Vogliono creare una chiesa comunità dialogante, i disobbedienti. Una Chiesa dove la individuale libertà di coscienza venga prima dell’obbedienza al papa. E per questo dichiarano nel loro appello: «Reciteremo in futuro in ogni messa una preghiera per la riforma della chiesa». Un incipit che evoca lotte lontane. Istanze di resistenza che non hanno mai smesso di fruttificare nei secoli, nonostante discriminazioni, persecuzioni, roghi.
Radici plurali e laiche che ritornano, e che adesso alimentano anche i sette punti di questo appello.
Sette sigilli per contestare gerarchia e dottrina della chiesa cattolica apostolica romana. Per contestare le sue Verità supposte, alle quali si contrappone spirito di libertà e di autodeterminazione.
Libertà di pensiero e di parola, innanzitutto, perché si legge nell’appello: «davanti a Dio c’è libertà di parola». Libertà di parola che è riappropriazione della capacità e volontà di ricercare liberamente per trovare altri significati, altre definizioni. Parola quindi al di fuori dell’ortodossia. Parola che esamina e diviene. Parola atto creativo: per uscire dal già descritto e prescritto. Parola che libera dalla Verità unica. Parola che spezza l’ascolto passivo della catechistica obbedienza. Parola che sottrae al chierico il Verbo. Parola desacralizzata dunque, che supera il dualismo: sacro - profano. Parola che demarca solo il confine con l’arroganza assolutizzante della fede a una dimensione. Parola che non pretende replicanti dell’identico. E che per questo consente al fedele di sperimentare, nel pluralismo del definire, anche un modo altro e molteplice di fede. Di diventare nella libertà di parola davanti a Dio, il creatore della sua fede.
In questo atto di disobbedienza nella «libertà di parola» è posta la questione di fondo: sottrarre finalmente la gestione della parrhesia (libertà di parola) a quella chiesa curiale che proprio sull’accaparramento della Parola ha costruito e imposto il suo potere fin dall’inizio.
Una chiesa vaticana che oggi, di fronte ad una società sempre più laicizzata e secolarizzata nei fatti, pretende di ergersi a giudice universale: detentore assoluto del bene e del male. Ovunque. Sempre. In eterno.
Per spezzare questo astorico potere i sacerdoti di Pfarrer-Initiative dichiarano appunto: «in ogni messa reciteremo una preghiera per la riforma della chiesa». Una disobbedienza che diviene rivoluzione per una chiesa come la cattolica, dove in ogni messa ancora oggi officiante i fedeli ripetono, in continuità niceniana e tridentina la professione di fede: «Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica ….».
Al contrario, i “disubbidienti” parroci austriaci vogliono ricercare e interpretare con i fedeli, abbattendo anche il discrimine tra comunicati e scomunicati. Tra chi è dentro al recinto del sacro (fanum). E chi ne è fuori (pro-fanum). Eccoli allora sostenere con forza che all’eucarestia possono accedere anche «divorziati-risposati, membri di altre chiese cristiane e, in alcuni casi, anche cattolici che sono usciti dalla chiesa». Vogliono una chiesa dell’accoglienza. Della pariteticità. Una chiesa dove i fedeli siano sempre meno pecore, e il pastore sempre meno capo. Parlano addirittura di “Eucaristia senza prete” (priesterlose Eucharistiefeier), per potenziare e sviluppare autonomia e responsabilità di ciascuno.
Sono stanchi dell’assolutismo religioso. Vogliono democratizzare, prevedendo ruoli di governo impensabili per la chiesa di Roma. Pertanto dichiarano: «Ci impegneremo affinché ogni parrocchia abbia un suo moderatore: uomo o donna, sposato o non sposato, a tempo pieno o a tempo parziale. Questo però non attraverso fusioni di parrocchie, ma attraverso un nuovo modello di prete». Sono consapevoli, infatti, che senza rimettere in discussione il tradizionale modello di prete, non ci sarà mai riforma. «Un nuovo modello di prete» tutto da creare. Ma sanno per certo che l’accesso non può essere precluso a donne, coniugati e finanche conviventi. Fratelli e sorelle che «seguono la loro coscienza – come facciamo noi con la nostra protesta».
Più di qualche sobbalzo all’ombra del Cupolone ci deve essere stato, nel leggere questo “appello alla disobbedienza”.
Intanto per arginare la piccola grande Riforma di Pfarrer-Initiative, è intervenuto Egon Kapellari, vice presidente della conferenza episcopale, che ha espresso la sua preoccupazione per l’unità della Chiesa e stigmatizzato i disobbedienti: «Questa visione parziale della situazione generale nella Chiesa austriaca e le conseguenze che vengono tratte potranno sembrare plausibili a molte persone, ma essa mette seriamente in pericolo l'identità e l'unità della Chiesa cattolica. È del tutto legittimo esprimere le preoccupazioni delle parrocchie, ma è una cosa assai diversa incitare alla disobbedienza e mettere in pericolo la fisionomia della Chiesa a livello mondiale e in maniera del tutto unilaterale rifiutare gli obblighi comuni».
Per cercare di bloccare il contagio del manifesto dei disobbedienti è intervenuto anche il presidente della Conferenza episcopale austriaca, il cardinale Christoph Schönborn. Questi, che è anche arcivescovo di Vienna, aveva avuto come suo vicario dal 1995 al 1999 proprio mons. Helmut Schüller, che di Pfarrer-Initiative è adesso il portavoce.
Christoph Schönborn si è guadagnato una certa stima negli ultimi anni per aver assunto senza riserve la difesa delle vittime del clero pedofilo. Suo l’impulso a dar loro voce proprio nella cattedrale di Vienna. Sua l’iniziativa nel 2010 di istituire una commissione indipendente guidata dall'ex governatrice della Stiria, Waltraud Klasnic. E sua ancora la polemica contro il cardinal Sodano, accusato di “insabbiare” e di liquidare come “chiacchiericcio” lo scandalo pedofilia. Per questa ultima posizione Schönborn è stato richiamato dall’attuale papa e ha dovuto fare ammenda.
Adesso Christoph Schönborn, che per altro di Ratzinger è stato anche allievo, ha deciso di prendere posizione contro i preti disobbedienti austriaci con un comunicato in cui ricorda loro che «al momento dell’ordinazione, noi sacerdoti abbiamo promesso, liberamente e senza imposizione, nelle mani del vescovo “rispetto e obbedienza”». Io stesso, scrive, «nel mio ruolo di vescovo ho giurato al Papa fedeltà e obbedienza. Io voglio mantenere questa parola data». Ma, continua Schönborn, «se la disobbedienza al Papa e al vescovo diventano una questione di coscienza, questo significa che si è saliti su un altro livello, un livello che obbliga ad assumere una risoluzione chiara».
E aggiunge: «chi in piena e provata coscienza e convincimento, pensa che Roma abbia preso una strada sbagliata, una strada che contrasta seriamente il volere del Signore, dovrebbe trarne, infine, le dovute conseguenze, e cioè non camminare più sulla via della chiesa romana».
Insomma o si sta dentro la Chiesa unica e universale, quella romana, oppure si esca fuori, conclude il cardinale, perché «in ultima analisi, ogni sacerdote, così come tutti noi, deve decidere se vuole continuare a percorrere il cammino insieme al Papa, al vescovo e alla chiesa, oppure no. Sicuramente, è sempre difficile abdicare ad alcune idee e concezioni. Ma chi nega il principio dell’obbedienza, disgrega l’unità».
È una minaccia e una promessa?
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