sabato 2 luglio 2011
Il Pontificato di Paolo Vi e l'ostracismo alla legge sul divorzio
Dopo il terremoto di Giovanni XXIII la Chiesa non poteva seguire come se nulla fosse e, d'altra parte, la fazione conservatrice e filofascista scalpitava anche temendo scismi. L'elezione fu difficile e ricadde sul cardinale Giovanni Battista Montini, un collaboratore per 20 anni di Pio XII, che assunse il nome di Papa Paolo VI (1963-1978). A questa persona ricadeva il compito di proseguire sulla via del Concilio e Paolo VI lo fece ma diluendo un poco le speranze iniziali guidandolo in modo da rassicurare i conservatori. Già quando da cardinale si recava all'assemblea conciliare partendo da Milano, decretò la chiusura del periodico cattolico progressista Adesso diretto da Don Primo Mazzolari perché troppo critico con le gerarchie e perché mostrava una apertura rivoluzionaria ai laici. Stesso atteggiamento mantenne da Papa con le ACLI di Gabaglio che manifestavano aperture verso i socialisti.
Nel Concilio i conservatori sono in minoranza ma Paolo VI lavorerà per non far passare varie cose a loro non gradite, come ad esempio la collegialità dei vescovi che egli sottolinea dipendere sempre dal Papa, come sul celibato dei preti, come sul controllo delle nascite,... Vi sono insomma argomenti sui quali non lascia decidere il Concilio ma se li assume come suoi. Dipende anche da lui il fatto di importanza enorme come l'abrogazione dell'Indice che aveva carattere inquisitoriale, anche se lo sostituisce con la Congregazione per la dottrina della fede che avrà finalità analoghe ma non inquisitoriali. Per far contenta la maggioranza introdurrà il Sinodo dei vescovi ma con un ruolo meramente consultivo. Alla fine il Concilio di Paolo VI riformerà a metà non transigendo sull'autorità del Pontefice e sui dogmi. Nonostante queste limitazioni dal Concilio che si chiude l'8 dicembre 1965 esce una Chiesa rinnovata. Le modifiche liturgiche più appariscenti riguardano la messa detta nelle lingue nazionali e una limitazione del culto della Madonna che era (?) diventato trasbordante. La parte più interessante e nuova è il dialogo aperto sia con altre religioni che con non credenti. I suoi viaggi all'estero daranno testimonianza della sua voglia di dialogo in una posizione di neutralità. E così esorterà i potenti per la pace nel Viet Nam e scriverà messaggi per il Capodanno 1966 ad Hanoi, Saigon, Mosca e Pechino.
Nel 1967 vedrà la luce una sua importante enciclica, la Popolorum Progressio che è un deciso superamento della dottrina sociale della Chiesa. Qui la Chiesa risulta impegnata in mezzo alla gente in una sorta di teologia della liberazione che incoraggia a reagire contro i soprusi e le sopraffazioni in nome di Dio. Da questa enciclica prenderanno spunto vivificatore tanti cattolici latino americani che, insieme a movimenti di natura marxista, inizieranno la lunga via della loro liberazione. E poiché iniziano gli anni della contestazione in tutto il mondo, Paolo VI si sentirà obbligato a correggere il tiro della sua enciclica e di altre aperture. Nell'enciclica Sacerdotalis coelibatus del 1967, si ritornava praticamente indietro su ogni questione che aveva visto il Concilio disponibile, anche sul dialogo con altre confessioni (Ginevra 1969). La Popolorum Progressio sarà ridiscussa a Bogotà nel 1968 con l'affermazione che l'arma per vincere le ingiustizie è la carità e non la violenza. E più oltre con la marcia indietro dell'Humanae vitae del 1968 in cui si ribaltavano le deliberazioni conciliari favorevoli al controllo delle nascite ed all'uso di anticoncezionali. Si cominciava a capire che questo Papa non era capace di uscire dal solco millenario dell'assolutismo della tradizione conservatrice e da questo momento non era più un Papa che viaggiava come pellegrino ma solo come turista. Non attirava più le genti, anzi alcuni giovani lo presero a sassate a Cagliari (1970).
Fu anche molto grave la sua ingerenza con la Commissione parlamentare del Parlamento italiano che discuteva la costituzionalità della legge sul divorzio. E di queste ingerenze ne avevamo avute e ne abbiamo con sempre maggior frequenza per governi imbelli che non traggono più la loro legittimità dagli elettori ma da manovre indegne di potere con incoffessabili scambi. E non finì con questa intergerenza perché sul divorzio la Chiesa si schierò apertamente nel Referendum sul divorzio del 1974. Il Referendum era stato chiesto dalla parte più retriva dei cattolici e Paolo VI violò qui il principio della separazione tra Stato e Chiesa. Un conto è predicare e dire che la Chiesa è contro il divorzio, un conto è farsi parte attiva in una campagna elettorale con tutti i pulpiti impegnati.
Poi arrivò il Giubileo del 1975 con la vergogna delle benedizioni per posta al modico prezzo di 2000 lire. Un tonfo, una vergogna che però rispondeva bene al progressivo allontanamento, che per fortuna continua inesorabile, dei fedeli dalla Chiesa.
Con il suo offrirsi in cambio di Moro alle Brigate Rosse, chiuse la sua vita con un gesto apprezzabile ma ormai inutile per riprendere credibilità(15).
Alla morte di Paolo VI un conclave con tre correnti: progressista, tradizionalista e centrista quella che si ispirava al Papa defunto. Nessuna corrente aveva un quorum a priori e così, anche qui, uscì eletto una personalità inaspettata, il cardinale Albino Luciani, che assunse il nome di Papa Giovanni Paolo I (1978), con l'intenzione di indicare il suo programma, quello di voler proseguire la politica dei due suoi predecessori. Ma durò 33 giorni e sulla sua morte sorsero fortissimi dubbi di avvelenamento ed i motivi vi erano tutti.
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