Non vi è nulla di nascosto che non sarà rivelato;
nulla di occulto che non sarà conosciuto.
La clipeologia non è altro che un ramo ancora eretico dell'archeologia, non molto presa in considerazione dalla scienza “ufficiale”, perché ritenuta più una serie di fantasie che di fatti reali e dimostrabili. Il fatto che non si possano dimostrare i fatti clipeologici del passato è vero solo in parte, in quanto, non è detto che in futuro non si possano avere delle risposte alle molte domande imbarazzanti che affollano le menti degli studiosi. Non bisogna escludere a priori il fatto che possano essere accadute davvero tali cose, definite “fantasiose”. È doveroso ricercare, indagare, spingersi il più possibile nell’oscurità entro cui ancora giace parte del nostro essere. Che cos’erano quei dischi ardenti che i Romani vedevano sfrecciare nei loro cieli? Cosa vollero rappresentare alcuni artisti nelle loro opere? In molte di esse è possibile notare strani oggetti luccicanti nel cielo, oggetti fuori posto, anacronistici, definiti anche “OOParts”, ovvero, Out Of Place Artifacts (Oggetti fuori posto) . Probabilmente, gli UFO erano una realtà già allora e, in alcuni casi, questi non si limitarono a solcare silenziosamente i cieli del mondo antico. In molti casi vi dovettero essere dei contatti tra gli uomini dell’antichità e i loro “dèi”. Esseri superiori visti come divinità dalla gente di allora.
Gli antropologi hanno studiato questo curioso episodio, coniando il concetto del “culto del cargo” , ovvero, il culto degli indigeni per i loro dèi del cielo. Un concetto che, volendo, potremmo applicare anche al passato della Terra, parlando di un culto del cargo preistorico. Già lo scrittore greco Evemero (340-260 a.C. circa) credeva che «gli eroi e i personaggi mitici altro non [erano] che uomini divinizzati dall’ammriazione dei popoli (…); tutta la mitologia è una trasposizione di eventi storici» . Molti elementi c’inducono a proseguire le nostre ricerche in questa direzione.
Qual è la prima cosa che pensate quando vi capita di vedere su qualche rivista illustrazioni raffiguranti le gigantesche piramidi d’Egitto o del centro America, i moai dell’Isola di Pasqua o le enigmatiche linee di Nazca?
D'altronde, è difficile immaginare migliaia di Egizi che per tutta la loro vita non fanno altro che lavorare alla costruzione di piramidi e templi (e i loro figli dopo di loro, per centinaia d’anni!). Si è calcolato, ad esempio, che per costruire la Grande Piramide di Cheope occorsero otto milioni di operai e circa vent’anni di lavoro! Oppure, più operai in meno tempo . Secondo Erodoto, e la maggior parte degli studiosi contemporanei, ne occorsero molti meno, solo 100.000, a lavoro per vent’anni di tempo.
Va bene, non c’era ancora la televisione, ma non vi sembra un po’ esagerato?
Tanto per fare un esempio, quando gli archeologi entrarono nella piramide di Djoser a Saqquara, trovarono il sarcofago intatto, con ancora il sigillo reale. Ma quando l’aprirono, speranzosi di trovare un grande tesoro, rimasero a bocca aperta: il sarcofago era vuoto! Come potremmo spiegare ciò? Probabilmente, le piramidi non erano le tombe dei faraoni, come ci hanno fatto credere da sempre gli egittologi. Il loro vero scopo rimane un mistero. Le mummie ci sono, ma si trovano soltanto nella valle dei re e in quella delle regine, vicino Tebe .
Per quanto mi riguarda, molti di questi misteri planetari potrebbero anche essere complementari; così, si spiegherebbero le affinità tra le piramidi d’Egitto, quelle precolombiane, quelle cinesi e quelle italiche (molti ancora non lo sanno, ma esisterebbero piramidi anche in Italia), o le affinità tra le diverse lingue, tradizioni, miti antichi dell’umanità, etc.
Per fare qualche esempio: sia in Cina che a Palenque, un’antica città maya sita in centro America, vi era l’uso di seppellire il defunto con delle sfere di giada nelle mani e nella bocca . La giada era una pietra dura, che simboleggiava l’incorruttibilità, l’eternità, anche perché non poteva essere fusa come i metalli, e si pensa sia giunta nelle Americhe proprio dall’Asia; inoltre, ricordiamo che gli esami condotti sulla mummia egizia di Hanut Taui hanno rivelato la presenza di cocaina e nicotina, derivati del tabacco, originario delle Americhe . Iscrizioni fenicie sarebbero state rinvenute nel Nord America.
L’arte buddhista ci presenta dèi seduti su tigri e altri grossi felini, così come accade presso i Maya, soprattutto a Palenque . Ritroviamo identiche sia in Asia sia nella Mezzaluna Fertile sia nelle Americhe le immagini del disco solare. Vi sono affinità tra l’arte cinese e quella dell’America nord-occidentale, come tra l’iconografia shang e alcuni simboli maya e aztechi. Ma come potremmo spiegare l’abisso temporale presente tra l’antichissima arte dei bronzi cinesi, la civiltà maya del IV secolo e quella azteca del XIV secolo d.C.? Troviamo piramidi identiche a quelle di Tikal nella metropoli abbandonata di Angkor Vat e su alcune isole dell’Indonesia. Sia gli Egizi, sia i Greci, il popolo di Zimbabwe, gli Hsing Nu, gli Assiri e le popolazioni della Mesoamerica inventarono la stele . Ebbero tutti la stessa intuizione! È possibile?
Ma non sono di certo gli unici esempi.
Tali dettagli, insignificanti per molti studiosi, rivelano una probabile interazione tra i diversi popoli del globo, fin dai tempi più remoti. Interazioni troppo spesso ignorate.
Mettendo insieme i tasselli del mosaico in nostro possesso riusciamo a vedere più in là dell’invisibile barriera che divide la storia dalla preistoria. Lentamente emergono dalle nebbie del passato i resti di un mondo dimenticato, di cui rimangono poche tracce. Scopo di questo libro è proprio quello di mettere insieme gli scarsi indizi in nostro possesso, sperando che la preistoria di ieri possa diventare la storia di domani.
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