era più sotto il potere di Satana. Per questo il Signore consola i suoi dicendo: “Io conosco la tua tribolazione e la tua povertà (ma pur sei ricco). Non temere quel che avrai da soffrire… Sii fedele fino alla morte, e io ti darò la corona della vita… Chi vince non sarà punto offeso dalla morte seconda”.

La morte seconda è la separazione eterna dell’anima da Dio, come la prima morte è la separazione dell’anima dal Corpo. Quando Dio dice: “Il salario del peccato è la morte” dobbiamo pensare alla prima e alla seconda morte. Ma Colui che ha vinto la morte dice ai suoi: “Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita”. Tutto era tetro davanti ai loro occhi, ma Egli, vincitore della morte, poteva condurli meravigliosamente attraverso ogni sofferenza. Egli è “il primo e l’ultimo” in ogni cosa. E se alcuni dovevano passare per la morte, avevano la stessa sorte di “Colui che fu morto e tornò in vita”. Egli aveva la potenza di farli risuscitare in gloria e dar loro la “corona della vita” promessa, la corona che il Signore da a coloro che rimangono fedeli nelle tribolazioni e nelle prove; come leggiamo: “Beato l’uomo che sostiene la prova; perché essendosi reso approvato, riceverà la corona della vita” (Giacomo 1:12). Questo accenno alla risurrezione del Salvatore e alla nostra, per essere sempre con Lui, ci incoraggia in modo particolare a perseverare e ad operare fedelmente.

Anche l’apostolo Paolo, dopo aver detto trionfante: “La morte è stata sommersa nella vittoria; o morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo?”, ci esorta con le parole: “Perciò fratelli miei diletti, state saldi, incrollabili, abbondanti sempre nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Cor. 15:54-58). Come sono consolanti le parole del Signore, del compassionevole Sommo Sacerdote, ai credenti perseguitati di Smirne: “Io conosco la tua tribolazione e la tua povertà (ma pur sei ricco)”!Già verso il suo popolo Israele il Signore aveva dei sentimenti di profonda compassione. Quand’esso si trovava nel crogiuolo in Egitto, ed Egli si accingeva a liberarlo, disse a Mosè: “Ho veduto, ho veduto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido che gli strappano i suoi angariatori; perché conosco i suoi affanni, e sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani” (Esodo 3:7-8). Ciò che si è proposto, Iddio l’ha adempiuto. I credenti di Smirne erano temporaneamente poveri, ma questa povertà procura, come spesso abbiamo esperimentato, una grande ricchezza spirituale. Il Signore continua dicendo: “Io conosco le calunnie lanciate da quelli che dicono di esser Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana”. Ah! i Giudei che un tempo erano il popolo di Dio, sono diventati una sinagoga di Satana! Avevano oltraggiato Iddio, avevano oltraggiato Cristo, suo Figliuolo, il loro Messia; ed ora oltraggiano pure lo Spirito Santo, perseguitando ed uccidendo i suoi testimoni. Policarpo, ad esempio, uomo anziano e pio, fu perseguitato dall’odio dei Giudei, che lo uccisero bruciandolo verso l’anno 168. Il Signore incoraggia i perseguitati dicendo: “Non temere quel che avrai da soffrire”. Egli permette la sofferenza, lascia infuriare il nemico, ma gli fissa un limite che non può oltrepassare. Satana può gettarli in prigione, ma i giorni della prigionia sono fissati da Lui: sono “dieci” e non uno di più.

Com’è confortevole sapersi nelle mani di Colui che “è pieno di compassione e misericordioso” (Giacomo 5:11) e a cui “è stata data ogni podestà in cielo e sulla terra” (Matteo 28:18)!
Egli dice ad ognuno dei suoi: “Non temere”, ma anche: “Sii fedele sino alla morte”.
Ai giorni nostri e nei nostri paesi i cristiani non sono più perseguitati apertamente come un tempo; non vengono più gettati in prigione o uccisi a causa della loro fede. Tuttavia le parole: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Timoteo 3:12) hanno sempre il loro valore. Il mondo tollera una certa forma di pietà ed in certi casi la loda anche. Noi possiamo frequentare le radunanze e forse anche dire di essere convertiti; sovente il mondo sopporta tutto ciò. Quando però vogliamo vivere piamente, cioè quando manifestiamo i caratteri di Cristo nella vita pratica di ogni giorno, e cerchiamo di dirigere il nostro cammino secondo le parole di Dio, ecco apparire immediatamente, da una parte o dall’altra, resistenza e persecuzione. Quel credente che non ha da soffrire per questo, non vive piamente e non è fedele; non mira soltanto al Signore, ma a molte altre cose.

Un tale cristiano fa una grave perdita. Non impara a conoscere il Signore nelle sue compassioni e nelle sue consolazioni; non porterà molto frutto e non riceverà la corona della vita, pur possedendo la nuova vita ed essendo salvato per mezzo dell’opera di Cristo.
Anche a Smirne il Signore aggiunge: “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese”. Il Signore non ha nulla da rimproverare, ma ciascuno deve ascoltare il suo incoraggiamento. Come piace poco ai credenti d’oggi dover soffrire! Lo Spirito si rivolge anche ad ognuno di noi e ci chiede se siamo decisi a seguire il Signore e a portare il suo obbrobrio. Ai fedeli di Filippi Egli diceva: “Poiché a voi è stato dato, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire per Lui” (Filippesi 1:29).

CHIESA DI PERGAMO
cristianesimo all’epoca costantiniana (313 – 600)
Abbiamo visto in Smirne come il Signore tentasse di fermare il declino sempre più crescente della Chiesa, permettendo delle sanguinose persecuzioni, nel secondo secolo. Esteriormente la Chiesa si trovava in grande povertà, ma agli occhi di Dio era ricca, a causa della sua fedeltà e dell’incoraggiamento che esperimentava. Quando però Satana si accorse che la Chiesa non si poteva sterminare né con la forza, né col fuoco, né con la spada, poiché è fondata sulla roccia eterna, su Gesù Cristo e “le porte dell’Ades non la potranno vincere”, cambiò tattica. Fino ad allora si era mostrato come il leone ruggente, ma adesso si trasforma in angelo di luce, in serpente seduttore. Questo avvenne nel terzo secolo sotto l’imperatore Costantino. Egli favorì i Cristiani, diede loro delle posizioni onorevoli, delle cariche di Stato, fece del Cristianesimo la religione nazionale, trasformò i templi pagani in chiese cristiane e introdusse con la forza le feste pagane. La religione cristiana non fu più perseguitata, ma divenne la religione nell’Impero Romano.

Nell’anno 330, essendosi l’imperatore trasferito nella città greca di Bisanzio, che poi ricevette il nome di Costantinopoli, diede al terzo periodo della Chiesa cristiana il nome di “Chiesa greca”. Troviamo questa forma di religione in Grecia e, con qualche lieve differenza, in Russia col nome di “Chiesa ortodossa”.
Questa mondanità che si introduceva nella Chiesa era completamente in contrasto con la Parola di Dio che dice dei suoi: “Essi non sono del mondo” (Giov. 17:14 e 16). Il Signore, in questa terza lettera, giudica questo stato di cose, incoraggia i fedeli e ordina a tutti di pentirsi.

Notevole è il nome che il Signore prende all’inizio della lettera a Pergamo: “Colui che ha la spada a due tagli”. Questa è la Parola di Dio (Ebrei 4:12), che divide e separa ciò che non è compatibile con essa, come la Chiesa dal mondo. La vera Chiesa non fa parte del mondo, e non deve né associarsi con esso né voler regnare su di esso per formare con quest’ultimo un sistema religioso. Nella preghiera del Signore, dove troviamo ripetuta la frase “essi non sono del mondo”, vediamo pure ch’Egli Chiede al Padre: “Santificali (cioè mettili a parte) nella verità: la tua parola è verità” (Giovanni 17:17).
Nondimeno il Signore deve rimproverare la Chiesa e dice: “Io conosco dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana”.

La Chiesa, che è celeste secondo il suo appello, la sua posizione, la sua speranza e le sue benedizioni, abita là ove è il trono di Satana. Satana è il “principe di questo mondo” (Giovanni 14:30). Vi era però un piccolo nucleo della Chiesa, i veri credenti, che al principio teneva ancor fermo, anche sotto Costantino, e il Signore lo riconosce: “Tu ritieni fermamente il mio nome e non rinnegasti la mia fede”. Sì, tra questi vi erano perfino dei martiri, come Antipa (che vuol dire “uno contro tutti”). La testimonianza generale per Cristo però era perduta. La Chiesa aveva ascoltato la dottrina di Balaam (vers. 14). Questo falso profeta era stato invitato dal re di Moab a maledire Israele, il popolo di Dio. Non avendo potuto raggiungere il suo scopo, diede al re la malefica idea di invitare gli Israeliti alle feste dei loro idoli. Questi accettarono l’invito annullando così la separazione che doveva esistere tra loro e i pagani (Numeri 25:1-2 e 31:16). Nello stesso modo Satana introdusse nella chiesa di Pergamo un legame di perdizione fra i credenti e il mondo.

Pergamo vuol dire: castello, fortezza . Era situata più al nord delle altre sei chiese dell’Asia Minore.
Pergamo era costruita su di una montagna. L’arte e le scienze vi fiorivano. Da Pergamo viene il nome di pergamena. Vi era nella città una biblioteca che contava circa 250.000 pergamene, un grande altare a Giove (parti del quale si trovano a Berlino) e il famoso tempio di Esculapio (dio della medicina).
Senza dubbio abbiamo in Pergamo la figura della chiesa greco-cattolica dall’imperatore Costantino fino alla formazione di Tiatiri cioè della chiesa papale di Roma. La sede principale della chiesa greco-ortodossa era Costantinopoli, la città dell’imperatore. Essa si nomina con orgoglio: ortodossa, cioè che crede secondo le vere dottrine della religione; ma si è basata su opere morte e non ha avuto nessuna riforma. Costantinopoli da molto tempo non è più la sua fortezza. Pietroburgo lo fu per un tempo, ma dopo gli avvenimenti della prima guerra mondiale non si può più parlare di fortezza.

Com’è importante possedere in Cristo, il Salvatore, il perdono e la vita; una semplice confessione cristiana ortodossa, sia evangelica che cattolica, non può salvar l’anima né metterci in contatto con Dio.
Dopo aver messo sullo stesso piano la sottomissione della Chiesa allo spirito e alla potenza del mondo, con il mangiare le cose sacrificate agli idoli, il Signore chiama l’unione col mondo una fornicazione spirituale. Continua poi a svelare altri mali che erano nella chiesa di Pergamo, figura della chiesa professante dopo Costantino: “Così hai anche tu di quelli che in simil guisa professano la dottrina dei Nicolaiti”. In Efeso, all’epoca degli apostoli o nel primo secolo della chiesa professante, abbiamo visto l’inizio dell’opera dei Nicolaiti. Fin da allora si cominciò a fare una differenza fra clero e laici. Però questa differenza non era proclamata pubblicamente ed era generalmente odiata come Dio la odiava (2:6).
A Pergamo, invece, questa differenza era insegnata come un dogma, era diventata la “dottrina” dei Nicolaiti, ed i sacerdoti (la gerarchia) erano introdotti come se fosse Cristo a ordinarlo. Si diede loro molta importanza, e con l’andar del tempo si chiese al governo di dare a costoro onore e potenza per combattere quelli che non si fossero sottomessi all’autorità umana, e non divina, dei sacerdoti.

Quant’è solenne l’appello del Signore: “Ravvediti dunque”! Pergamo però, l’orgogliosa fortezza, non si è ravveduta, né in quel che riguarda la dottrina dei Nicolaiti né nei tuoi rapporti in questo sentiero come lo possiamo constatare nel periodo seguente, in Tiatiri, la chiesa romana, dove vediamo che questi mali regnano in più larga misura.

Il Signore minaccia i Nicolaiti, e con loro tutta l’assemblea con la spada della sua bocca, che è la Parola di Dio. Questa spada divide, separa e libera colui che si lascia insegnare e guardare dal male, per la sua salvezza. Ma chi si ribella troverà la Parola di Dio che lo condannerà eternamente. Le Sacre Scritture ci insegnano che l’Anticristo sarà distrutto con la spada e col soffio della bocca di Cristo (2 Tess. 2:8); la stessa sorte avranno gli iniqui quando il Signore verrà per stabilire il suo regno (Apoc. 19:15-21).
La gloriosa Pergamo di una volta non è più che una piccola città in gran parte maomettana. E tutta la chiesa greca, compresa Costantinopoli, della quale Pergamo è l’immagine, è stata posta sotto la spada di Maometto, quale esecutrice del giudizio divino. Anche la chiesa ortodossa russa ha attraversato dei giudizi terribili.
Infine, il Signore si rivolge ad ognuno di coloro che hanno ancora orecchi per udire ciò che lo Spirito dice alle chiese. Egli li incoraggia a tener fermo nonostante il triste stato di cose e a vincere: ” A chi vince io darò della manna nascosta e gli darò una pietruzza bianca, e sulla pietruzza scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve”. La manna nascosta è Cristo, come disse Egli stesso: ” Io sono il pane della vita. I vostri padri mangiarono la manna nel deserto… Io sono il pane vivente che è disceso dal cielo; se uno mangia di questo pane vivrà in eterno” (Giovanni 6:48-51). Chi vince, sprezza le cose sacrificate dal mondo agli idoli, ma in compenso può godere della dolce ” manna nascosta ” venuta dal cielo, che è ” vero cibo “.

Nei secoli passati, nonostante le tenebre che regnavano nella Chiesa, vi son sempre stati dei vincitori; e anche ai giorni nostri vi sono alcuni nella chiesa ortodossa che posseggono la vita e la pace in Cristo Gesù e che forse sono perseguitati ed oppressi; anch’essi sono dei vincitori, e ciò che Gesù è stato per loro quaggiù sarà qualcosa di molto prezioso anche nella gioia del cielo. Israele, che fu nutrito nel deserto con la manna, dovette portare con sé nella terra promessa un vaso pieno di manna quale memoriale, e porlo nell’arca del patto nel luogo santissimo del tempio.

Il Signore vuol dare a chi vince una “pietruzza bianca”. Anticamente i giudici di questo mondo, per dichiarare l’innocenza dell’accusato gettavano una pietra bianca in un’urna. Nello stesso modo il Signore vuole difendere chi vince anche se al presente è perseguitato dalla chiesa dei “Nicolaiti”. Sulla pietruzza è scritto un “nuovo nome” come sulle pietre preziose del sommo sacerdote erano incisi i nomi delle tribù d’Israele. Questo nuovo nome sarà conosciuto soltanto da colui che lo riceve. Sì, ciò che il Signore è in amore, in compassione, in fedeltà per quelli che lo seguono fedelmente può essere sperimentato e gustato soltanto personalmente, nella misura della nostra comunione con Lui.

CHIESA DI TIATRI
cristianesimo del medioevo (600 – 1400)
Tiatiri, la odierna Akhissar, si trova sulla strada che conduce da Pergamo a Sardi; fu nota un tempo per i suoi commercianti di oppio. Attualmente vi si trova ancora una piccola comunità di cristiani professanti.
Qual è stata la chiesa che ha fatto seguito alla chiesa orientale greca, e che ha poi preso il primo posto? Senza dubbio la chiesa di Roma. Già da molto tempo i vescovi romani avevano saputo farsi avanti, ed essere elevati, con i vescovi di Costantinopoli, d’Antiochia, di Gerusalemme e d’Alessandria, al titolo di “Patriarchi”. Quando poi i popoli germanici, i Goti, i Longobardi, i Franchi, gli Anglosassoni, abbracciarono la religione cristiana e vennero a contatto con la chiesa romana, i Patriarchi acquistarono grandissima importanza. La chiesa greca fu, sino al settimo secolo, il centro della cristianità. In seguito, però, questa posizione fu presa dalla chiesa romana che si separò definitivamente dalla greca.
Questa quarta lettera a Tiatiri è la figura profetica della chiesa romana.

Come già abbiamo visto per le altre lettere, il significato del nome ci aiuta molto a comprendere il valore profetico della lettera. Così Tiatiri vuol dire: colei che offre sacrifici, che offre incenso. Non è questo caratteristico della chiesa di Roma?
Su migliaia di altari di questa potente chiesa, che tiene sotto di sé milioni e milioni di persone, si pretende di ripetere il sacrificio perfetto del Figliuol di Dio, fatto una volta per sempre. Secondo la sua dottrina, questo sacrificio viene continuamente ripetuto, senza spargimento di sangue, per i vivi e per i morti.
Efeso: “amabile, diletta”, tale era la Chiesa e tale avrebbe dovuto rimanere; Smirne (mirra): e “amaro”, la Chiesa martirizzata del 2° secolo; Pergamo: “la fortezza”, la chiesa mondiale dopo il 3° secolo. Tutto questo è in contrasto con quel che troviamo nelle Sacre Scritture.

Oltre a ciò salgono da innumerevoli incensieri di Roma dei sacrifici che si pongono al posto dei sacrifici spirituali di lode che Iddio accetta dai credenti che possono adorarlo come Padre in spirito e verità (Ebrei 13:15; 1 Pietro 2:5; Giovanni 4:23-24). Com’è terribile e riprovevole agli occhi di Dio ogni ripetizione del grande sacrificio di Gesù Cristo, l’unigenito Figliuolo di Dio, fatto una volta per sempre! La Parola di Dio ci insegna che questo sacrificio fu “fatto una volta per sempre” e il suo valore è eterno (Ebrei 9 e 10).
Consideriamo ora la lettera un po’ più da vicino. Il Signore si presenta come “il Figliuol di Dio”. Sappiamo che, come tale, è il fondamento e la roccia sulla quale è edificata la sua Chiesa. Alla domanda del Signore:
“Chi dice la gente che sia il Figliuol dell’uomo?”, Pietro rispose a nome di tutti i discepoli: “Tu sei il Cristo, il Figliuol dell’Iddio vivente”. Il Signore Gesù, facendo allusione al suo nome, risponde: ” Tu sei Pietro (una pietra), e su questa pietra (roccia) edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Ades non la potranno vincere ” (Matteo 16:18).

Il nome greco adoperato per Pietro non è lo stesso di quello adoperato per la roccia sulla quale viene edificata la chiesa. In rapporto col versetto 19 di Matteo 16 e ” le chiavi del regno dei cieli “, è bene tener presente che il ” regno dei cieli ” che doveva essere aperto è sulla terra e non nel cielo (Matteo 13:24); fu chiamato ” regno dei cieli ” perché è stato formato dal cielo. Pietro ha potuto, come operaio di Cristo, aprire questo regno. Infatti è stato lui il primo ad annunciare l’Evangelo ai Giudei (Atti 2) e anche ai Gentili (Atti 10 – 11). In queste occasioni Pietro ha adoperato le “chiavi”; in seguito non le ha più adoperate e neppure vediamo che le abbia trasmesse a qualcun altro. Quando una porta è aperta, non vi è più bisogno di chiavi per aprirla. Il Signore stesso però edifica la sua Chiesa (vers. 18). Pietro ha avuto il privilegio di aprire ai Giudei e ai Gentili, vale a dire di cominciare per primo l’opera tra di loro. Con le chiavi non si può costruire. Fondamento ed Architetto, Signore e Capo della Chiesa, è solamente Gesù Cristo, il Figliuol di Dio.
È dunque sotto questo carattere che il Signore si presenta qui alla chiesa di Tiatiri: come il “Figliuol di Dio” quale Fondamento, Centro e Capo della sua Chiesa. Tiatiri riconosce ancora oggi, almeno formalmente, il Signore Gesù come “il Figliuolo dell’Iddio vivente”. Ma lo riconosce essa pienamente come Fondamento e come Capo?

Lasciamo rispondere la chiesa di Roma. Il Signore scruta e prova ogni cosa e non permetterà che la sua gloria sia data ad un altro. Egli “ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i cui piedi son come terso rame”. Il suo sguardo rivela le cose anche più nascoste e i suoi piedi, come rame arroventato in una fornace (1:15), ci parlano della purezza e della santità del suo cammino, quale giudice nel mezzo della Chiesa. Sì, Egli è il Giudice infallibile di ogni male e di ogni iniquità della Chiesa.

Anzitutto il Signore si compiace di mettere in evidenza ciò che vi era di buono, ciò che poteva lodare in Tiatiri. Egli dice: “Io conosco le tue opere e il tuo amore e la tua fede e il tuo ministerio e la tua costanza, e che le tue opere ultime sono più abbondanti delle prime” (vers. 19).
Dunque, troviamo qui molta energia, un grande zelo e una maggior attività; sì, il numero delle opere era aumentato. Anche l’amore, la fede e la costanza abbondavano in coloro che erano così ripieni di zelo. La speranza dovrebbe affiancarsi alla fede e all’amore, ma qui non è neppur menzionata. Era un’evidente lacuna. Difatti, colui che sa di appartenere a Cristo e che conserva la sua Parola durante la sua assenza, spera in Lui e brama ardentemente il suo ritorno, l’adempimento della sua promessa. In Tessalonica queste tre virtù erano riunite: fede, amore, speranza (1 Tessal. 1:3). Quando la speranza del ritorno del Signore si spegne nel nostro cuore, allora il mondo comincia immediatamente a farsi posto in noi, e cerchiamo di stabilirci il meglio possibile, cerchiamo i nostri diritti e il nostro onore in un luogo ove dovremmo essere stranieri e viandanti. Non è forse accaduto così anche alla chiesa di Roma, che cerca di regnare quando dovrebbe essere straniera, povera e sprezzata?

Possiamo veramente constatare che la chiesa di Roma è ricca in opere; sovente però sono le opere morte di una propria giustizia senza valore alcuno: pellegrinaggi, recite di un numero prescritto di preghiere, mortificazioni del corpo, ecc…
Il Signore però, che conosce il cuore di ognuno e lo scruta amorevolmente, trova in alcuni del vero amore, una fede vivente e della costanza, anche quando ciò è soffocato da vane cerimonie e da forme senza valore. Il Signore guarda al cuore e riconosce quando il motivo d’azione è l’amore per Lui; questo glorifica il suo nome. Dopo aver riconosciuto ciò che vi era di lodevole a Tiatiri, il Signore deve farle un rimprovero:
“Ma ho questo contro di te: che tu tolleri quella donna Jezabel, che si dice profetessa e insegna e seduce i miei servitori perché commettano fornicazione e mangino cose sacrificate agli idoli”. È veramente un grave rimprovero!

“Jezabel” significa: non toccata, casta; un bel nome certamente. Ma chi era però Jezabel all’origine? Se leggiamo nella Bibbia, troveremo che Jezabel fu l’iniqua moglie del re Achab (1 Re 16:31). Era una pagana e perciò non avrebbe mai dovuto salire sul trono d’Israele. Il male non si limitò all’interno delle frontiere del regno d’Israele, ma penetrò nel regno di Giuda, poiché una figlia di Jezabel sposò Jehoram, re di Giuda (2 Re 8:16-18). Poco mancò che tutti i discendenti della casa reale di Davide, dalla quale doveva nascere il Messia, fossero distrutti da Athalia, figlia di Jezabel (2 Re 11). Jezabel dunque recò morte e distruzione in Israele e in Giuda. Ella introdusse in Israele il culto a Baal con tutti i suoi orrori, e soppresse completamente il culto all’Eterno. Il culto a Baal diventò la religione del popolo, la religione di Stato, e i profeti di Baal si moltiplicarono nel paese e vissero alla tavola della regina. A parte ciò, Jezabel era un’omicida, una fanatica persecutrice dei testimoni del Signore. Jezabel, allora aveva insegnato e sedotto i servitori del Signore a commettere la fornicazione e a mangiare cose sacrificate agli idoli, come troviamo in figura nel nostro passo. La Sacra Scrittura designa il rinnegamento del vero Dio con le parole: fornicazione e adulterio. Durante il tempo in cui Jezabel era regina d’Israele, si commettevano dei peccati morali grossolani. Ed è ciò che troviamo nel sistema spirituale che essa rappresenta.

Nei secoli 9°, 10° e 11° la chiesa attraversò dei periodi molto oscuri. La posizione e la meta celeste della vera Chiesa furono completamente messe da parte. La chiesa professante cercò con tutti i mezzi di assicurarsi la signoria mondiale e volle che i principi della terra si sottomettessero alla sua potenza e lo servissero. Essa si allontanò completamente dall’Evangelo, dalla Parola la quale c’insegna che per noi peccatori vi è un solo mezzo di salvezza, Gesù Cristo, il Figliuol di Dio, e che il Suo regno, e per conseguenza il regno dei suoi, non è di questo mondo (Atti 4:10-12; Giovanni 18:36). La chiesa cominciò ad insegnare che la salvezza si trovava in lei, cioè nel seguire i suoi precetti e adempiere le opere prescritte. Nello stesso tempo era in lotta con re e regine per il regno e il predominio. Al posto dell’unico umile Salvatore, che chiama a sé i peccatori: “Venite a Me, voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e io vi darò riposo” (Matteo 11:28), vi fu una chiesa dominatrice, una chiesa che opprimeva le anime ed esigeva dal mondo opere, denaro, importanza ed onore.
Come un tempo i giganti nacquero dall’unione dei “figli di Dio” con le figliuole degli uomini (Genesi 6:2), così dall’unione della chiesa con il mondo, causata da Satana, nacque un grandissimo edificio, un sistema di cui la gente che non è illuminata dalla Parola di Dio si stupisce.

Questo potente sistema, Jezabel profetessa in mezzo a Tiatiri, cominciò nel Medioevo, con tortura, rogo, spada a perseguitare e uccidere tutti coloro che ponevano la Parola di Dio al di sopra della parola degli uomini.
La chiesa però non tinse, almeno apparentemente, le sue mani nel sangue dei cosiddetti “eretici” che colava a ruscelli; essa lasciava, in generale, la persecuzione ed il giudizio nelle mani delle autorità terrene che le erano sottomesse.

Così pure agì Jezabel, moglie di Achab, che scrisse la pena di morte per l’innocente Naboth (1 Re 21). Sì, la chiesa papale ha continuamente perseguitato i veri testimoni di Dio e ha versato molto sangue innocente.
Da questa unione di principi religioso-spirituali, unione contraria alla volontà di Dio, nacquero dei figliuoli (cap. 2:23). Questi, persone ed organizzazioni, saranno giudicati molto severamente, come ci è descritto in Apocalisse 17 e 18, quando tutto questo sistema sarà punito da Dio.
Iddio diede a Tiatiri, nel corso dei secoli, “tempo per ravvedersi”.

Quanti tentativi di riforma hanno bussato alle sue porte di bronzo; ma invano! Le prigioni, i roghi in Germania, in Scozia, in Inghilterra, in Francia, in Svizzera, in Spagna e in Italia nei secoli 16° e 17°, l’annullamento delle proteste indirizzate a “Roma” da parte di grandi uomini, attestano che “ella non vuol ravvedersi” come dice il Signore nella lettera.

È molto grave quando l’orecchio si chiude alla Parola di Dio e alla sana dottrina per ascoltare la voce dell’uomo o del proprio cuore. Ciò conduce sotto un giogo pesante, all’idolatria e alla perdizione. Com’è dolce e benedetta, invece, la voce dell’Evangelo; ci da la vita, la gioia; è la voce del Buon Pastore, la voce del Signore Gesù stesso. Essa conduce alla salvezza, alla vera libertà, ci da la vita eterna.
Tuttavia, vi sono sempre stati e vi sono tuttora dei veri credenti anche in Tiatiri. Il Signore li conosce e li ama, ma soffre però nel vederli in tale ambiente. Come sono consolanti le parole che l’apostolo Paolo ha scritto pensando appunto alla grande confusione che sarebbe avvenuta: “Il Signore conosce quelli che son suoi” (2 Timoteo 2:19).

Dopo aver chiaramente descritto il sistema corrotto della chiesa di Tiatiri e le malefiche opere di Jezabel, il Signore si volge al residuo fedele che si trova nel sistema, che non ha vitto il male e soprattutto che non ha saputo distinguere l’origine satanica delle cose. Egli scrive loro: “Ma agli altri di voi in Tiatiri che non professate questa dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiaman loro), io dico: Io non vi impongo altro peso. Soltanto, quel che avete tenetelo fermamente finché Io venga” (vers. 24-25).
Nel mezzo di Tiatiri (colei che offre incenso, che con la sua pompa, la venerazione dei santi e delle reliquie, le sue cerimonie esteriori, i sacrifici per le messe, le immagini e il culto di Maria, non lascia alla Persona del Signore e al suo sacrificio perfetto il posto e l’onore dovuto. Iddio ha una schiera di veri credenti che nella loro semplicità non hanno conosciuto e non conoscono le profondità di Satana. Essi posseggono il Salvatore, conoscono la sua opera redentrice e non desiderano, né comprendono, né sanno di più. Cercano, e con ragione, nel Cristo crocifisso ciò che la loro coscienza e il loro cuore desiderano il perdono dei peccati, misericordia e consolazione per il cammino attraverso questo mondo arido e malvagio. A tali credenti il Signore non impone altro peso: sono già abbastanza aggravati. Ma manca loro la pace di Dio e la certezza della salvezza che l’Evangelo da ad ogni credente, perché non conoscono abbastanza le Scritture.
Dalle parole del Signore “agli altri” possiamo ricavare due insegnamenti per noi.

Prima di tutto il Signore non riconosce più tutta la chiesa come sua testimone, ma solamente un residuo, una parte di essa. In secondo luogo vediamo che Tiatiri rimarrà, quale sistema religioso, a fianco di Sardi, Filadelfia e Laodicea, fino alla venuta del Signore. Infatti, il Signore dice: “Quel che avete tenetelo fermamente finché Io venga” (vers. 25). Il giudizio completo di Tiatiri ci è descritto verso la fine del libro, nei capitoli 17 e 18 ove assistiamo al giudizio di “Babilonia la Grande”, giudizio che avrà luogo soltanto quando il male sarà giunto al massimo.
Come già abbiamo visto, Tiatiri “non vuol ravvedersi”, anzi continua ad inoltrarsi nel male finché Cristo verrà per giudicarla.

È notevole vedere che nella lettera a Tiatiri, come nelle tre seguenti, le parole “chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”, non precedono la ricompensa, la promessa al vincitore, ma si trovano in fondo alla lettera (confrontare 2:7, 11, 17 con 2:29 e 3:6, 13). Anche questo ci dimostra che il Signore non spera più, dalla chiesa come insieme, un ritorno, una restaurazione, e perciò si rivolge solo più a dei singoli.
Fin qui la promessa era a “chi vince”, o a “chi ha orecchio” in rapporto con la testimonianza di tutta la Chiesa; ora invece s’indirizza agli individui.
Il Signore dice dunque a “chi vince” in Tiatiri: “Quel che avete tenetelo fermamente finché Io venga”. Se il lettore ha notato ciò che abbiamo detto a proposito della semplicità di certe persone, comprenderà facilmente l’esortazione del Signore. Costoro posseggono qualcosa che vale la pena tenere fermamente. Essi ritengono le dottrine fondamentali della Parola di Dio, mentre milioni di protestanti condotti da pastori moderni, liberali, negano la divinità, la morte e la resurrezione di Cristo, come pure la totale ispirazione delle Sacre Scritture! Com’è consolante per “chi vince” udire che Colui il quale ha dato Se stesso per salvarlo, e che egli ama, ritornerà!

Il Signore continua dicendo: “E a chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine”. Egli dà al vincitore Se stesso come modello da imitare.
Il Signore Gesù Cristo non manifestò mai la propria potenza e non fece mai, in questo mondo caduto nel peccato, delle opere per attirarsi la simpatia e il rispetto degli uomini. No, Gesù fece soltanto ciò che il Padre gli aveva dato da fare. Non cercò mai la propria gloria, ma la ogni sua opera glorificò il Padre. Colui che vince è dunque esortato ad essere simile a Lui in quel che riguarda le opere.
Lo imitiamo noi? Dobbiamo perseverare nelle sue opere sino alla fine.

Quale contrasto vi è però fra Cristo e Tiatiri, che oggi ancora cerca di regnare in questo mondo e lotta coi re e i principi per il dominio, come già fece apertamente nel Medio Evo.
I veri credenti non hanno la loro parte sulla terra; il loro regno non è di questo mondo. Però, quando Cristo regnerà essi regneranno con Lui, al suo ritorno, per giudicare il mondo e, com’è detto profeticamente nel Salmo 2: “Tu le fiaccherai (le nazioni) con uno scettro di ferro”. I riscattati del Signore avranno un giorno il dominio sulla terra, ma non ora che il Signore è rigettato. Per il presente si tratta di portare il suo obbrobrio; solo più tardi avranno, la corona, quando il Signore regnerà come Messia, “Signore dei signori” e “Re dei re”. E la promessa a Tiatiri, a chi vince.

Il Signore dice ancora a chi vince: “E gli darò la stella mattutina”.
Questa è la promessa più preziosa per il cuore che ama il Signore. Con tali parole Egli annunzia il suo ritorno come già abbiamo visto al verso 25: “Soltanto, quel che avete tenetelo fermamente finché io venga”. Egli stesso è la ” lucente stella mattutina”, con tutta la sua celeste bellezza. Come tale si presenta al cuore dei suoi, quale speranza durante il loro pellegrinaggio sulla terra. Nello stesso modo si presenta alla sua Sposa, all’insieme dei credenti che, nella notte, si preparano al suo incontro. E la Sposa risponde: “Amen! Vieni, Signor Gesù” (22:15, 17, 20). Gesù Cristo, quale “sole di giustizia”, apparirà in questo mondo con il furore della sua ira (Malachia 4). Quale “stella mattutina”, invece, che appare prima dello spuntar del sole, rapirà in cielo la sua Sposa, la Chiesa, prima dei terribili giudizi che piomberanno sulla terra. Farà parte di questa Sposa anche ” chi vince ” a Tiatiri, oltre tutti coloro che vengono a Gesù durante il tempo della grazia.

È notevole vedere che il Signore esorta, nelle prime tre lettere, al pentimento e al ritorno allo stato primitivo, mentre nella lettera a Tiatiri e nelle seguenti Egli dirige lo sguardo verso il futuro. Non si aspetta più un ritorno, un miglioramento della Chiesa nel suo insieme, ma esorta ed incoraggia quelli che hanno orecchi per udire la sua voce, ponendo dinanzi a loro il suo prossimo ritorno.

CHIESA DI SARDIcristianesimo della riforma protestante (1400 – 1900)
Con la lettera a Sardi incomincia qualcosa di nuovo. In ebraico il nome Sardi significa: “residuo” o “lo scampato”.
In questa lettera abbiamo la storia del protestantesimo come ebbe inizio nel 16° secolo. Troviamo qui un nuovo principio, come ce lo dimostra l’intestazione della lettera. Infatti il Signore si presenta a Sardi come al principio della Chiesa: “Queste cose dice Colui che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle” (3:1 e 2:1).
Il Signore Gesù non “tiene” più le stelle “nella sua destra” come allora; non vi è più una manifestazione di potenza come al principio, ma Egli ha ancora le stelle, è ancora la più alta Autorità nella Chiesa.

Per incoraggiare quelli che ascoltano la sua Parola, dice che ha ” i sette Spiriti “, vale a dire che presso di Lui vi è ancora tutta la pienezza dello Spirito, della grazia e della benedizione. Non c’è dunque motivo di scoraggiarsi, di stancarsi, o di abbandonare la sua testimonianza, poiché chi confida in Lui non sarà mai confuso. Il Signore però deve dire a Sardi, più che alle chiese precedenti, delle parole molto solenni.
Dice a Sardi: ” Io conosco le tue opere: tu hai nome di vivere e sei morto “.

Che terribile sentenza esce dalla bocca del giusto Giudice, il cui occhio è come una fiamma di fuoco, e ” che prova i cuori e le reni ” ! Il suo giudizio è inappellabile, ha valore eterno.
Che opera meravigliosa ha compiuto Iddio con la Riforma! Il Signore, “che ha i sette Spiriti di Dio e le sette stelle”, ha fatto qualcosa di nuovo.

Ha ridato al popolo la sua Parola eterna, la Santa Scrittura, che è la fonte della luce e della salvezza. Ha posto nuovamente davanti ai suoi occhi la grazia e la verità che Egli stesso aveva portato a tutti, insegnando che l’uomo non è salvato per mezzo di opere di legge ma solamente per la fede nel perfetto sacrificio del Golgota, che ha valore eterno. Così la Parola di Dio ridivenne la guida della fede e della vita. Veramente, la Riforma fu un’opera meravigliosa ed ebbe un principio glorioso. Però il seguito non fu come il principio. Se si può dire con certezza che la Riforma fu un’opera di Dio, con altrettanta certezza si può dire che l’attuale protestantesimo è un’opera degli uomini.

Nota: il nome “protestante” deriva dalla protesta, o opposizione, contro la decisione della Dieta di Spira del 1525, secondo la quale tutte le riforme della chiesa erano proibite. Da allora tutti quelli che seguirono la Riforma furono chiamati protestanti.
Lo Spirito del Signore cominciò l’opera, ma la volontà dell’uomo, la carne, la continuò. Iddio fece udire a tutti che l’uomo non è giustificato per mezzo delle opere, ma soltanto per mezzo del sacrificio di Gesù Cristo. Una gran parte del popolo cristiano accettò la ” nuova dottrina “, come era chiamata allora, ma, ad eccezione di un piccolo numero, per la maggioranza non vi fu un vero ritorno a Dio, non vi fu la vera fede nel Signore Gesù Cristo e per conseguenza neanche la nuova vita. Gran parte dei protestanti rimase senza Spirito né vita.
Principi e popoli accettarono una confessione senza vera fede, senza Gesù e senza salvezza. Uscirono, è vero, da ” Babilonia “, liberandosi dai suoi legami e protestando contro ad essa, ma non penetrarono nella luce e nella vita divina. Il popolo accettò una confessione ortodossa e biblica – “hai nome di vivere” – ma effettivamente era e rimane, nel suo insieme, ” morto “.

Il Signore non ha da rimproverare Sardi per delle cattive dottrine o per corruzione, cose che la profetessa Jezabel aveva introdotte in Tiatiri, da cui Sardi uscì tramite la Riforma.
Però vi mancano la vita e l’energia spirituale. Il Signore, molto afflitto, dice a Sardi: ” Io conosco le tue opere: tu hai nome di vivere e sei morto. Sii vigilante (veglia) e rafferma il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere compiute nel cospetto del mio Dio “.

Vi era dunque a Sardi – in contrasto con Tiatiri – una professione ortodossa, cioè biblica, ma mancava alla maggior parte la vita divina che è comunicata dalla forza rigeneratrice della Parola di Dio e dello Spirito Santo. E appunto perché mancava la vita e una fede vivente, comprendiamo facilmente che le opere non siano state trovate ” compiute ” nel cospetto di Dio. Una professione ortodossa non basta davanti a Dio e non da nessuna forza. Sardi deve risvegliarsi per raffermare il resto che sta per morire.
Pur essendo caratterizzata dalla morte, la chiesa di Sardi possedeva qualche germe vitale, qualche canale di benedizione, ma mancando la vita e l’energia questi stavano per morire. Il Signore esorta quindi Vangelo della chiesa di Sardi a fare uno sforzo per mantenere e fortificare la poca vita e la benedizione che rimanevano ancora.

Più avanti leggiamo: ” Ricordati dunque di quanto hai ricevuto e udito; e serbalo, e ravvediti “. Con queste parole il Signore ricorda alla chiesa di Sardi il bei principio che Egli stesso aveva operato. Dopo gli anni tenebrosi del Medio Evo Egli aveva dato, nella sua grazia infinita, un’epoca nuova.
Che cosa avevano, per grazia, ricevuto e udito nella chiesa di Sardi?

La Parola eterna di Dio, la sua verità. Dovevano dunque ricordarsi di ciò che avevano ” ricevuto ” e ” udito “, della grazia di Dio e della Verità, e poi ravvedersi. Ha Sardi pensato a ciò? Ha serbato le benedizioni, la grazia e la verità di Dio che aveva ricevuto? Si è ravveduta? No. Essa ha mantenuto gli scritti e la confessione dei riformatori, ma questi non sono la vita, anche se a coloro che li hanno accettati danno il “nome di vivere”.
Oggi in Sardi vi sono dei professori nelle università di teologia, dei professori di religione nelle scuole inferiori e purtroppo anche molti predicatori che cercano di smuovere gli scritti dei riformatori. Soltanto pochi conduttori protestanti credono ancora alla totale ispirazione delle Sacre Scritture che, invece, era stata riconosciuta dalla Riforma quale unico fondamento e guida per la fede.

Nello stesso tempo molti negano la divinità di Gesù Cristo, il suo sacrificio sulla croce, la sua vittoriosa risurrezione e il suo ritorno per il giudizio. E, lungi dal pensiero di ravvedersi, si allontanano sempre più dalla Parola di Dio.
Di fronte ad una tale situazione, il Signore dice: ” Se tu non vegli, io verrò come un ladro, e tu non saprai a quale ora verrò su di tè “.
Nel Nuovo Testamento troviamo sette volte che il Signore verrà come un ladro, cioè nel momento in cui non si aspetta, e nella notte. Ma per i suoi Egli non vuole venire in tal modo. I suoi aspettano la Stella mattutina; la Sposa brama il ritorno dello Sposo che l’introdurrà nella casa del Padre (Giovanni 14:3; Apoc. 3:11; 22:20).
Il fatto che il Signore parli a Sardi della sua venuta come quella di un ladro, ci fa pensare che Egli non consideri Sardi nel suo insieme come facente parte della sua Sposa, ma come appartenente al mondo (1 Tess. 5:1-3).

Non è forse il mondo che dirige Sardi? Mentre Tiatiri, la chiesa papale, cerca ingiustamente di regnare sul mondo, in Sardi, la chiesa protestante, vediamo il mondo che regna su lei. Le due situazioni sono sbagliate. Mondo e Chiesa, secondo i pensieri di Dio, sono due cose molto diverse, due concetti opposti, due campi che devono sempre restare nettamente separati. La Chiesa si liberò, è vero, per mezzo della Riforma, da un giogo pesante, ma i principi di allora vuotarono i monasteri, s’impadronirono dei tesori ammassati nelle chiese e divennero i signori della chiesa. Chiunque è battezzato ed ha ricevuto la cresima fa parte della chiesa! Della nuova nascita e dello Spirito Santo, senza il quale nessuno può far parte della Chiesa, o Sposa di Cristo, non se ne parla affatto.

Anche qui a Sardi vi è un ” ma “: ” Ma tu hai alcuni pochi in Sardi che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno meco in vesti bianche, perché ne son degni “.
La Parola di Dio, che era stata ridata a Sardi, non rimase senza portare frutto. Molte anime furono rigenerate dal ” seme incorruttibile” della Parola di Dio (1 Pietro 1:22-23). Ricevettero la vita di Dio e la veste della giustizia divina mediante la fede nel Figliuol di Dio e nel suo sacrificio. Tutti costoro non si accontentano più del nome o della professione ortodossa. Essi hanno ricevuto la vita di Dio e la sua giustizia in Cristo Gesù e camminano ora con Lui.

Sì, anche in Sardi, che è l’immagine della chiesa protestante, Iddio ha delle anime che sono state rigenerate dalla sua Parola e dal suo Spirito. Sono figli di Dio ” che non hanno contaminato le loro vesti “. Appartengono al Signore Gesù, che li conosce ad uno ad uno, e saranno per sempre con Lui nel cielo. Cammineranno con Lui in vesti bianche, perché ne sono degni. Hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’Agnello e hanno attraversato con Lui questo mondo malvagio. Sono veri cristiani, rigenerati, in mezzo ad una professione mondana. Sono disprezzati da coloro che hanno ” il nome di vivere ” ma son morti, i cui nomi sono scritti nel libro della chiesa ma non nel libro della vita!

” Chi vince – dice il Signore ai suoi in Sardi – sarà così vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita e confesserò il suo nome nel cospetto del Padre mio e nel cospetto dei suoi angeli “.
Anche se questi credenti han dovuto sopportare il disprezzo da parte di una cristianità mondana, il Signore, alla sua apparizione, li onorerà pubblicamente con l’ornamento della giustizia dei suoi fedeli (19:7-8). I loro nomi sono scritti incancellabili nel ” libro della vita ” e il Signore li riconoscerà davanti al Padre e ai suoi angeli come figli di Dio, rigenerati per mezzo della sua Parola e suggellati col suo Spirito.
Il Signore dice di coloro che vincono: ” Essi cammineranno meco in vesti bianche”.
Siamo noi dei vincitori? Noi che siamo in mezzo ad una cristianità indifferente e morta, stimiamo noi il Nome del Figliuol di Dio, la sua Parola e la sua testimonianza più della sapienza e della gloria degli uomini? “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese “.

CHIESA DI FILADELFIAcristianesimo del risveglio pentecostale 1900 – alla Fine dei tempi
Le sette lettere ci danno nel loro insieme, un’immagine profetica della storia della Chiesa dal principio sino alla fine. Se le consideriamo ora nel loro ordine, troviamo:
in Efeso, il principio del declino della Chiesa;
in Smirne, la grande persecuzione che segui, molto salutare per la vita spirituale della Chiesa;
in Pergamo, l’unione della Chiesa con il mondo, o la mondanità nella Chiesa;
in Tiatiri, corruzione e gerarchia (signoria dei sacerdoti);
in Sardi, nonostante le benedizioni ricevute dalla Riforma, a parte un piccolo numero, c’è ortodossia morta (credenza esteriore) e un’apparenza di vita.

In Filadelfia troviamo i credenti della fine, coloro che, in mezzo all’iniquità crescente della cristianità professante e durante la Grande Tribolazione, trovano il loro rifugio nella Persona e nella Parola del Signore Gesù, il Figliuolo di Dio, e Gli sono fedeli pur avendo poca forza.
Filadelfia, il cui nome significa ” amore fraterno “, era una chiesa nell’Asia Minore, precisamente nella regione di Lidia, a sud di Sardi.

La città era stata fondata nell’anno 154 a. C. dal re di Pergamo Attalo Filadelfo, dal quale ricevette il nome. Fu danneggiata da diversi terremoti, e al tempo degli apostoli era una delle più piccole e povere città dell’Impero Romano. Il Signore glorioso vi aveva però una piccola Assemblea di credenti rimasti fedeli a Lui e alla sua Parola. Com’è meraviglioso vedere la sollecitudine del Signore per preservarla dal giudizio perché essa ha serbato il suo Nome e la sua Parola (vers. 10)!
La piccola città di Filadelfia esiste tuttora, mentre le altre città dell’Asia Minore furono distrutte e di esse non rimane che un cumulo di rovine.

Essa fu trattata con grazia quando i Mongoli e i Turchi invasero il paese e devastarono ogni cosa. Non sappiamo quanti veri credenti vi siano. La città porta oggi il nome turco di Allahsher, cioè “città di Dio”.
Il Signore si presenta alla chiesa di Filadelfia, come in tutte le altre lettere, con un carattere particolare, che corrisponde alla condizione di questa chiesa. Egli si nomina “il Santo e il Verace”. Questo non è un titolo ufficiale del Signore, bensì la definizione della gloria e dell’eccellenza della sua Persona.
In ogni tempo il Signore si è manifestato tale: Egli è santo, verace e fedele: il Santo e il Verace che desidera santità e verità in coloro che gli appartengono. Santità e verità devono caratterizzare il loro cammino e la loro testimonianza ed essere la loro guida. Queste parole ci ricordano la preghiera del Signore Gesù al Padre per i suoi: “Padre santo, conservali nel tuo nome… santificali nella verità; la tua Parola è verità” (Giovanni 17:11, 17).

Mentre i credenti, personalmente e insieme, riconoscono ed onorano il Signore Gesù, loro Salvatore e Signore, come ” il Santo e il Verace “, trovano anche in Lui, in mezzo al declino e all’indifferenza della cristianità, forza e costanza per il loro cuore, e prezioso ristoro. Questi due attributi del Signore caratterizzano dunque Filadelfia; santità e verità sono il suo ornamento e la sua forza, e formano la sua testimonianza. Se queste due cose vengono a mancare, la testimonianza è perduta.

Perciò sta scritto: “Ritraggasi dall’iniquità chiunque nomina il nome del Signore” (2 Timoteo 2:19).
Contemporaneamente al piccolo residuo di credenti di Filadelfia in mezzo al quale devono trovarsi la santità, la verità e, come il nome lo indica, l’amore fraterno, esistono ancora Pergamo, cioè la chiesa ortodossa, Tiatiri, la potente e persecutrice chiesa di Roma, e Sardi che rappresenta le chiese protestanti, per la maggior parte senza vita. Filadelfia non deve aspettarsi di essere riconosciuta da queste. Se dipendesse soltanto dai due primi sistemi religiosi, Filadelfia, che si raduna fraternamente attorno al Signore e Salvatore Gesù Cristo, sarebbe ben tosto soffocata, e le innumerevoli denominazioni di credenti che si sono formate da molti decenni non esisterebbero più. Ma il Signore Gesù ci dice: ” Io sono il santo, il verace. Colui che ha la chiave di Davide, Colui che apre e nessuno chiude. Colui che chiude e nessuno apre “. E ancora: “Ecco, io ti ho posta dinanzi una porta aperta, che nessuno può chiudere”.

Che cosa significa ciò? Mentre Sardi, che si formò dopo i secoli oscuri del Medioevo, scelse lo Stato come autorità della Chiesa, credendo di assicurare così la propria esistenza, vediamo qui che il Signore pone davanti al debole residuo di Filadelfia una porta aperta: Egli stesso è la sua protezione.
In mezzo al declino della cristianità professante, il Signore si è ancora formato in Filadelfia una testimonianza, fino al suo ritorno. E questa testimonianza è che i suoi apprezzano la sua Persona, Lui stesso, il Santo e il Verace, e gioiscono e rispondono al suo affetto.

Il Signore vuoi possedere il nostro cuore! Non basta portare il suo Nome o avere una professione ortodossa e giusta, possedere quindi il nome di vivere pur essendo morti. Se il Signore di gloria forma il centro e l’attrazione del nostro cuore, vi sarà anche una testimonianza resa per Lui in questo mondo che lo ha rigettato e lo sprezza tuttora. Inoltre, non avremo bisogno di cercare aiuto nel mondo, tra gli uomini; Cristo è il nostro rifugio ed è “Colui che ha la chiave di Davide, Colui che apre e nessuno chiude”. Nella sua grande conoscenza, il Signore dirige ogni cosa, anche se apparentemente lascia il mondo a se stesso, e veglia affinché vi sia sempre una testimonianza resa al suo nome in questo mondo che si è costituito nemico di Dio. È il Signore che tiene nella sua mano ogni cosa, ed è anche Lui che aperse la via del trono a Davide, quando Israele era in rovina e rivoltato contro a Lui.

Riferendoci ad Isaia 22:22, in rapporto con la chiave di Davide, vediamo che essa è simbolo del governo e dell’autorità che sono nelle mani del Signore. Quand’Egli era Uomo sulla terra, in mezzo all’infedeltà d’Israele e al sistema giudaico, Iddio, “il Portinaio” (Giov. 10:3), Gli aperse la porta e nessuno poté chiuderla; né Erode (“la volpe”), né gli scribi, né qualche altro nemico.
Quale incoraggiamento è il fatto di avere una porta aperta e che rimane aperta! Il carattere del mondo e dei tempi può essere avverso, lo spirito del declino e dell’anticristo può acquistare sempre più potenza, ma la porta rimarrà aperta sino alla sua venuta.

Il Signore non pretende che ci adoperiamo a forzare delle porte chiuse; non è necessario, poiché sono già aperte; d’altra parte non ne saremmo capaci, con la ” poca forza ” che abbiamo. Gli apostoli Paolo e Pietro e i primi credenti, e anche Martin Lutero e Guglielmo Farel, avevano più forza di quanta ne abbiamo noi oggi. È molto importante adoperare questa ” poca forza ” per Lui e sino alla fine, non lasciandoci trascinare dall’indifferenza o dalla mondanità o dalla mancanza di amore per Lui e per la sua Parola, poiché perderemmo il carattere, la posizione e la testimonianza degli ultimi tempi.

Se il Signore dice a Filadelfia: ” Io conosco le tue opere ” è come approvazione. Esse non sfuggono al suo sguardo e sono preziose per il suo cuore. Il mondo, sia religioso che ateo, non vi bada, anzi le disconosce e e giudica. Anche Geremia era debole e disprezzato in mezzo alla disubbidienza e al declino dell’infedele popolo d’Israele. Il Signore però conosceva le sue opere e la sua testimonianza, e lo incoraggiava dicendo:
” Se tu separi ciò che è prezioso da ciò che è vile, tu sarai come la mia bocca; ritorneranno essi a te, ma tu non tornerai a loro. Io ti farò essere per questo popolo un forte muro di rame ” (Geremia 15:15-21). Il residuo che il Signore, nella sua grazia, fece ritornare dalla cattività di Babilonia era, se pur debole, una testimonianza per Dio. Il muro che questo piccolo residuo costruiva attorno a Gerusalemme, la città santa,era un soggetto di derisione da parte dei nemici, ma era un’opera compiuta con la forza di Dio e quindi gradita a Lui.

Son ormai finiti i giorni di grande forza, della prima energia della Chiesa a Pentecoste. L’occhio del Signore però è sempre, anche nei giorni del declino e di poca forza, rivolto sui suoi e ricerca in loro amore e fedeltà. Dove si trovano queste cose vi è anche ubbidienza e di conseguenza benedizione, anche se quest’ultima scorre in segreto.
Il Signore scrive ancora a Filadelfia: ” Hai serbata la mia Parola e non hai rinnegato il mio nome “. Qualcuno potrebbe pensare che ciò che il Signore apprezza in quei credenti non sia niente di straordinario o di grande testimonianza. Ma è molto di più che se il Signore avesse scritto: Hai dei grandi doni in mezzo a te, dei grandi miracoli e segni, e hai molto successo.

Filadelfia, come abbiamo detto, è profeticamente la testimonianza del Signore negli ultimi tempi, in mezzo al declino della cristianità. Come dice il Signore stesso, per la prima volta in questa lettera: “Io vengo tosto” (*).
(*) Notiamo che negli Evangeli il Signore dice semplicemente ai suoi che ritornerà, e nelle epistole manca la parola “tosto” (presto). Invece a Filadelfia, figura profetica dei credenti del nostro tempo. Egli dice: ” Io vengo tosto! “. Alla fine del libro Egli lo ripete sovente (ved. Apoc. 22:7; 12:20).
Che cosa caratterizza il tempo attuale, prima della venuta di Cristo?

Ecco quel che profetizza l’apostolo Paolo a questo riguardo: “Negli ultimi giorni verranno dei tempi difficili… gli uomini saranno egoisti… aventi la forma della pietà, ma avendone rinnegata la potenza… i malvagi e gl’impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti ” (2 Timoteo 3). Non vediamo forse oggi tutto questo? La cristianità è costituita in gran parte di semplici professanti, spiritualmente morti, che hanno solamente la forma della pietà senza vita divina e perciò senza a potenza della pietà che vince il mondo. Il tempo attuale è anche caratterizzato dalle false dottrine, come scrisse l’apostolo Paolo nel passo riportato più su. “I malvagi e gli impostori andranno di male in peggio, seducendo ed essendo sedotti”.

Dove si trova rifugio e riparo contro la morte spirituale, il formalismo e le innumerevoli false dottrine?
Nella stima e nella valutazione della Persona del Signore Gesù e nell’attenerci saldamente alla sua Parola. Per questo l’apostolo Paolo, scrivendo dei ” tempi difficili ” in cui viviamo, dice a Timoteo; ” Ma tu persevera nelle cose che hai imparate… poiché fin da fanciullo hai avuto conoscenza degli Scritti sacri, i quali possono renderti savio a salvezza… Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia compiuto, appieno fornito per ogni opera buona ” (2 Timoteo 3:14.17).

Lo stesso scrisse anche l’apostolo Giuda nella sua epistola profetica, parlando dei tempi della fine ed esortando a combattere ” per la fede che è stata una volta insegnata ai santi “, cioè combattere per la pura dottrina che i primi credenti ricevettero da Dio e serbarono. La Parola di Dio è la difesa e l’arma che dobbiamo adoperare nella lotta per la verità; la Parola di Dio è, nello stesso tempo, “la verità” (Giov. 17:17).
Più avanti nell’epistola di Giuda troviamo la seguente esortazione: ” Edificando voi stessi sulla vostra santissima fede ” ! Anche qui ci troviamo ricondotti alla Parola di Dio. La Parola, la Bibbia, è per noi, in questi tempi difficili, la spada e la cazzuola. Con la spada dobbiamo ” combattere ” e con la cazzuola dobbiamo ” edificare ” (Giuda 3, 20).

Entrambe sono necessario a tutti i credenti che vogliono rendere testimonianza al Signore nei giorni del declino. Come vediamo al tempo di Nehemia, quando il residuo fedele, ritornato dall’esilio di Babilonia nella terra dei padri, teneva in una mano la spada per difendersi dagli attacchi del nemico e nell’altra il martello e la cazzuola per costruire (Nehemia 4:17, 18).

Beato quel credente, e beato quel gruppo di credenti, al quale il Figliuol di Dio, che cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro e che esamina ogni cosa, può dire in questi tempi di declino e prossimi alla decadenza completa: ” Hai serbata la mia Parola ” !

È dunque di importanza capitale che il credente si sottometta completamente alla Parola di Dio. Ai giorni nostri, da una parte regna la superstizione, come nella chiesa di Roma dove le tradizioni umane hanno sopraffatto il semplice Vangelo che porta la salvezza e sono riuscite a far tacere praticamente la Bibbia; d’altra parte incontriamo una incredulità sfrontata, in modo particolare nella chiesa protestante, in professori di teologia che, valendosi della loro autorità, negano alla Parola di Dio la sua autorità divina, davanti al loro uditorio. Essi cercano di spezzettarla e disseccarla, rendendola un libro umano. Povera teologia, e povera cristianità che ascolta simili dottori!

Oltre alla superstizione e all’incredulità, le false dottrine si fanno sempre più numerose e prendono sempre più campo: le false dottrine dei Mormoni, dei seguaci di Irving, in modo particolare quelli del Nuovo Ordine, degli Avventisti, degli Auroristi, dei Testimoni di Geova ed altre ancora, che feriscono e avvelenano mortalmente migliaia di anime.
Non è dunque poca cosa che il Signore dica ai suoi, i quali fondano ancora la loro salvezza unicamente sulla Sacra Scrittura, che è per loro la più alta autorità in ciò che riguarda la fede: ” Hai serbata la mia Parola ” !
Quanto è necessario leggere e meditare ogni giorno la Parola di Dio, non solo per ciò che riguarda la salvezza e la redenzione, ma anche per quel che riguarda il nostro cammino quaggiù, onde trovare in essa le direttive necessarie in ogni circostanza, sia terreno che spirituale. Il cristiano che in ogni circostanza si chiede: “Che cosa dice la Parola di Dio? Che cosa dice il mio Signore e Salvatore?”, può rendere buona testimonianza.
Dobbiamo quindi dirigere i nostri passi secondo quel che il Signore dice nella sua Parola, anche se gli altri si dirigono secondo l’intelligenza umana, o secondo un sistema o una forma religiosa.

La conoscenza della verità divina e la separazione dal mondo e dalla sua religione, possono diventare rapidamente una forma senza forza, appena il cuore diventa indifferente e il cammino mondano. Si crede di possedere più beni spirituali di altri e si diventa miopi verso se stessi e orgogliosi nel giudicare altri cristiani che hanno forse meno luce e meno conoscenza, ma mostrano più fedeltà nel loro cammino, più dedizione al Signore e più amore verso i perduti. Dobbiamo considerare che si fa parte di Filadelfia soltanto se i pensieri e il cammino pratico corrispondono alle qualità che il Signore approva e riconosce!
Il Signore dice anche a Filadelfia: ” Non hai rinnegato il mio nome “, vale a dire: Non mi hai rinnegato in un mondo che ha odiato e rigettato me, il Figliuol di Dio; mi hai accettato per la fede come tuo Salvatore, e onorato come Signore, in questo mondo nemico, e ti sono bastato.

Com’è prezioso il nome di Gesù! Quale pienezza abita in Lui! Chi lo invoca sarà salvato. Per la fede nel suo Nome, l’anima riceve perdono, pace e vita eterna, e nel suo Nome può vincere ogni nemico ed evitare ogni pericolo. Che il Nome di Gesù ci sia prezioso più d’ogni altro nome. Si incontrano delle persone orgogliose di appartenere a tale o tal’altra chiesa, a tale o tal’altra società; ma possono per questo essere salvate?
No, certamente. Esse s’ingannano se il Signore Gesù non è il loro sostegno e la loro salvezza, la loro consolazione e la loro parte, la loro forza e il loro rifugio per il tempo presente e per l’eternità.
Per questo Filadelfia è una fedele testimone di Dio nel mondo e ha l’approvazione del Signore, in mezzo al declino della cristianità professante, perché Egli può dirle: “Hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome”.

Per Dio, il restare saldamente attaccati alla Persona del Signore Gesù ha un grande valore. Nessun cristiano d’oggi appartiene praticamente a Filadelfia, cioè alla testimonianza del Signore nel tempo del declino, se il Signore non può rendere questo elogio a suo riguardo. Egli vuole della realtà pratica. Soltanto una dedizione completa del cuore e della vita al Signore può accontentare il suo cuore pieno d’amore.

Lo constatiamo nella prima lettera dove il Signore, afflitto, dice:
“Hai lasciato il tuo primo amore”. Se il nostro cuore batte unicamente per Lui, la nostra vita quaggiù corrisponderà in verità e in fatti alla sua santa Parola. L’ubbidienza felice ad essa e ai suoi comandamenti caratterizzerà il nostro cammino sino alla fine. Il Signore promette ad una tale fedeltà una grande ricompensa.
Quelli della sinagoga di Satana, che dicono d’esser Giudei ma non lo sono, dovranno prostrarsi e riconoscere quanto Filadelfia è stata preziosa al cuore del Signore. Sardi, che ha il nome di vivere ma è morta, possiede, come Tiatiri, nella sua forma e nella sua organizzazione, delle ombre del giudaismo, però non sono Giudei. Essi dovranno un giorno riconoscere, a loro vergogna, quanto il Signore ha amato quel piccolo gregge di credenti fedeli, che essi hanno maltrattato e disprezzato: “Li farò venire a prostrarsi dinanzi ai tuoi piedi, e conosceranno che io ti ho amato”.

Non lo dicono con le parole che sono Giudei, ma con i fatti. Il vero Cristianesimo, per esempio, non ha più una classe speciale di persone (clero e casta dei sacerdoti) né dei giorni santi (feste) e neppure dei luoghi santi (templi, chiese e luoghi di pellegrinaggio). Ciò esisteva nel giudaismo. Nel cristianesimo Iddio può essere lodato e onorato da ogni uomo in ogni luogo, e in ogni tempo.
Ma il Signore ha ancora una ricompensa più grande; Egli continua dicendo: ” Perché tu hai serbata la parola della mia pazienza, anch’io ti guarderò dall’ora del cimento che ha da venire su tutto il mondo per mettere alla prova coloro che abitano sulla terra “.
Quando il Signore era quaggiù, manifestò molta pazienza in mezzo alla contraddizione dei peccatori. Oggi ancora è paziente, durante il tempo in cui è rigettato da Israele e dal mondo, in attesa che Iddio gli dia il regno sulla terra e raccolga presso di sé la Sposa, l’insieme di tutti i credenti. I cristiani fedeli di ogni popolo” della terra aspettano con Gesù il momento della realizzazione dell’unione di Cristo alla Sposa, e guardano desiderosi verso Lui, lo Sposo. Essi Gli rispondono: “Amen ! Vieni, Signore Gesù!”. E poiché essi sono così legati a Lui, Egli promette loro di “guardarli dall’ora del cimento”.

In merito a quando questo accadrà vi sono due versioni discordanti:
la prima, maggioritaria, ritiene che il rapimento della Chiesa avverrà prima dei tempi difficili dell’Anticristo che precederanno il regno di Cristo, poiché solo in questo modo può “guardarli” dall’ora del cimento ha da venire su tutto il mondo “. Il Signore non dice che li proteggerà nell’ora della prova, ma che li guarderà “dall’ora”, cioè li metterà al sicuro prima che quell’ora incominci;
La seconda ritiene che il rapimento avverrà verso la fine della Tribolazione prima del Ritorno del Signore, in modo che “i credenti di Filadelfia”, passando attraverso la prova ma essendone guardati in maniera miracolosa (Apo. 12:14), saranno testimonianza al prossimo e a se stessi in quanto misericordia di Dio.
Egli dice ai suoi, particolarmente in questi ultimi tempi: ” Io vengo tosto, tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona ! “. Quale incoraggiamento e nello stesso tempo quale avvertimento contro i pericoli e il nemico! Questi sa benissimo che non può rapirci dalla mano del Signore, il buon Pastore. Egli può privarci di forza e di benedizione per un certo tempo, di certi privilegi anche durante tutto il tempo della nostra vita terrena. Può pure rapirci la corona che dovrebbe essere il nostro ornamento, e la nostra ricompensa nella gloria.

Ci rendiamo conto di questo? Il Signore ci ha dato molta luce sulla sua grazia e molta conoscenza della Parola.
Adoperiamo noi questa luce come lampada per il nostro sentiero?
Mettiamo noi in pratica la conoscenza della volontà di Dio? Solo in questo modo potremo ” tenere fermamente quello che abbiamo, e il Signore potrà concederci una grazia maggiore e una più ampia conoscenza. “Badate dunque come ascoltate, perché a chi ha [cioè a chi riceve nel suo cuore ciò che ode e lo mette in pratica nel suo cammino] sarà dato; ma a chi non ha anche quel che pensa di avere gli sarà tolto” (Luca 8:18).

Il Signore non fa nessun rimprovero a Filadelfia, ma avverte: “Tieni fermamente quello che hai”. Poiché “a chi molto è stato dato, molto sarà ridomandato” (Luca 12:48). Perciò “chi si pensa di star ritto, guardi di non cadere” (1 Cor. 10:12).
Così vediamo che, benché il Signore possa anzitutto riconoscere e lodare lo stato di Filadelfia, anche qui vi è la possibilità di deperimento spirituale. Per questo il Signore, alla fine della lettera, come fa anche nelle altre lettere, si rivolge ad ognuno in particolare dicendo: “Chi vince, io lo farò una colonna nel tempo del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; e scriverò su lui il nome del mio Dio, e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che scende dal cielo dappresso all’Iddio mio, ed il mio nuovo nome”.
I credenti, che in mezzo ai professanti senza vita rimangono fedeli alla Parola di Dio e attaccati al Nome di Gesù, sono agli occhi del mondo deboli e disprezzati. Il Signore però conosce le loro opere e vuoi fare di loro nel futuro, quale ricompensa per la loro fedeltà sulla terra, una colonna nel tempio di Dio. La colonna è la figura della forza ed era il sostegno del tempio. Inoltre, il Signore scriverà su questi fedeli tre nomi: il nome del suo Dio, il nome della città del Suo Dio, cioè della nuova Gerusalemme, e il suo nuovo Nome.
Essi sono il nome del Padre, il nome della Sposa e il nome dello Sposo, che la sposa riceve dal Padre.
Di fronte alla ricompensa che il Signore ci pone dinanzi, e pensando all’affetto che essa ci dimostra, dovremmo applicarci a non aver ricevuto la grazia di Dio invano, ma a camminare invece in modo ch’Egli possa ricompensare la nostra fedeltà per la gioia del suo cuore e alla lode della sua grazia.
Qualcuno potrebbe chiedere: Dove posso in questi tempi trovare Filadelfia?

Dobbiamo rispondere che Filadelfia non è formata da questa o quella comunità di credenti. È una cosa personale; quali rapporti ha il nostro cuore col Signore, e quale posizione rispetto a Lui e alla sua Parola?
Tuttavia i credenti che vivono strettamente legati al loro Salvatore e Signore e mantengono fedelmente la sua Parola si raduneranno assieme (2 Timoteo 2:22) e si studieranno di “conservare l’unità dello Spirito col vincolo della pace” (Efesini 4:3). Però la posizione del cuore rispetto a Lui e alla sua Parola è la cosa più importante. Perciò il Signore richiama anche quelli che sono fedeli alla sua Parola dicendo: “Tieni fermamente quello che hai, affinché nessuno ti tolga la tua corona” !

CHIESA DI LAODICEA
cristianesimo apostata (Grande Tribolazione 7 anni)
Giungiamo ora all’ultima delle sette chiese di Apocalisse, quali avrebbero dovuto splendere sulla terra, come splendeva il candelabro a sette lampade nel luogo santo in Gerusalemme, con una luce perfetta, e rendere testimonianza a Dio.
Le sette chiese formano un’unità; rappresentano, come già abbiamo detto a più riprese, la chiesa cristiana nella sua responsabilità e nella sua storia, dai giorni degli apostoli sino a che sarà completamente tiepida e senza forza alcuna, cioè fino al giorno in cui Cristo, suo Signore e Capo, la ripudierà definitivamente. Questo stato di cose lo troviamo nella lettera a Laodicea, dopo aver considerato in Filadelfia l’ultimo raggio di testimonianza per il Signore Gesù.

Anche Laodicea era situata nell’Asia Minore, a sud-est di Filadelfia e vicino a Colosse. Il suo nome deriva da Laodice, la terribile moglie di Antioco Il, re di Siria del quale è fatta menzione in Daniele 11:10-19.
Era una grandissima città, le cui ricchezze ci sono descritte dallo storico romano Tacito. Fu distrutta completamente, come la città di Efeso, dal brutale esercito di Tamerlano, conquistatore tartaro, nell’anno 1402. Il suo luogo è oggi un cumulo di macerie, chiamato Eski-Hissar, dal nome di una rovina; un vecchio castello è tutto quel che rimane della fiorente città di un tempo, dopo il giudizio di Dio caduto su essa.
Il nome Laodicea significa ” giusto per il popolo “, cioè adatta al popolo, come piace al popolo. Come per le altre chiese dell’Asia Minore, il suo nome definisce lo stato di cose in Laodicea. La chiesa cristiana ci è presentata nella sua fase finale. È la chiesa futura come il mondo la desidera, come piace agli inconvertiti, che non si lasciano dirigere e giudicare dalla Parola di Dio e dal suo Spirito, una chiesa dunque che è ” giusto per il popolo “. Il Vangelo che ci narra le opere di Dio, la missione del Figliuol di Dio nel mondo per cercare e salvare ciò che è perduto, i miracoli del Signore Gesù Cristo, il suo sacrificio alla croce, la sua risurrezione dai morti, la sua vittoria su Satana, sul mondo, sul peccato e sulla morte, il suo ritorno, tutto ciò che è antiquato e abbandonato da tempo. Tutte queste verità sono messe da parte nella chiesa futura, che già si delinea ai nostri occhi; più nessuno se ne interessa.

I titoli che il Signore Gesù Cristo si attribuisce al principio di ogni lettera caratterizzano, come il nome della chiesa stessa, lo stato interno di quest’ultima. Egli si presenta qui come ” l’Amen, il testimone fedele e verace, il principio della creazione di Dio ” (vers. 14). In primo luogo si presenta come ” l’Amen ” (Amen, in ebraico significa: così sia, cosi avvenga, così sia fatto), cioè il compitore di tutte le promesse di Dio.
Gesù Cristo è il grande ” Amen ” di tutto quel che Iddio ci ha promesso e ci vuoi dare. Tutte le promesse hanno in Lui il loro ” sì “; ” perciò pure per mezzo di Lui si pronunzia l’Amen alla gloria di Dio ” (2 Cor. 1:20).
Anche la Chiesa di Cristo avrebbe dovuto essere l’Amen dei pensieri e dei piani di Dio. Essa però non si è comportata in modo da corrispondere alla sua chiamata celeste; non è stata l’Amen dei disegni divini. Le son mancati il vero amore e la purezza nel cammino.

Il Signore si nomina ancora: ” Il testimone fedele e verace”. Ciò che la Chiesa avrebbe dovuto essere per Dio, ma che purtroppo non è stata, come ce lo dice la sua storia, lo fu il Signore Gesù in perfezione: ” Il testimone fedele e verace “. Il terzo titolo del Signore è: ” Il principio della creazione di Dio “.
Egli è il capo di ogni cosa, come anche l’espressione e il testimone di ciò che la Chiesa di Cristo, quale ” nuova creazione “, avrebbe dovuto essere.
In 2 Cor. 5:17 leggiamo: ” Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura “. I veri credenti nati di nuovo sono ” le primizie delle sue creature” (Giacomo 1:18), e sono resi capaci, quali testimoni, a dimostrarlo con il loro comportamento quaggiù. Come si manifesta questa nuova creazione? Qual è il frutto dello Spirito di Dio? Iddio ce lo dice: “Amore, allegrezza, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza ” (Galati 5:22). Ha forse la cristianità professante manifestato questi attributi, queste virtù della nuova creazione per lo Spirito di Dio, in mezzo ad un mondo tenebroso e nemico di Dio? No! Appena la chiesa è stata edificata in tutta la sua bellezza, il nemico è venuto e ha seminato, mentre gli uomini dormivano, la zizzania in mezzo al frumento.

Con l’andar del tempo, la cristianità si è trasformata in un insieme di uomini che, per la maggior parte, non sono convertiti. Hanno ricevuto col battesimo il nome di cristiani, ma non posseggono la nuova vita di Dio. La Parola dice di loro: ” Aventi le forme della pietà, ma avendone rinnegato la potenza” (2 Tim. 3:5), la potenza che vince il peccato, il mondo e Satana.
Quant’è solenne per i cristiani professanti la parola del Signore: “Oh fossi tu pur freddo o fervente!”. Queste parole sono indirizzate anche a noi. Colui che è nato dalla Parola e dallo Spirito di Dio esamini se stesso: il mio cuore batte con fervore e fedelmente per il mio Signore e Salvatore? Lo seguo e lo servo io veramente con un cuore intiero? Cerco di essergli grato? Facilmente può scoraggiarsi anche il vero credente. Può avere ” la vista corta ” ed essere ” ozioso ” e ” sterile ” (2 Pietro 1:5-10). Per questo lo Spirito di Dio, che conosce il pericolo per tutti i credenti di diventare tiepidi, esorta: ” Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo t’inonderà di luce” (Efesini 5:14). Nel suo amore, Egli riempirà nuovamente il tuo cuore di gioia e di forza, onde tu possa vivere per Lui che per te è morto.
In verità, le parole che il Signore indirizzava a Laodicea, la rappresentante della chiesa professante nell’ultima fase del declino, sono molto solenni. Egli dice: ” Perché sei tiepido, e non sei né freddo, né fervente, io ti vomiterò dalla mia bocca “.

Egli annuncia cosi il suo distacco definitivo dalla chiesa professante.
Già negli Evangeli il Signore ha detto: “Voi siete il sale della terra; ora se il sale diviene insipido… non è più buono a nulla se non ad essere gettato via e calpestato dagli uomini”. Un tempo questo sale era il popolo d’Israele, ma divenne insipido e per questo oggi ancora è rigettato. Al posto di Israele è sorta la Chiesa quale testimone di Dio sulla terra; anch’essa però nel suo insieme è tiepida e senza forza spirituale, perciò sarà ” gettata via “, ” vomitata ” dalla bocca del Signore.

L’apostolo Paolo, in Romani 11, ci parla del giudizio d’Israele e della chiesa nella parabola dell’ulivo. Quivi leggiamo l’esortazione che rivolge alla cristianità: ” Non t’insuperbire, ma temi. Perché se Dio non ha risparmiato i rami naturali (Israele), non risparmierà neppure te. Vedi dunque la benignità e la severità di Dio: la severità verso quelli che son caduti (Israele), ma verso te la benignità di Dio, se pur tu perseveri nella sua benignità; altrimenti anche tu sarai reciso. E anche quelli (Israele) se non perseverano nella loro incredulità, saranno innestati (sull’ulivo delle benedizioni e della testimonianza di Dio); perché Dio è potente da innestarli di nuovo “.

Infatti è ciò che avverrà; la cristianità non è rimasta nella comunione di Dio, nelle benedizioni e nella verità; sarà “recisa” dall’albero della testimonianza di Dio sulla terra. Essa sarà, come è detto nell’Evangelo, “gettata via” come il “sale” divenuto “insipido” e, poiché “tiepida”, sarà “vomitata” dalla bocca di Cristo.
Evidentemente non si tratta qui di veri credenti, di membra del corpo di Cristo. Costoro forse saranno rapiti nel cielo prima del giudizio; ed è ciò che il Signore predice a Filadelfia.
Essi formano il nucleo, la vera Chiesa, la Sposa di Cristo, l’insieme di tutti i cristiani nati di nuovo, che hanno ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico Corpo.

Quando essa sarà tolta dalla terra, rimarranno solo i cristiani professanti senza vita. Quindi il Signore si allontanerà completamente dalla chiesa professante che non sarà più né la sua dimora, né la sua testimonianza.
Fino ad oggi i veri credenti, la Sposa di Cristo, sono ancora sulla terra. Lo spirito, lo stato, la tiepidezza, l’arroganza, ciò che caratterizza Laodicea esiste già e ci circonda. Si sente dire: ” Sono ricco, e mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla “.
Ma che cosa deve rispondere il Signore? ” E non sai che tu sei infelice fra tutti e miserabile e povero e cieco e nudo “. È cosa ben terribile quando uno è malato, povero, condannato a morire, e non lo sa! Come dev’essere spaventevole il risveglio di un tale malato!

Finché il Signore lascia i suoi quaggiù, lo Spirito Santo è sulla terra; poiché ” lo Spirito e la Sposa ” lasceranno insieme la terra (Apoc. 22:17). Fino a quel momento il Signore si presenta ancora come Salvatore, e come tale dice a Laodicea: “Io ti consiglio di comprare da me dell’oro… e delle vesti bianche… e del collirio per ungertene gli occhi… Tutti quelli che amo io li riprendo e li castigo; abbi dunque zelo e ravvediti ” !
L’oro nella Bibbia è sovente adoperato come figura della giustizia divina. Quest’oro è stato acquistato da Cristo per i peccatori, nel fuoco delle sofferenze e del giudizio alla croce.
Le vesti bianche ci parlano di un cammino puro e della pietà che si possono trovare solo in coloro che posseggono la nuova vita divina. Nel collirio abbiamo una figura dello Spirito Santo che apre gli occhi del cuore per vedere ogni cosa come Dio la vede.

Le persone di Laodicea erano cieche riguardo alla loro povertà e nudità davanti a Dio, non sentivano nessun bisogno di salvezza e riconciliazione, né dell’oro della giustizia di Dio, né delle vesti ‘della santità pratica.
Gli occhi e i cuori di Laodicea erano ciechi e chiusi riguardo al valore e alla gloria di Gesù Cristo, il Figliuol di Dio. Mentre i fedeli di Filadelfia sono caratterizzati dalla stima, dall’amore e dalla fedeltà verso la Persona di Gesù Cristo, in Laodicea regna una grande indifferenza verso di Lui. I cuori sono privi di amore per Lui.
Il vero cristiano si trova soltanto in quelli che riconoscono Cristo il Figliuol di Dio e lo onorano veramente in parola e in atti. Quando l’occhio è aperto, l’uomo riconosce il suo stato di povertà e di peccato davanti a Dio e riconosce pure Iddio in tutta la sua santità. Il cuore ricerca la salvezza e la trova soltanto in Gesù Cristo, il Salvatore.

Perciò il cuore lo ama al di sopra di ogni altra cosa e trova in Lui tutta la sua gioia e la sua felicità.
Benché non abbia trovato in Laodicea né amore, né interesse per la sua Persona e per la sua opera, ma piuttosto tiepidezza, indifferenza e, per di più orgoglio, il Signore agisce ancora nel suo amore per cercare, castigare e salvare.
Egli dice: ” Tutti quelli che amo, io li riprendo e li castigo: abbi dunque zelo e ravvediti. Ecco, io sto alla porta e picchio “.
Questa parola si è già sovente realizzata. Tanti e tanti cuori della chiesa professante, senza vita, sono stati toccati dalla Parola del Signore e hanno ricevuto la salvezza, particolarmente in questi ultimi decenni. In diversi ambienti, le sofferenze e le afflizioni hanno aperto la porta alla Parola di Dio e a Cristo. Persone che erano rimaste per tanto tempo indifferenti alla salvezza della loro anima hanno riconosciuto di essere povere, cieche e nude davanti a Dio. Si sono ravvedute come il Signore lo richiede, si sono rivolte a Lui, han trovato quell’oro della giustizia divina che Egli ci ha acquistato attraverso il fuoco delle sofferenze e della morte sulla croce.

Cristo è ora il loro rifugio e, guidate dallo Spirito e sostenute dalla sua grazia, camminano nelle vesti bianche della pietà, zelanti per servire Dio.
Adesso ancora il Signore sta alla porta di migliaia di cuori e picchia, chiedendo di entrare. Lo dice anche a te, caro lettore, se non gli appartieni ancora, se non gli hai ancora dato il tuo cuore.
Il Signore non è soltanto davanti alla porta dei singoli cuori, ma, poiché ha dovuto abbandonare il suo posto in mezzo a Laodicea, è fuori e picchia desideroso di entrare. Se una assemblea è in accordo con i pensieri di Dio, il Signore si troverà in mezzo a lei, come è scritto: ” Dovunque due o tre sono radunati nel nome mio, quivi son io in mezzo a loro “.
È doloroso vedere che Laodicea, nella sua tiepidezza e cecità, non ha più posto per Cristo, il Figliuolo di Dio; Egli è fuori. Non è grave una simile cosa? Ciò può accadere rapidamente o poco a poco, insensibilmente; il Signore è smosso dal centro di una comunità di credenti, non secondo la confessione, ma in pratica, e finisce col rimanere alla porta, fuori, a chiedere, picchiando, di poter entrare. Siamo dunque vigilanti e vediamo chi è in mezzo a noi!

Che cosa troviamo nella cristianità professante? Sardi, la chiesa protestante, si dirige sulle orme di Laodicea, mentre la chiesa cattolica, Tiatiri, si sviluppa sempre più verso Babilonia. In occasione della 23° Giornata Protestante della Germania, tenuta a Wiesbaden nel secolo scorso, un noto pastore di Berlino disse: “Il cattolicesimo… e il liberalismo (il cui rappresentante è il protestantesimo) vogliono far penetrare il mondo nella Chiesa” (il conferenziere ha perfettamente ragione; infatti il dominio ricercato dalla chiesa e dalla potenza di Roma sul mondo, e l’unione del mondo con la chiesa, costituiscono la Babilonia spirituale).
Ora, il cristianesimo mondano non è altro che Laodicea: la chiesa che soddisfa e piace al popolo, un cristianesimo senza Cristo (oggi lo chiamano “evangelo sociale”). La meta che si propone la teologia liberale protestante è questa: ” Dobbiamo liberarci dal giogo della cristologia “.

Lettore credente, sai tu che cos’è il giogo della cristologia, che molti predicatori protestanti vogliono scuotere? È la dottrina e la verità riguardanti la divinità della Persona di Gesù Cristo; dicono ch’Egli non è l’eterno Figliuolo di Dio, né il Salvatore per mezzo del suo sangue. Gesù non sarebbe risuscitato, né salito nella gloria, e non ritornerebbe come Signore e Giudice del mondo, davanti al quale ogni ginocchio dovrà piegarsi. In poche parole, il loro desiderio è di togliere Cristo, il Figliuol di Dio, dalla Chiesa.
Questa è Laodicea: Cristo è messo fuori. Storicamente Laodicea non è ancora apparsa completamente, però lo spirito e lo stato di sufficienza e di tiepidezza di Laodicea son già apparsi da molto tempo e si fanno sentire anche tra quelli che confessano di essere convertiti e di appartenere al Signore.
” Ecco lo sposo! “. E la sua voce: ” Io vengo tosto “, ha trovato eco nei cuori dei veri credenti. ” Amen, vieni Signor Gesù “.

Che cosa accadrà fra breve? In Matteo 25:10 leggiamo: ” E quelle che eran pronte (cioè le vergini che avevano Folio dello Spirito Santo), entrarono con Lui nella sala delle nozze, e l’uscio fu chiuso”. Allora molti che pur professando d’essere cristiani sono spiritualmente morti, chiederanno di entrare; busseranno alla porta: ” Signore, Signore, aprici! “. Ma invano.
Egli, che oggi bussa alla porta dei cuori desiderando entrare, non aprirà più a quelli che, durante il giorno della salvezza, non hanno voluto aprirgli il loro cuore!
Gesù sa che la chiesa di Laodicea, figura della tiepida e infedele cristianità degli ultimi tempi, nel suo insieme non lo riceverà più. Al principio le cose erano diverse, ma ora essa è completamente cieca, non sente bisogno di nulla, è piena di sé. Il Figliuol di Dio, il testimone fedele e verace, non ha più nessun valore per i cuori, perciò non ha più posto in mezzo a loro: Egli è fuori. Però fino al giorno in cui si presenterà come Giudice per eseguire il giudizio già pronunciato, per cui vomiterà la chiesa dalla sua bocca. Egli si presenta ancora come Salvatore al cuore delle singole persone chiedendo di poter entrare. Per questo sta scritto: ” Se uno ode la mia voce ed apre la porta, io entrerò da lui “.

Non si tratta più nemmeno di ” due o tre “, il piccolo numero di credenti nel mezzo dei quali il Signore ha promesso la sua presenza; Egli dice: ” Se uno “. In verità, quante chiese vi sono in cui il Signore e Salvatore
non trova più nemmeno i ” due o tre ” che lo conoscono come Figliuol di Dio e loro Salvatore e che gli appartengono!
Il tempo della grazia però dura ancora, e ” se uno apre ” viene ricompensato. Il Signore dice: ” Io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli meco. A chi vince io darò di seder meco sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi son posto a sedere col Padre mio sul suo trono “. Con quest’ultima promessa, il Signore assicura che chi ascolta la sua voce e gli apre la porta, anche poco prima della sua venuta, sarà unito a Lui e ben presto, in cielo, regnerà con Lui.

Prima della chiusura definitiva del tempo della grazia, come vediamo nella parabola del gran convito (Luca 14:16), l’anima può ancora ricevere la vita e gustare la comunione col Signore; allora Gli appartiene in proprio e farà parte della prima risurrezione. Il fedele sarà seduto sul trono e regnerà con Lui.
Come in tutte le lettere, il Signore rivolge alla fine un appello: “Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”.

Sono queste le sue ultime parole alle sette chiese. D’ora innanzi non sarà più parlato, nel libro dell’Apocalisse, della sua Chiesa sulla terra. Nel capitolo seguente troviamo la porta del cielo aperta e i credenti nella gloria (cap. 4 e 5). Il Signore ha allora realizzato la sua promessa ed ha raccolto tutti i suoi nella casa del Padre (Giov. 14:3). Essi sono stati “rapiti” per essere “sempre col Signore” (1 Corinzi 15:51; Tessal. 4:17).
Col cap. 6 incomincia la descrizione dell’”ora del cimento”, cioè dei giudizi e delle tribolazioni al tempo dell’Anticristo, la quale “ha da venire su tutto il mondo” (3:10-11).

Articolo tratto da Lapocalisse.wordpress.com:
http://lapocalisse.wordpress.com/le-7-chiese/
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