giovedì 9 dicembre 2010
Ior ci risiamo!Strano flusso di milioni dall'italia alla Germania;Prete indagato per riciclaggio..
Caso Ior, quel flusso di milioni spostato da Italia a Germania
Ma dove vanno a finire, da dieci mesi a questa parte, tutti i soldi della Chiesa cattolica, compresi quelli dell’otto per mille? E per quale motivo, a partire da una data, gennaio 2010, cioè da quando Banca d’Italia ha intensificato i controlli antiriciclaggio, nè la farmacia del Vaticano e neppure i celebri Musei depositano più i loro incassi presso i conti aperti dalla Santa Sede nelle banche italiane, soprattutto presso il mega-conto Ior dell’agenzia Unicredit all’ombra del Cupolone, quella di via della Conciliazione, che invece fino al 2009 movimentava qualcosa come 50 milioni di euro in tre giorni? A Paolo Cipriani, il direttore dell’ Istituto opere religiose indagato a Roma, com’è noto, insieme al presidente Gotti Tedeschi per violazione delle norme antiriciclaggio,
queste domande hanno posto, ripetutamente, durante l’interrogatorio del 30 settembre scorso, il procuratore aggiunto Nello Rossi e il pm Rocco Fava. La guardia di finanza ha scoperto infatti che lo Ior - una banca che conta circa 45.000 clienti – ha bruscamente ridotto le sue movimentazioni in Italia, dall’inizio dell’anno, nell’ordine del 90%. E la circostanza è stata confermata dallo stesso Cipriani, che ai pm ha detto che recentemente lo Ior preferisce utilizzare, in luogo delle banche italiane, due istituti di credito di Francoforte (la Deutsche Bank per le rimesse assegni e la Jp Morgan per la liquidità) adducendo motivi strategici ed economici, quali le esose commissioni richieste dalle banche nostrane.
Ora, è sulla consistenza o meno di tali motivazioni che gli inquirenti hanno intenzione di vedere chiaro. Anche perché, dalla lettura delle carte finora inedite, c’è un altro dettaglio che rischia di ingarbugliare la posizione di Cipriani. Si è scoperto infatti che fu lo stesso direttore generale dello Ior a comunicare formalmente, con tanto di firma, a Unicredit la falsa identificazione della sedicente signora Maria Rossi. La donna nel 2009 ha incassato una quarantina assegni provenienti da fondi di San Marino a loro volta movimentati da un avvocato-imprenditore, il tutto su conto intestato a un reverendo cliente Ior che ora si scopre essere monsignor Emilio Messina, nato nel 1940 e residente a Roma, capo dell’Arcidiocesi di Camerino-San Severino Marche, nonché cappellano presso tre case di cura gestite da religiosi, tutte con sede nella capitale. «Senta, tornando al contante voi ora perché non depositate come prima presso le banche italiane…. Com’è che improvvisamente, da gennaio 2010, non versate più quel contante che invece versavate sempre tutti i mesi presso quella banca?», chiede il pm Fava a Cipriani come si legge sul foglio 43 e seguenti della trascrizione dell’interrogatorio, lunga 88 pagine. «Perché prima c’era molto più contante rispetto adesso, non so come spiegarmi», risponde il banchiere. Il pm incalza: «Ma che cosa è cambiato, dico nelle attività commerciali, istituzionali..avete chiuso gli esercizi, il supermercato?».
Ciprani: «No no, io non ho chiuso nessun esercizio,ma ad esempio i musei ricevono molti pagamenti per l’ingresso in via informatica, quindi non c’è più la gente che va lì a versare il contante». Pm: «Ma come si spiega che la farmacia non versa più i 600mila euro in contanti al mese? Oppure li continua a versare e va da un’altra parte?». Cipriani: «No, se versano… portano il contante, noi facciamo la documentazione valutaria, vanno in dogana». Pm: «Dunque lei mi dice che i soldi arrivano con i corrieri direttamente alle missioni. Ma non sarebbe stato più semplice continuare a versare il denaro contante presso Unicredit…. invece voi avete preferito fare un’altra strada, per non fornire informazioni». «No, no, perché per non fornire?… Abbiamo fatto una scelta diversa, questo fa parte anche un po’ della strategia dell’azienda». Pm: «Perché? Perché? Lei non risponde, diciamo, alle domande…».
Gli inquirenti stanno cercando di scoprire la provenienza dei soldi movimentati sul conto del monsignore Emilio Messina da Enrico Pennaforti, avvocato civilista di Roma, che sul conto del prelato ha incassato 300mila euro di assegni in un’unica trance. «Il reverendo Messina ha dichiarato che Maria Rossi è madre del signor Pennaforti», è scritto nella nota a firma di Cipriani inviata a Unicredit, dopo che la finanza aveva chiesto alla banca a quale titolo la misteriosa signora, che in realtà si chiama Anna Maria Brunozzi e di Pennaforti non è parente, incassasse assegni Ior. Cipriani ai pm ha ribadito di aver sempre agito in buona fede. Tant’è che lo Ior, appena accortosi di quelle irregolarità sul conto corrente del reverendo, avrebbe avviato un monitoraggio su tutti i clienti: per capire, ha detto Cipriani, «quante fossero le posizioni rischiose come quelle del monsignore».
Ior, indagato prete per riciclaggio
Avrebbe riciclato servendosi di un proprio conto bancario aperto all'Istituto per le opere religiose, lo Ior, circa 250 mila euro provenienti da una presunta truffa allo Stato da 600 mila euro, realizzata da suo padre e suo zio con fondi Por Sicilia. È l' accusa contestata a un sacerdote di 35 anni, Orazio Bonaccorsi, che vive a Roma, indagato dalla Dda della Procura di Catania per riciclaggio. Nell'inchiesta non ci sono ipotesi di reato per criminalità organizzata, anche se lo zio del prete siciliano, Vincenzo Bonaccorsi, 59 anni, è stato condannato per associazione mafiosa e adesso è indagato per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e intestazione fittizia di beni. Sarebbe stata in realtà sua, secondo le indagini della guardia di finanza, l'azienda agro-ittica del Siracusano che avrebbe ottenuto i fondi Por Sicilia,
che era invece intestata a suo fratello, Antonino Bonaccorsi, di 61 anni, padre del prete. Il sacerdote, secondo la Procura di Catania, avrebbe incassato i soldi e li avrebbe versati su un suo conto personale aperto allo Ior, e li avrebbe poi restituiti. Secondo i magistrati quest'operazione avrebbe reso difficile risalire al destinatario finale dei soldi, rendendoli non rintracciabili. Le indagini della guardia di finanza di Catania sono state avviate dopo una segnalazione dell'Uif, l'ufficio antiriciclaggio della Banca d'Italia, sui spostamenti di somme. Nell'inchiesta sono indagate altre tre persone: un imprenditore che avrebbe emesso le false fatture per permettere la truffa, Fabio Salvatore Di Gregorio, di 24 anni, e due consulenti d'azienda, Francesco Altamore, 64 anni, e Santo Salluzio, di 60. Per l'inchiesta Gold Fish la Procura di Catania ha emesso avvisi di conclusione indagini che sono stati notificati da militari della guardia di finanza del capoluogo etneo ai sei indagati.
Gli accertamenti compiuti da investigatori del comando provinciale delle Fiamme gialle e del nucleo di Polizia tributaria etnei hanno permesso di ricostruire il percorso dei fondi Por Sicilia che, ha spiegato il procuratore capo Vincenzo D'Agata, erano stati «stanziati per la realizzazione di una struttura già esistente», che è stata sequestrata. Secondo quanto ricostruito dalla guardia di finanza, Antonio Bonaccorsi avrebbe trasferito da un suo conto corrente aperto in un'agenzia di Catania alla Banca popolare di Novara 250mila euro, provento della prima tranche di finanziamenti regionali, su un conto del figlio in un'agenzia della Bnl di Roma con la casuale 'beneficenzà.
Da qui, successivamente, i soldi sarebbero finiti nel conto Ior acceso in un'agenzia della Capitale della Banca di Roma con assegni intestati allo stesso sacerdote e la dizione 'a me medisimò. Da quest'ultimo istituto, con nove bonifici che per l'accusa sono stati realizzati da don Orazio, 225mila euro sarebbero ritornati al conto bancario d'origine del padre del sacerdote a Catania. Secondo le ipotesi dell'accusa, il 'girò serviva a rendere non rintracciabile la provenienza dei soldi e a fare diventare irrecuperabili i fondi regionali in caso di contenzioso. Fondi Por che, hanno sottolineato i magistrati, sono stati emessi «tre giorni lavorativi dopo la presentazione della richiesta che è stata fatta il 29 dicembre del 2009». Le indagini della guardia di finanza, che si sono avvalse anche di intercettazioni e pedinamenti, sono state coordinate dal procuratore capo di Catania, Vincenzo D'Agata, e dai sostituti Antonino Fanara e Andrea Bonomo.
FONTE
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